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Tutore per la spalla nel paziente emiplegico. È davvero corretto?


È largamente diffuso, in seguito ad un ictus,  l’utilizzo di tutori
che contengano la spalla ed il braccio del paziente che ha subito l'ictus e che ha quindi una emiparesi. 
Ritengo necessario discutere sull’effettività utilità di questa scelta 
e fare luce su alcuni aspetti che spesso non vengono considerati  e che rischiano di creare un effetto boomerang. 

Per quale motivo viene suggerito l’utilizzo di un tutore per la spalla? 
La prescrizione di questo ausilio avviene generalmente in ospedale o in clinica riabilitativa, 
in ogni modo all’interno dei primi mesi in seguito all’ictus quando ancora il paziente a fronte delle prime fasi della diaschisi, si presenta con una paralisi definita “flaccida”,
dove l’arto superiore appare abbandonato e senza tono. 
Medici e terapisti suggeriscono il tutore per la spalla con l’idea di evitare o prevenire quella che viene definita 
Sublussazione Gleno Omerale (SGO),
cioè la perdita del rapporto articolare tra la testa dell’omero ed il suo alloggiamento della glena (la porzione cava della scapola). 

Segno della spallina
In seguito ad un ictus, e quindi alla paralisi della metà laterale del corpo incluso il braccio, 
corrisponde una diminuzione del tono dei muscoli  
che riduce il contenimento dell’articolazione. 
C’è un segno caratteristico che spesso allarma oltre il dovuto operatori sanitari, pazienti e familiari:
il segno della spallina, ovvero una fossetta che si crea tra la spalla e l’omero.
Tale allarme, in aggiunta al frequente fastidio o dolore che prova il paziente anche nella regione della spalla, rende la scelta dell’utilizzo di un tutore di contenimento maggiormente condivisa. 

Ma è davvero così utile? 
Non c’è paziente che abbia incontrato al quale non abbia tolto il tutore al braccio,
e tra questi non si è mai presentato alcuna necessità di tornare ad utilizzarlo. 
Nei punti a seguire motiverò la mia avversione alla scelta di utilizzare un tutore per la spalla per il paziente emiplegico. 

1)
La riduzione del tono in seguito ad emiplegia è del tutto fisiologica
intendo dire che è compatibile con le prime fasi della convalescenza, quando l’organismo vive una condizione di ipo-eccitabilità, una sorta di richiesta di quiete da parte del nostro corpo. 
L’omero è tenuto in sede non solo dai muscoli ma anche dai legamenti, pertanto il rischio di lussazione o sublussazione spontanea è escluso
Ciò che può determinare una lussazione in questi casi
sono le eventualità di ordine traumatico, come una eventuale caduta
o, come spesso accade, la tendenza ad aiutare il paziente a sollevarsi sostenendolo proprio dal braccio paralizzato. Quest’ultima sembra una ovvietà, ma l’esperienza mi impone di sottolineare sempre che 
bisogna sostenere il paziente ad alzarsi solo dal lato opposto alla lesione

2)
Abbiamo dibattuto sul dolore post ictus in questa pagina;
qui possiamo riassumere l’argomento dicendo che spesso il dolore provato dal paziente in seguito ad un ictus è di tipo neuropatico, ovvero causato da una alterazione delle informazioni percepite attraverso il corpo
 e non necessariamente da un problema fisiologico delle articolazioni
A questo si aggiunge ovviamente 
la condizione del mancato movimento della spalla 
e la sensazione spiacevole del peso del braccio. 
Pertanto qualsiasi sensazione spiacevole può risultare alterata ed amplificata dalla condizione neuropatica. 
Il problema del paziente emiplegico non è solo nei confronti del movimento del braccio, 
ma anche nella percezione e nella difficoltà di prestarci attenzione ( a questo proposito rimando alla lettura dell’articolo sul neglect). 
Legare con un tutore il braccio del paziente 
con il quale ha difficoltà di percezione e di consapevolezza,  
non aiuta il percorso terapeutico
che invece deve essere rivolto proprio al miglioramento di questi aspetti cognitivi. 
Significa escludere il braccio del paziente dal percorso terapeutico che deve essere invece protratto anche nelle tante ore in cui il paziente non fa terapia. 

3)
Quando il paziente si trova nelle prime fasi del recupero 
non ha molte capacità di camminare autonomamente,
 pertanto passa gran parte del suo tempo seduto sulla sedia
In questo caso è totalmente inutile il tutore in quanto la migliore pratica in questa posizione è poggiare la mano su un cuscino piatto e rigido posto sulle cosce ( trovi la spiegazione estesa di come gestire la mano in posizione seduta in questa pagina). 
In tal caso il peso del braccio viene sostenuto dall’appoggio sul cuscino o dalla mezzaluna della carrozzina. 

4)
In genere l’utilizzo del tutore viene giustificato  
dal fatto che il paziente lo deve tenere mentre cammina, 
quando a fronte di una fase flaccida dell’emiplegia il peso del braccio grava sulla spalla
Ma qui entriamo in un argomento ancora più ampio, 
quello della quantità di cammino che ci possiamo permettere nelle prime fasi del recupero,
onde evitare che il paziente generi dei compensi e vizi del cammino ( per una lettura più approfondita sull’andatura falciante suggerisco questo articolo). 
Pertanto nelle prime fasi non saranno quantitativamente molte le situazioni in cui il paziente è chiamato a camminare, o perlomeno non tanto da giustificare l’utilizzo di un tutore per la spalla.

5)
Inoltre il cammino non è fatto di sole gambe
ma partecipano anche le braccia, ed il paziente deve imparare a gestirle durante il cammino senza alcuna limitazione imposta.

In conclusione 
Il tutore per la spalla viene indicato come soluzione per evitare il rischio di sublussazione, 
ma sono le attività riabilitative e di assistenza inadeguate a crearne il rischio, 
pertanto è preferibile agire sulla corretta gestione della riabilitazione e della quotidianità.

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