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Quando il paziente dopo un ictus non è collaborante

Nel momento in cui ascoltiamo questa frase dagli operatori in ospedale o in clinica riabilitativa: “ il paziente non è collaborante”, ci crolla il mondo addosso. 
Abbiamo appena superato la fase più critica dove non sapevamo neppure se il nostro congiunto sarebbe sopravvissuto all’ictus e adesso ci troviamo nel momento in cui ci stiamo rimboccando le maniche per riorganizzare la vita di tutta la famiglia. 
Siamo determinati e vogliamo uscirne vincitori anche se con qualche ferita non importa, ma quando arriva il fisioterapista o il fisiatra della struttura e vi dice che il vostro caro purtroppo non collabora e non partecipa attivamente alla fisioterapia, vi sentite ancora più in difficoltà; come se doveste combattere contro un nemico in più. 
Vi anticipo già che non si tratta di un nemico in più, si tratta dello stesso identico nemico che avevamo dal momento dell’ictus, solo che però ha bisogno di accortezze terapeutiche particolari. 

A quali paziente in genere viene detto di non essere collaboranti? 
In genere questa etichetta viene affibbiata a 2 tipologie di pazienti

- Paziente con Emiplegia Destra con Afasia e Aprassia 

- Paziente emiplegico sinistro con disturbi della consapevolezza e dell’attenzione 

Questi due tipi di pazienti rappresentano una buona fetta del totale dei pazienti che hanno subito un ictus, pertanto la frase “il paziente non è collaborante” ogni giorno investe decine di pazienti.

Vediamo nel dettaglio perché questi due tipi di pazienti vengono classificati come non collaboranti. 

Paziente con Emiparesi a destra
Nella maggiorate dei casi in seguito ad una ischemia o emorragia cerebrale che abbia colpito l’emisfero sinistro del cervello, oltre alle difficoltà motorie che avremo nel lato del opposto del corpo, quindi il destro, potremmo essere soggetti anche a disturbi del linguaggio : Afasia
Li ho definiti disturbi del linguaggio e non della parola, in quanto la difficoltà del paziente con afasia non è solo quella di pronunciare le parole, spesso è anche quella di comprendere le parole altrui. Ci troviamo quindi di fronte ad un disturbo della comunicazione, specialmente quando in associazione all’afasia c’è un quadro di aprassia. 
Per comprendere meglio l’aprassia ti suggerisco di leggere questa pagina, ma nel frattempo ti anticipo che l’aprassia è una sorta di "afasia del corpo", ovvero una difficoltà di comprendere e riprodurre i movimenti. 
Puoi allora bene immaginare come per questi pazienti sia quasi impossibile comunicare: non riescono a comprendere le istruzioni impartite dall’esterno, non possono rispondere o parlare, e non possono nemmeno fare gesti per comunicare perché la comprensione dei movimenti è alterata, spesso non riescono nemmeno a fare cenno "si" o "no" con la testa. Se gli chiediamo di fare qualcosa, non ci comprendono, se vogliamo che eseguano un movimento e gli chiediamo semplicemente di imitare quello che facciamo, purtroppo non riescono a comprendere a pieno il nostro movimento e non sono in grado di riprodurlo. 
Quando ci troviamo di fronte ad un paziente di questo tipo, noi professionisti, non possiamo pretendere di comportarci come con tutti gli altri pazienti, dobbiamo considerare tutte le loro difficoltà comunicative, perché se apparentemente può sembrare che intenzionalmente siano loro a decidere di non collaborare, si trovano blindati in una "gabbia di vetro" che non gli consente di rapportarsi in modo adeguato con il mondo esterno. Ci tengo a scrivere quest’articolo, perché i familiari che mi scrivono tutti i giorni raccontandomi le loro vicende, riportano sempre questa frase dandola per vera e rammaricandosene per questo. La mia risposta è sempre la stessa, cioè che non si tratta di una responsabilità del paziente, ma del terapeuta: 


 “ La collaborazione del paziente è direttamente proporzionale all’adeguatezza delle richieste proposte dal terapista” 

 Quando vengo chiamato per i corsi professionali nelle Asl e nelle cliniche, per insegnare la riabilitazione neurocognitiva dopo ictus, inserisco sempre nel programma del corso, il trattamento del paziente emiplegico destro, per dimostrare che anche con il paziente più grave e con il quale apparentemente non siamo in grado di comunicare, abbiamo la possibilità ed il dovere di offrire sempre la migliore riabilitazione.

