Nell’articolo :” Linguaggio come strumento della riabilitazione neurocognitiva” abbiamo definito la necessità di soffermarci con attenzione di fronte alle descrizioni del nostro paziente del suo corpo e del movimento, perché ci permettono di avere un accesso diretto a quegli elementi che vogliamo recuperare, ma che sono inaccessibili dall’esterno, ovvero il vissuto, l’esperienza cosciente ed il suo modo di organizzarsi nei confronti della sua patologia.
Il linguaggio diventa strumento di interpretazione e terapeutico al tempo stesso. Nell’articolo invece dedicato alla “Metafora”, abbiamo analizzato le chiavi di lettura e di ascolto delle parole del paziente, infatti abbiamo visto come il “sentir tirare”,
spiegazione presente nella maggiorate dei pazienti che hanno subito un ictus cerebrale, poteva essere opportunamente indagato ed approfondito fino ad accedere ad una descrizione del paziente che svelava in modo più intimo il suo vissuto nei confronti di quell’aspetto del tirare.
Per esattezza questo di seguito è lo stralcio del dialogo usato nell’articolo precedente sulla metafora, se stai leggendo questo articolo prima di aver letto gli altri 2, linguaggio come strumento e quello sulla metafora, ti consiglio di leggerlo come terzo in quanto ne è consecutivo.
T: “Cosa succede?”
P: “ Sento tirare”
T: “ E cosa intendi per tirare?”
P: “ Come un qualcosa che tira”
T: “ E quel qualcosa che tira a cosa assomiglia?”
P: “ È come se ci fosse un elastico che quando provo a fare il movimento tira”
In questo breve dialogo è già avvenuto un primo atto terapeutico, perché il terapista con le sue domande Clean, che hanno cioè riflettuto le stesse parole del paziente, gli ha permesso di approfondire e di chiarirsi alcuni aspetti della sua esperienza del corpo e del movimento che in precedenza erano occultati ed impliciti, rendendoli invece espliciti e reali.
Invitando il paziente a spiegare il suo vissuto attraverso il ricorso di una metafora, il terapista gli ha permesso di materializzare la sua percezione facendolo attingere al suo panorama di esperienze.
Spontaneamente il paziente ha utilizzato una metafora mutuata dal mondo fisico, “l’elastico”, che per lui contiene degli elementi in comune con la percezione del “tirare”.
Ovviamente il paziente fa riferimento alla sensazione dovuta all’aumento del tono dei suoi muscoli spesso presente in un paziente emiplegico a causa della spasticità.
Riassumendo la spasticità è la risposta automatica del nostro organismo alla alterazione dei processi cognitivi che ci permettono di gestire intenzionalmente il movimento, tanto più aggressiva tanto più alterate ed inattendibili risultano le informazioni che siamo in grado di costruire con il nostro corpo.
Per questo si tratta già di un primo atto terapeutico chiedere al paziente “Cosa intendi per tirare?” , “E quel qualcosa che tira a cosa assomiglia?”, perché mettiamo il paziente nella condizione di conoscere meglio il suo corpo, non è un caso infatti che in molte circostanze già in questa fase preliminare, paziente e terapista iniziano già ad accorgersi di una prima lieve riduzione del “tirare”, perché stiamo assecondando la necessità del nostro sistema nervoso centrale di organizzare meglio le informazioni costruite con il nostro corpo.
In definitiva abbiamo invitato il paziente a portare attenzione al suo corpo, proprio come lo induciamo quando costruiamo un esercizio di riconoscimento di posizioni nello spazio e man mano sperimentiamo un progressivo adattamento del tono dei muscoli. Quello che accade sovente è che però al di fuori dell’ora di terapia il paziente non riesca sempre in modo efficace a mantenere le modifiche ottenute con l’esercizio, per questo il ruolo del terapista è anche quello di rendere il paziente autonomo nel poter continuare la terapia anche quando è da solo con il suo corpo, affinando le sue capacità di capire e comprendere il suo corpo e i suoi strumenti per gestirlo e controllarlo.
Pensiamo al paziente che vediamo per la prima volta e durante il nostro primo colloquio all’interno della prima osservazione, vedendo il suo braccio evidentemente irrigidito dall’ipertono gli chiediamo:
T :“ Che mi sa dire del suo braccio?”
