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LESIONI FRONTALI

Quando una ischemia cerebrale o una emorragia coinvolge anche la parte anteriore del nostro cervello, e quindi la zona frontale e prefrontale, possiamo riscontrare nel paziente alcuni disturbi più o meno marcati del comportamento
Si tratta di alterazioni del comportamento che a volte sono tali ad indurre i familiari a credere ci sia stato un repentino cambio di personalità, proprio perché come vedremo in seguito, i lobi frontali regolano molti aspetti del nostro ragionamento e comportamento sociale
Il cambiamento del comportamento e della personalità del paziente, in seguito ad un ictus che abbia coinvolto i lobi frontali, deve essere considerato come il risultato diretto della lesione cerebrale che ha subito il sopravvissuto, e in nessun modo ad un atteggiamento o scelta di comportamento voluta dal paziente. 
Mi trovo spesso a ripetere questa frase, perché se ci pensiamo il comportamento non è come il movimento: il movimento lo possiamo vedere, toccare e misurare, ma il comportamento è qualcosa di meno tangibile e concreto. Quindi mentre di fronte alle turbe del movimento del nostro caro riusciamo a fare facilmente 1+1 (ovvero la lesione cerebrale è la causa della paralisi) con il comportamento questa semplice addizione diventa più complessa e fatichiamo a vedere il movimento ed il comportamento come la punta dell’iceberg di una complessa organizzazione cognitiva che ha origine nel nostro cervello. 
Pertanto, di fronte al comportamento del nostro amato che appare così diverso e cambiato, quel semplice 1+1 diventa difficile e rischiamo di colpevolizzarlo di tale cambiamento come se fosse intenzionale o psicologico
Per descrivere le possibili alterazioni del comportamento in seguito ad una lesione dei lobi frontali utilizzerò, come molti, il caso illustre di un paziente; ciò sia per la spettacolarità dell’evento che ha indotto la lesione, sia per la precisione della lesione stessa. Essa ci permette di individuare molti meccanismi cognitivi a cui i lobi frontali forniscono il loro contributo nella definizione del nostro comportamento personale e sociale.

(da min. 6:00 la storia di Phineas Gage)



Sto parlando di Phineas Gage, un carpentiere di 25 anni del New England, che intorno la metà dell’800 durante un lavoro in un cantiere si trovo a pochi passi da una esplosione violenta, La detonazione scagliò come un proiettile una barra di ferro attraverso la testa di Phineas, trapassandola da parte a parte; trafiggendolo proprio dal basso verso l’alto e danneggiando i lobi frontali centralmente su entrambi i lati. 
Quello che rende incredibile la storia di Gage è che, come avete visto dalla rappresentazione in video, è rimasto sempre vigile anche durante l’esplosione. Ilsuo medico riferì di aver parlato tranquillamente col paziente e di non aver avuto dubbi sulla sua razionalità in quel momento, mentre riusciva addirittura a vedere attraverso la sua ferita “il cervello pulsare”. 
Gage non subì paralisi del movimento, ma non era più lui
Tutti i suoi colleghi di lavoro lo ricordavano come un lavoratore instancabile, attento, meticoloso, affidabile, dalle abitudini moderate degne di una mente equilibrata e di grande forza di carattere. In seguito alla lesione ai lobi frontali di Phineas tutte le caratteristiche della sua personalità sembravano si fossero rovesciate in un istante diventando: bizzarro, insolente, irrispettoso, scurrile, ostinato e spesso capriccioso come un bambino nell’intento di ottenere ciò che voleva. Si presentava altamente irritato ed insofferente ai vincoli, consigli ed impegni. Una delle caratteristiche che tutti ricordavano di Gage era la sua determinazione e lucidità nell’organizzare, programmare e portare a termine tutto ciò che si prefissava, mentre dopo l’incidente oltre a tutte le sue manifestazioni bizzarre del comportamento, dimostrava una totale incapacità nel pianificare una azione e quindi nel portarla a termine in modo efficace. 