Per comprendere meglio alcune delle difficoltà del paziente emiplegico destro con Afasia ed Aprassia, ti mostro un breve video dove eseguo il test di De Renzi con uno dei miei pazienti, dove hai l’opportunità di vedere come sia difficile copiare i miei movimenti anche con il suo arto sinistro, quello che in teoria dovrebbe essere “sano” 




La paziente che hai appena visto in video è uno di quei pazienti che classicamente viene definito non collaborante, ma in realtà la collaborazione non è il suo problema, il suo problema è l’interazione e dobbiamo essere noi fisioterapisti ad adottare le giuste strategie per costruire al meglio una linea comunicativa. Nel video successivo voglio mostrarti un esercizio eseguito con un paziente con Afasia ed Aprassia. 
Lo scopo per il quale ti mostro questo video è duplice, da una parte voglio mostrarti le modalità con le quali è possibile costruire una condotta terapeutica con un paziente con il quale sembra impossibile comunicare, dall’altra ti mostro che non solo con le giuste accortezze il paziente collabora, ma lo può fare anche se a proporgli l’esercizio non è uno specialista, bensì un familiare. Infatti la terapista che vedete nel video non è una professionista, è semplicemente la figlia che ha imparato un semplice esercizio dove viene costruito il primo mattoncino di una comunicazione efficace : L’indicazione. 





Paziente con Emiparesi a sinistra 
Se per il paziente emiplegico destro che ha dei disturbi del linguaggio, è più semplice intendere che il grado di collaborazione non dipenda da una scelta intenzionale, ma sia il risultato delle sue difficoltà di comunicazione, per il paziente emiplegico sinistro che invece ha mantenuto integre tutte le sue facoltà linguistiche, risulta più complesso fare questo passaggio. 
Purtroppo a volte dopo che i familiari ascoltano la sentenza “… paziente non collaborante” , ci credono e partecipano anche loro a colpevolizzare il paziente. Anche nel caso della persona che ha subito un ictus all’emisfero cerebrale destro e conseguente paresi dal lato sinistro del corpo, oltre ai problemi motori presenta spesso dei problemi di tipo cognitivo. 
Questi coinvolgono specialmente l’attenzione e la consapevolezza. Uno dei principali problemi cognitivi del paziente emiplegico sinistro è l’attenzione, per loro, specialmente nelle prime settimane, è molto difficile prestare attenzione in generale ed in particolare nei confronti del corpo, in alcuni casi si manifesta una vera e propria omissione di tutto quello che accade al loro lato sinistro. 
Per approfondire questa sindrome che viene chiamata neglect, ti consiglio questo articolo.

In aggiunta spesso, quando le lesione cerebrale coinvolge anche i lobi frontali, possiamo assistere a dei disturbi della consapevolezza del loro stato patologico: Anosognosia. Le persone coinvolte da questo problema non riescono a rendersi conto totalmente di cosa gli sia accaduto e per questo non riescono a valutare come appropriati gli interventi terapeutici. Immaginate quindi come sia difficile per il paziente poter affrontare una riabilitazione classica, con una attenzione molto debole nei confronti del corpo ed una difficoltà di fare il passaggio logico dall’evento lesivo subito, all’intervento terapeutico necessario a cui sottoporsi. 
Sono pazienti che vengono classificati come svogliati ed indisponenti e gli vengono attribuite delle responsabilità intenzionali a tale comportamento, senza considerare invece che non si tratta di un problema aggiuntivo all’emiparesi, ma il problema stesso che partecipa alla mancanza di movimento. 
Anche in questo caso non è accettabile ascoltare l’etichetta paziente non collaborante, perché anche qui è il talento del terapeuta a fare la differenza, che lo porta a studiare le proposte terapeutiche più adeguate ed adatte alle difficoltà di attenzione e di consapevolezza.

In quest’ultimo caso mi trovo spesso a dover affrontare tale problema con i familiari che portano avanti la riabilitazione in famiglia, infatti si stupiscono e mi domandano per quale motivo devono essere sempre loro a doversi proporre per fare gli esercizi mentre loro che sono i diretti interessati, fanno fatica a trovare la motivazione nel lavoro. In questo caso sappiate che è piuttosto compatibile con la lesione. 
Dovete vedere questo atteggiamento come uno dei problemi causati dall’ictus e non una volontà di lasciarsi andare del paziente. Ricordiamoci sempre che non c’è persona più motivata a voler riconquistare la propria vita, del paziente stesso. 

Purtroppo la lesione cerebrale gli ha compromesso alcuni passaggi logici e razionali in grado di permettergli il giusto atteggiamento nei confronti della cura del proprio problema. Mi auguro che questo scritto aiuti i familiari che si trovano a vivere delle situazioni analoghe, ad interpretare più correttamente il problema della collaborazione ed i professionisti che invece hanno in cura pazienti con queste caratteristiche ad esitare qualche secondo in più con la biro in mano prima di scrivere nella cartella del paziente l'alibi “ paziente non collaborante

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