P : “Niente di particolare, ma non si vuole muovere”
T : “ C’è dell’altro oltre che non si vuole muovere?”
P : “No, non si muove e basta”
A questo punto decido di aiutarlo a dirigere l’attenzione su uno dei motivi per cui al momento non è possibile il movimento.
T “ Oltre che non si vuole muovere, sto notando che si trova in una posizione diversa dall’altro” ( in quel momento il braccio si presentava raccolto al corpo, con il gomito piegato, polso flesso e mano chiusa, una conformazione del braccio piuttosto diffusa in caso di spasticità)
P “ Ah si ogni tanto sale” ( e nello stesso tempo cerca di stendere il gomito con l’altra mano, ma il braccio torna sempre alla sua posizione flessa) Un paziente come questo, che non è in grado nemmeno di identificare alcuni dei suoi problemi evidenti nel suo corpo come la presenza di un forte ipertono, come farà o poter tenere sotto controllo questo fenomeno se non ne ha ancora alcuna conoscenza?
Il nostro ruolo di terapeuti non è quello di intervenire esternamente sul muscolo, ma internamente sulle capacità stesse del nostro paziente di organizzarsi in modo adeguato con il suo stesso corpo. Pensiamo alle grandi opportunità terapeutiche che ci vengono aperte dalla possibilità di esplorare il “mondo interno” del paziente, pensiamo alla possibilità di poter cambiare l’esperienza del corpo del nostro paziente utilizzando anche il nostro linguaggio oltre all’esercizio come siamo abituati a conoscerlo.
È proprio l’intento di questo articolo, descrivere la possibilità di modellare le metafore dei nostri pazienti modificando la loro esperienza del corpo e con essa il loro comportamento visibile e celato.
Processo che in linguistica ed in psicologia viene definito modellamento simbolico.
[ …. Lo scopo del modellamento è quello di identificare “qualcosa” e come questo “qualcosa” funzioni, senza influenzare ciò che viene modellato. Il modellatore inizia con una mente aperta, un foglio bianco e con l’obiettivo di scoprire il modo in cui funziona un sistema, senza tentare di cambiarlo …. ]
J. Lawwley et Penny Tompkins in “Mente e Metafore”
Questo è un passo di un libro molto significativo dove viene trattato il tema del Clean Language, una modalità di analisi psicologica ideata dallo psicologo neozelandese Davide Groove.
Ma quello che spesso facciamo in riabilitazione è addirittura avventurarci proprio nel facilitare il cambiamento del panorama metaforico del paziente, aiutandolo a liberarsi di cavi, fili , corde, ed elastici, aiutandolo a costruire un rapporto con il proprio corpo ed il movimento lontano dal panorama meccanico e più vicino a quello neurofenomenologico.
Nell’attività di modellamento simbolico dobbiamo interpretare le metafore di un paziente come la matrice, la materia prima, il blocco di “marmo”, dal quale nascerà la sua creazione.
Il nostro ruolo è di facilitare la comprensione e l’utilizzo delle sue metafore ed i suoi simboli per la scoperta e lo sviluppo di sé stesso.
[… L’essenza di una metafora è la comprensione e l’esperienza di una certa cosa nei termini di un’altra…] George Lakoff et Mark Johnson “ Metaphors we live by”
Per fare questo dobbiamo conoscere meglio la metafora come processo cognitivo e considerare che le metafore non sono tutte uguali e sono organizzate a livelli.
Per spiegarvi i livelli di esperienza che maturano determinate metafore, utilizzerò un esempio a me molto caro perché è il primo utilizzato dal Prof. Carlo Perfetti quando agli inizi del 2000 intuiva la fondamentale importanza della metafora per la riabilitazione neurocognitiva del paziente emiplegico.
“ La mia ragazza ha gli occhi come il mare”
Si tratta ovviamente di una metafora, che possiamo interpretare a diversi livelli: uno sensoriale, uno concettuale ed uno simbolico.
SENSORIALE : possiamo interpretare la metafora degli occhi come il mare da un punto di vista sensoriale che affonda cioè sulla nostra percezione del mondo attraverso i nostri sensi, pertanto gli occhi della mia ragazza possono essere BLU come il mare.