Chiaramente il caso di Phineas Gage va preso come un esempio per identificare nei lobi frontali una regione del nostro cervello che partecipa alla costruzione del nostro modo di essere noi stessi, componendo aspetti della nostra ragione, del modo in cui proviamo sentimenti ed emozioni. 
La lesione che abbiamo descritto è stata piuttosto particolare, tuttavia è frequente che un ictus coinvolga in parte tali strutture. Infatti una zona molto frequente di lesione è definita fronto-parieto-temporale, che coinvolge cioè il lobo frontale, quello temporale ed il parietale. Pertanto è possibile notare nel paziente alcuni cambiamenti del proprio comportamento. 
Se la lesione coinvolge l’emisfero destro del cervello, alcuni dei disturbi che abbiamo descritto in Phineas si possono confondere con un’altra sindrome clinica chiamata Anosognosia che rappresenta la difficoltà di percepire il proprio stato di malattia. 
Un aspetto che accomuna le due manifestazioni cliniche è la difficoltà da parte del paziente di poter fare delle pianificazioni coerenti e di portarle a termine, soprattutto se sono indirizzate alla propria salute e se costano sacrificio
In alcuni casi, nello stesso paziente si possono addirittura presentare le caratteristiche sia delle sindromi frontali sia dell’anosognosia. 
Ora è chiara la ragione per cui ho deciso di scrivere questo articolo: perché oltre agli equilibri familiari sono a rischio anche tutte le attività di cura, inclusa la riabilitazione
Mi capita molto spesso di assistere delle famiglie che vogliono apprendere gli esercizi da eseguire in casa con il proprio caro, ma l’ostacolo che si trovano di fronte non consta solo nel ritagliarsi il tempo necessario per mettersi al lavoro sugli esercizi, ma anche nella mancanza di partecipazione e collaborazione da parte del paziente. 
Questo crea una grande tensione in casa, perché i familiari individuano nella costanza e qualità del lavoro gli ingredienti fondamentali per ottenere risultati, mentre il paziente nonostante stia anche migliorando, non ne vuole sapere di fare riabilitazione
In questo caso dobbiamo imparare a considerare le turbe del comportamento come effetti diretti della lesione che il nostro familiare ha subito, proprio come facciamo per la paralisi degli arti o la perdita della sua percezione, e indirizzare il nostro modo di comportarci col fine di aiutarlo a ricostruire un modello di comportamento adatto al contesto sociale in cui si trova. 
A volte è proprio questa la domanda che i familiari mi rivolgono spesso: assecondare o imporsi? 
Bisogna gestire la situazione con una estrema lucidità e fermezza d’animo, perché solo chi vive tutti i giorni con un paziente con tali disturbi può sapere come possa essere logorante il ripetersi degli stessi conflitti o ostinazioni giorno dopo giorno.
Abbiamo detto che il comportamento sociale è regolato da funzioni cognitive, proprio come lo è il movimento ed il linguaggio, e come tale viene appreso modellato sulla base delle esperienze. Proprio come il movimento e l’afasia in seguito ad un ictus possono migliorare, anche la razionalità può essere migliorata. Quando prima stavi leggendo la storia di Phineas Gage avrai pensato che il suo comportamento fosse come quello di un bambino: in un certo senso quando siamo bambini dobbiamo apprendere tutte le regole ed i vincoli sociali e questo avviene gradualmente grazie all’insegnamento dei nostri genitori, che ci guidano nella ragnatela di regole e convenzioni sociali. 
È ipotizzabile un parallelismo di questo tipo nel paziente che in seguito ad una lesione perda, anche se in parte, la possibilità di accedere di nuovo alle regole e convenzioni che ci orientano in una sana convivenza con “noi stessi” e con l’ambiente circostante. Egli perde così anche l’abilità di creare dei piani e dei programmi efficaci che investano la sfera personale.
Dobbiamo essere capaci di intervenire sulla capacità del nostro caro di poter imparare a pianificare di nuovo una azione, di programmarla e di portarla a termine, seguendo passo passo ogni passaggio del piano. 
