Chiaramente legare il braccio sano di un paziente emiplegico non è una scelta saggia per una serie di motivi che adesso analizzeremo insieme.
Intanto è utile dire che l'idea partorita da Vanessa in riabilitazione si chiama CIMT (Constraint Induced Movement Therapy), ovvero terapia della costrizione indotta dei movimenti e si espleta proprio come lei l'aveva pensata, cioè immobilizzando letteralmente il braccio sano del paziente emiplegico per costringerlo a muovere il suo arto plegico.
Questa procedura di riabilitazione con il paziente emiplegico é molto in voga negli Stati Uniti, dove viene pubblicizzata come una innovazione; nei paesi anglosassoni questo tipo di fisioterapia muscolare e motivazionale è d'altronde molto in voga.
In realtà l'intuizione di stimolare il movimento dell'arto plegico immobilizzando quello sano l'ha avuta già qualche decennio fa un medico italiano.
Torniamo alla domanda di Vanessa:
È giusto immobilizzare l'arto sano di un paziente con emiparesi per stimolarlo a muovere quello del lato con emiplegia?
Ragioniamo sulla CIMT.
Certo, sarebbe magnifico se fosse così semplice: le cliniche di riabilitazione sarebbero fatte di soli corridoi per far camminare a forza i pazienti colpiti da ictus e i terapisti avrebbero in dotazione solo corde per legare i loro arti sani.
Al di là del sarcasmo dobbiamo precisare che alla base di queste scelte non c'è ne cattiveria né malafede da parte di chi le propone. La questione che sta alla base e che spinge molti professionisti e non a pensare che la CIMT possa essere una soluzione inadeguata e controproducente in realtà è molto sottile e delicata.
Si tratta di un problema di conoscenze relative al cervello, al movimento e al recupero. Ci troviamo in un periodo in cui in riabilitazione non sono state ancora maturate le scoperte scientifiche nei confronti delle funzioni cerebrali e, come se non bastasse, non tutti hanno saputo tradurre le nuove conoscenze in atti riabilitativi ed esercizi per il recupero post ictus.
Infatti, negli ultimi secoli, le scienze alle quali il mondo della riabilitazione attinge hanno fatto notevoli balzi in avanti, svelando molto del funzionamento del nostro organismo.
In principio, quando ancora gli studi sull'anatomia del corpo umano erano lontani, si attribuiva alla sola motivazione la possibilità di incidere sul movimento e sul recupero.
Già intorno al 1700 gli studi condotti sull'elettricità dimostrarono invece che il muscolo, grazie alle sue capacità di contrarsi se attraversato da energia elettrica, rappresentava un elemento fondamentale per il movimento. Ne consegue ovviamente che anche tutte le attività di recupero vennero incentrate sul muscolo. Di fronte ad un problema di movimento, l'oggetto del recupero era il muscolo e le sue proprietà contrattili, quindi il rinforzo muscolare.
Verso la metà del 1800, grazie agli studi di Sherringhton, la neurofisiologia giovò di una grande scoperta, ossia della conduzione nervosa dei riflessi e della loro partecipazione al movimento. Solo un centinaio di anni dopo nel mondo della riabilitazione si tenne conto di questi contributi scientifici e quindi nacquero verso la metà del secolo scorso metodiche per il trattamento degli esiti post ictus come Kabat Vojta e Bobath, che mettevano al centro del loro operato la stimolazione dei riflessi nervosi per incidere sul recupero del movimento. Solo recentemente invece sono state individuate le funzioni cerebrali che partecipano al movimento ed è stata svelata in parte l'organizzazione cognitiva che permette all'uomo di muoversi e parlare. Da qui prendono vita le intuizioni geniali di un medico italiano, il prof. Carlo Perfetti, che iniziò a proporre esercizi per il paziente emiplegico che non coinvolgessero solo la motivazione, i muscoli ed i riflessi ma anche quelle funzioni cerebrali che sono state alterate dal l'ictus cerebrale. Questo modo di fare riabilitazione viene comunemente conosciuto come Metodo Perfetti o Riabilitazione Neurocognitiva.