CONCETTUALE: Ad un livello di vissuto più elevato ed astratto questa metafora può essere letta in modo diverso: gli occhi della mia ragazza sono PROFONDI come il mare, il concetto di profondità comincia ad assumere caratteristiche più intime e personali rispetto all’idea sensoriale del blu.
SIMBOLICO: Ad un livello ancora superiore la metafora in questione può essere interpretata dal punto di vista simbolico ed ancora più strettamente connesso al vissuto personale di ciascuno di noi come, associare l’emozione di PERDERSI nello sguardo della ragazza a quella di perdersi nel mare sconfinato.
Questa distinzione dell’esperienza in diversi domini è fondamentale per orientarci durante lil trattamento con il nostro paziente ed aiutarlo a modellare la sua esperienza del corpo del movimento e di sé stesso.
Tornando al nostro paziente, abbiamo il dovere di aiutarlo a costruire una esperienza del suo corpo più funzionale al recupero del movimento, non possiamo lasciare che il nostro paziente continui a vivere il suo corpo come se ci fossero degli elastici al suo interno, perché il suo comportamento nei confronti del movimento ne sarebbe strettamente connesso. Possiamo già immaginarlo su di noi, come faremmo a muovere un braccio con degli elastici dentro?
Certamente utilizzeremo l’altra mano per stirarcelo e tenderlo per cercare di vincerne la resistenza elastica e per muoverlo applicheremo intenzionalmente più forza, attività che come sappiamo non può produrre altro che ulteriore tensione ed aumento della rigidità.
[… In tutti gli aspetti dell’esistenza ….. definiamo la nostra realtà in termini di metafore quindi continuiamo a comportarci sulla base delle metafore…] G. Lakoff
Dopo questa premessa sul valore della metafora per l’esperienza, passiamo a vedere in concreto come aiutare il paziente ad orientarsi nel suo stesso panorama metaforico.
1. IDENTIFICAZIONE DEL PROBLEMA
Come prima analisi gli abbiamo chiesto di elaborare il problema, il terapista volendo aiutare il paziente ad identificare determinati aspetti del suo braccio e fargli rendere conto di alcuni aspetti della patologia, ha delicatamente esteso il gomito del paziente dicendo
T: “Cosa succede?”
P: “ Sento tirare”
T: “ E cosa intendi per tirare?”
P: “ Come un qualcosa che tira”
2. LOCALIZZAZIONE NEL TEMPO E NELLO SPAZIO
Una volta portata l’attenzione alla presenza di un problema “come un qualcosa che tira”, il terapista vuole aiutare il paziente a costruire una rappresentazione più accurata dell’evento, facendo delle domande che lo orientino a collocare il fenomeno, al momento ancora indefinito “sento tirare”, in un determinato luogo del suo corpo e in un determinato istante del movimento.
T: “ E Dove senti quel qualcosa che tira?”
P: “ Proprio qui” ( il paziente tocca con la sua mano la regione del braccio che va dal gomito alla spalla)
T: “ E quando, proprio qui ( il terapista tocca a sua volta la stessa regione del braccio del paziente appena individuata) senti quel qualcosa che tira?” (dopo di che il terapista riproduce il movimento di apertura del braccio che in precedenza aveva fatto emergere il “sento tirare”
P: ( …Ad un terzo del movimento di apertura del braccio) “ Ecco proprio adesso comincia a tirare”
Come vediamo quel semplice “sento tirare” comincia ad arricchirsi di nuovi approfondimenti che ad una analisi superficiale e senza l’aiuto di un facilitatore esterno, il paziente non avrebbe probabilmente identificato da solo a differenza di quanto invece non stia facendo con la necessità di dover spiegare ad una seconda persona cosa sta accadendo nel suo corpo.
Mentre il paziente racconta al terapista le sue sensazioni allo stesso tempo se le sta spiegando a sua volta. Il terapista si pone nella posizione di non dover a tutti i costi comprendere le spiegazioni del paziente, anche se con la condizione di eterna meraviglia chiede ed approfondisce il vissuto del suo paziente, come se dovesse costruirsi un modello del suo modello interno.