Ogni nostra azione è mossa a diversi livelli, da un bisogno biologico, da una emozione e dalla razionalità di conseguire una ricompensa o evitare una privazione
Pertanto il primo passaggio è quello di far inquadrare il bisogno di una determinata azione su cui vogliamo che il nostro caro partecipi, per poi legarla ad una emozione, facendo anche ricorso ad esperienze passate; infine ragionare insieme sui possibili effetti positivi al termine dell’azione o sugli effetti negativi legati all’assenza di tale azione. 
Mentre scrivo il mio pensiero è ovviamente rivolto alle famiglie che in casa stanno lavorando con il proprio familiare con la riabilitazione neurocognitiva e si trovano a dover affrontare “un problema nel problema”: non solo il proprio caro è affetto da una paralisi più o meno severa, ma anche da una condizione comportamentale che rende il lavoro quotidiano sempre difficile e teso. Quando è il momento di accomodarsi per iniziare il lavoro iniziano le lamentele, mostrando stanchezza, disattenzione e riferendo dolore ad ogni movimento; rendendo praticamente impossibile ogni tentativo di approccio terapeutico. In questo caso imporre la terapia dà origine ad ulteriori conflitti, ma il familiare sa che cedere in quel momento significherebbe abbandonare le speranze di recupero e lasciare il proprio familiare nella prigione cognitiva creata dalla lesione. Pertanto è necessario mantenere la massima lucidità e muoverci noi stessi in modo razionale per individuare la corretta strategia.

Per prima cosa dobbiamo essere consapevoli che nelle fasi iniziali potremmo non riuscire tutti i giorni a persuadere il nostro caro nel partecipare alla riabilitazione, in questo modo potremo dosare con efficacia le nostre strategie.
Ogni familiare conosce il proprio caro meglio di chiunque altro, ed anche se la lesione ha determinato dei cambiamenti del suo comportamento, conosce a grandi linee le leve persuasive su cui fare pressione e i desideri che attraverso il recupero il nostro caro può soddisfare. Dobbiamo quindi guidarlo ad esternare quali siano i bisogni ed i desideri che vorrebbe per primi riconquistare: come ad esempio tornare a guidare la macchina o a partecipare alle attività dell’azienda di famiglia o a cucinare o altro. 
A questo punto dobbiamo aiutare il nostro famigliare a legare questo desiderio ad una matrice emotiva profonda, caricandolo di valore e di vissuto, ancorandolo anche a ricordi o esperienze passate, significative dal punto di vista emozionale. 
Dopo avere permesso che il nostro caro abbia delineato lui stesso i desideri a lungo termine da realizzare, sarà il momento di delineare i passaggi fondamentali per poterli soddisfare: come il recupero, la riabilitazione, la quantità e frequenza dei trattamenti, fino all’orario preferito per eseguire la fisioterapia. 
In modo che sia una costruzione, anche se guidata, partorita dal nostro paziente
In molti casi, anche se questa programmazione avviene più volte a causa dei possibili deficit di memoria ed apprendimento, faccio scrivere direttamente al paziente su un quaderno il risultato del piano di azione determinato, in modo da incidere su un suo residuo principio di coerenza
A quel punto all’interno del singolo esercizio dobbiamo essere in grado di eseguire la stessa pianificazione, individuando il potenziale beneficio a breve termine di ciascun esercizio all’interno dell’obiettivo più ampio. 
Chiaramente quando ci troviamo di fronte anche a disturbo del linguaggio tutto ciò risulta ancora più difficile. 
Letta in questo modo appare semplice, ma sappiamo tutti che la realtà dal contesto quotidiano è ben più complessa: non tutti i giorni avremo i nervi saldi per ingaggiare con il nostro caro una programmazione di questo tipo e dovremo a volte cedere, mantenendo però chiara la necessità di riprendere appena possibile per poter incidere sul suo recupero. 
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