Anche se ciò può sembrare paradossale, la realtà è che la CIMT, ovvero la proposta di Vanessa di legare il braccio sano del padre, terapia post ictus in voga negli Stati Uniti, è una scelta terapeutica che appartiene alla zona del progresso scientifico in cui ancora non era stata scoperta nemmeno l'importanza dei muscoli, quindi fa riferimento alla sola motivazione di muoversi, trasformata in questo caso in costrizione e necessità.
Chiedere il movimento dell'arto plegico quando ancora il paziente non abbia imparato a tenere sotto controllo la reattività abnorme allo stiramento dei muscoli (la componente della spasticità che determina una contrazione riflessa dei muscoli quando vengono allungati) non può che avere come risultato un movimento povero dal punto di vista della qualità. Inoltre ogni volta che compare la reattività abnorme allo stiramento è come se la stessimo "mantenendo in vita" invece di curarla.
Oltre alla reattività abnorme allo stiramento conosciuta come ipertono, muovere forzatamente l'arto paretico determinerebbe la comparsa di irradiazione, un'altra componente della spasticità, per la quale si registra l'intervento di altri muscoli oltre quelli interessati allo scopo di completare un'azione difficile. Questa partecipazione aggiuntiva in condizione di salute serve ad aiutarci nell'esecuzione di compiti difficili, come ad esempio alzare l'altro braccio quando solleviamo una valigia, mentre nel paziente emiplegico purtroppo l'irradiazione coinvolge sempre gli stessi muscoli e tende generalmente a chiudere il pollice e la mano, flettere il polso e piegare il gomito.
È infatti frequente che chi abbia una emiplegia e venga sottoposto a sforzi inadeguati veda aumentare la propria spasticità diminuendo progressivamente le possibilità di movimento.
Un altro motivo per il quale si rivela controproducente legare il braccio sano e costringere il paziente emiplegico a muovere il braccio con paresi è dato dal fatto che ogni azione che compiamo è il risultato della partecipazione di tutto il corpo. Intendo dire che se devo afferrare un oggetto con il mio braccio destro, saranno impegnate anche le gambe ed il bacino per orientare e controbilanciare il carico nei confronti del peso del mio braccio e dell'oggetto ed anche il mio braccio sinistro mi aiuterà a prolungare sia tronco che il braccio destro verso l'oggetto, fornendo un appoggio aggiuntivo sulle cosce o su un sostegno. Pertanto legare l'arto che parteciperebbe al movimento significa alterare la realtà dell'azione, rendendola più complessa ed esponendo il paziente emiplegico a maggiore irradiazione.
In conclusione, visto che il mondo della riabilitazione sembra andare al contrario e che i sostenitori della CIMT sono stati tra i pochi a produrre "sperimentazioni scientifiche" che dimostrassero l'efficacia di questa pratica, posso qui esporre solo il mio modesto parere personale affermando che, per la ragioni sopra esposte, mai consentirei ad un mio familiare di eseguire la CIMT ed allo stesso modo mai lo permetterei per un mio paziente .
E POSSIBILE SAPERE QUANTO TEMPO CI VUOLE PER RECUPERARE IL LATO SINISTRO GRAZIE
RispondiEliminaNon c'è un tempo particolare che può essere adattato ad ogni situazione. Molto dipende dal tipo di lesione, dal tipo di persona e fondamentale è il tipo di riabilitazione che viene proposta. La domanda più importante da farsi in questi casi non è "quanto tempo", ma " come per ottenere il massimo"
RispondiEliminaA presto
Mi perdoni Doc sono interessato , ma allora come ottenere il massimo???
RispondiEliminaRitengo che procedere con la riabilitazione neurocognitiva sia la scelta migliore per ottenere il miglior recupero
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