Per questo motivo fino adesso le domande del terapista, non hanno mai contaminato l’esperienza del paziente con la propria, ha fatto domande che David Grove, definisce “clean”, pulite infatti, che riflettono esattamente le parole del paziente, con semplici prefissi ben studiati come “ E cosa intendi per….” , “ E dove senti ….”, “ E quando ….” dove la costante presenza della (E) risulta fondamentale per dare al paziente il senso che a quella domanda dovrà esserci una continuazione.
Queste domande hanno il solo scopo di permettere al paziente di esplorare il suo panorama interno, riuscendo a rendere una sensazione astratta in un qualcosa di reale e collocabile nel tempo e nello spazio, come tutti i fenomeni fisici in natura.
3. MATERIALIZZAZIONE
Qui avviene un passaggio molto creativo, dove mettiamo il paziente nella condizione di rendere reale a tutti gli effetti, quello che sta percependo nel suo corpo: gli chiediamo di materializzare.
[… Le metafore utilizzate per descrivere i pensieri, i sentimenti, i rapporti, i comportamenti complessi ed i concetti astratti sono principalmente ricavate dalle esperienze del mondo fisico; vale a dire, un mondo in cui le cose con una certa forma caratteristica si trovano in un certo luogo, e cambiano nel tempo, come risultato di eventi interni ed esterni…] J. Lawwley et Penny Tompkins in “Mente e Metafore”
T: “ E quel qualcosa che tira a cosa assomiglia?”
P: “ È come se ci fosse un elastico che quando provo a fare il movimento tira”
Abbiamo nominato più volte nell’articolo il paesaggio metaforico, ovvero l’insieme di tutte le componenti elementari della percezione del paziente (simboli), delle sue relazioni, degli schemi di relazioni e delle proprietà emergenti di ciascuna relazione.
In questo caso l’elastico rappresenta un simbolo, l’unità elementare di un panorama metaforico, il livello basico su cui si intrecceranno relazioni e significati con altri simboli tessendo una trama più complessa componendo appunto un panorama metaforico.
Per comprendere meglio le relazioni e le proprietà emergenti, pensiamo al “salato”, non è una proprietà del sodio e né del cloro, entrambi velenosi se presi singolarmente, ma la relazione tra di loro determina l’essere salato che ne è la proprietà emergente.
A questo punto aiutiamo ancora di più il nostro paziente a chiarirsi il simbolo “elastico”
T: “ E che tipo di elastico è questo elastico?
P: “hai presente quegli elastici verdi da ufficio che si usano per i fascicoli?”
Per creare una sintonia completa con il paziente, il terapista non solo rifletterà alla lettera le parole del paziente ampliandone la sua conoscenza con le domande clean, ma cercherà di usare la sua stessa mimica facciale, il tono di voce e la prosodia, perché anche queste forme non verbali danno forma al simbolo dell’elastico componendo il vissuto del paziente.
4. MODELLAMENTO
Dopo aver aiutato il paziente a materializzare questo aspetto del “tirare” che fa parte della sua esperienza del corpo in un determinato contesto, è il momento di aiutarlo ad incidere su questo fenomeno producendo dei cambiamenti.
T: “ Si adesso posso immaginare, sei stato molto chiaro”
T: “ E cosa vorresti accadesse adesso?”
P: “ Vorrei sentirlo così ( il paziente mostra il movimento dell’altro braccio quello non coinvolto della plegia)
T: “ Capisco, sembra che tra i due movimenti ci siano molte differenze, sei d'accordo se andiamo per gradi?”
“ Se siamo bravi e lavoreremo bene insieme fra un mese come mi racconterai questo movimento?”
P: “ Ti dirò che invece di avere un elastico verde da ufficio avrò quello giallo più fino e più piccolo”
T: “ E avrai quello giallo più fino e più piccolo…”
T: “ E sapresti immaginare che sensazioni proverai quando avrai quello giallo più fino e più piccolo?”
A questo punto il paziente chiude gli occhi e si prepara a sentire nella sua testa la sensazione che proverebbe se avesse l’elastico, quello giallo più fino e più piccolo e fa un cenno con la testa per comunicare al terapista che ha prodotto questa immagine.
Per comprendere meglio questo passaggio dove chiedo al paziente di “immaginare” la sensazione del nuovo simbolo da lui definito in un elastico giallo più fino e più piccolo ti suggerisco di leggere questo articolo sull’immagine motoria, e per comprendere la mia decisione di non accettare in quel momento la sua idea di utilizzare come modello l’arto sano, come non avrei accettato se il paziente avesse detto di voler “tagliare l’elastico” ti suggerisco la lettura di questo articolo che tratta “i mondi intermedi”
Il terapista adesso procede eseguendo lo stesso movimento di estensione del gomito eseguita in apertura di seduta e ripropone la stessa domanda dell’inizio”
T: “ Che succede?”
P: “ È strano, è andata meglio”
T: “ Ed è strano è andata meglio, cosa intendi per meglio?”
P: “ Ha tirato meno”
T: “ E ha tirato meno, come se avessi quello giallo più fino e più piccolo?”
P: “SI!”
A questo punto i pazienti in genere ti guardano un po’ con circospezione, increduli dell’accaduto : “è strano….”, ma anche un po eccitati della possibilità di poter partecipare attivamente al cambiamento su alcuni dei fenomeni del corpo particolarmente penosi , come quelli legati all’ipertono.
Qui si aprono molte possibilità per il terapista, potrebbe procedere infatti esplorando ancora di più il panorama metaforico del paziente ed aiutandolo a modellare ulteriormente la sua percezione o decidere di sancire il cambiamento con un ultimo passaggio che permetta al paziente di poter acquisire uno strumento per lui più fruibile durante l’esercizio o durante la sua vita quotidiana, una moneta tutta sua da spendere in autonomia: l’etichetta.
5. ETICHETTAMENTO
Etichettare un cambiamento all’interno del panorama metaforico significa trovare una chiave, un’ancora che il paziente possa ricordare e riutilizzare in modo più agile rispetto al ripercorrere tappa per tappa il processo che ha portato al cambiamento, in definitiva spostiamo l’attenzione del paziente da un dominio sensoriale e concettuale ad un dominio simbolico, “ricordate gli occhi della mia ragazza” ?
T: “ E se dovessi dare un nome a questa sensazione che hai provato?”
P: “ Direi che è stato WOW!”
T: “ Ed è stato WOW!”
Adesso il terapista avendo aiutato il paziente a trovare uno strumento di controllo del suo corpo più raffinato del semplice, stirarsi il braccio da solo con l’altra mano, può utilizzare questa esperienza rievocandola con l’ultima etichetta "WOW" generata dal paziente in modo da poterla riutilizzare all’interno di un esercizio conoscitivo, all’interno di una esperienza di confronto tra azioni CTA, o semplicemente in qualsiasi situazione vogliamo riportare l’attenzione del paziente al controllo su quel fenomeno.
L’argomento del linguaggio della metafora e del modellamento è particolarmente vasto ed impegnativo dovremo quindi rimandare ulteriori approfondimenti in altri articoli dove vedremo come applicare il clean language anche con un paziente con Afasia, dove non abbiamo la possibilità di comunicare con le parole e come gestire casi di reticenza o difficoltà nell’esprimere a parole una propria sensazione; ricordiamoci infatti che quando ci rechiamo da un fisioterapista ci aspettiamo ancora che ci proponga mobilizzazioni passive o stretching e non sempre siamo preparati ad aprire le porte del nostro mondo interno.
In questo video c'è un breve estratto di un esempio di modellamento simbolico con un paziente afasico. Ritengo questo video un documento molto importante per testimoniare che anche il paziente con afasia può comunicare molto al terapista del suo stato.
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Molto interessante, lo si puo' avere in francese? Lavoro con una persona che a seguito di un'emorragia cerebrale causata da un incidente non riconosce i colori, campo visivo ristretto, marcia indecisa, non trova le porte per uscire, etc.. per la memoria a corto termine ha fatto grandi progressi, ora si ricorda gli ultimi 5 minuti, la scrittura l'ha ricordata e la calligrafia é migliorata ultimamente.. mi piacerebbe farlo vedere bene, come posso fare? grazie in anticipo per i tuoi consigli preziosi.. Rodolfo Lavorato
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