Il dolore che il paziente emiplegico prova in seguito ad un ictus cerebrale ha con tutte probabilità connotati neuropatici, per intenderci come il dolore da arto fantasma in seguito ad amputazione.
Quello che verrà di seguito rappresentato, rappresenta il sunto di uno dei progetti di ricerca di avanguardia, nei confronti del dolore, elaborati negli ultimi anni dal Prof. Carlo C. Perfetti.
Per gli addetti ai lavori il dolore è da sempre, uno dei problemi principali, sia dal punto di vista interpretativo e clinico, sia dal punto di vista riabilitativo.
I problemi principali nascono già nel laboratorio del neurofisiologo quando tenta di definirne i percorsi e le modalità di trasmissione del dolore.
Il primo ostacolo che il neurofisiologo ha incontrato nello studio del dolore, è stata nella ricerca dei recettori del dolore.
Infatti si accorse che non esistono recettori specifici per il dolore, ma terminazioni nervose libere.
Il secondo problema che dovette affrontare il neurofisiologo, fu nei confronti delle vie di conduzione che trasportano “l’informazione dolorifica”, non ve ne era infatti una specifica, ma ne trovò di due tipi, con due velocità di conduzione differenti, è per questo motivo che conosciamo due tipi di dolore diverso.
Facciamo un esempio pratico
Se ci pungiamo con un ago, percepiremo un dolore acutissimo immediato a cui poi farà seguito un dolore più “morbido”, ma molto più sentito, con ogni probabilità questo è legato al fatto che ci siano due tipi di fibre per il dolore.
Alcuni autori, tra i più eminenti nella storia dello studio del dolore e del dolore neuropatico, Patrick Wall e Ronald Melzach, a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70, si accorsero che le fibre provenienti dalle terminazioni nervose periferiche, non erano le uniche a raggiungere il midollo, nella stessa zona del midollo (il corno posteriore), giungeva anche una via proveniente dal cervello, se ci riflettiamo questa osservazione è decisamente importante.
Infatti sta a significare, che il dolore, non solo è il risultato di una mediazione e convergenza tra più stimoli derivanti dalla periferia, ma rappresenta il risultato di una partecipazione attiva, cosciente ed identificata dall’azione corticale.
Ora è condiviso da tutti che il cervello partecipa alla processo di produzione del dolore, ma in quel periodo si cercava di comprendere in che modo avvenisse tale partecipazione tra i vari attori del dolore, nacque in quel periodo la “gate controll theory”, teoria del cancello, sulla quale non mi soffermerò, ma che per semplificare racchiuderò in un esempio: ovviamente è capitato a tutti di sbattere la testa da qualche parte, ti sei accorto come automaticamente la prima cosa che hai fatto è stato strofinare la parte colpita con la mano?
In quel momento non hai fatto altro che utilizzare il “cancello”, ovvero hai portato la tua attenzione a quelle informazioni tattili, che trasmesse attraverso le vie di conduzione a maggiore velocità, hanno raggiunto il ganglio spinale prima di quelle a minor velocità, chiudendogli in parte il cancello in entrata; una sorta di competizione informativa.
Quello che ovviamente dovremo sviluppare nel corso del trattamento non è tanto questo tipo di cancello, ma quello corticale più elaborato e raffinato, ma questo lo vedremo in seguito.
Eravamo rimasti alle grandi difficoltà che il neurofisiologo ha incontrato ed incontra ancora oggi nell’interpretazione e nello studio del dolore neuropatico, ed eravamo arrivati solo fino a livello midollare, ora basti pensare che dal quel momento in poi, la matrice nervosa che giungerà al cervello, incontrerà nel suo percorso numerose stazioni intermedie dove entrerà in contatto con altri circuiti neuronali all’interno dei quali la modulazione dell’informazione diverrà man mano più complessa, assumendo diverse sfumature sensoriali ed emotive.
È per questo che molti tipi di dolore sono difficili da risolvere, non è sufficiente infatti eliminare un recettore o una fibra nervosa o fare strane manipolazioni nervose.
Quello di cui sto parlando, si tratta del dolore neuropatico, che non è lo stesso che proveremmo bucandoci con uno spillo (dolore fisiologico) o quello in seguito ad una contusione (dolore infiammatorio).
Proviamo ora a comprendere il dolore in termini di definizioni. La I.A.S.P., ovvero la associazione internazionale per lo studio del dolore definisce il dolore come:
“una esperienza sensoriale emozionale spiacevole associata ad un danno tissutale, potenziale o in atto”.
La stessa definizione del Dolore, prevede ci sia la possibilità che si tratti di una esperienza sensoriale ed emozionale e che il danno tissutale non necessariamente debba essere in atto, si parla infatti di danno potenziale.
Facciamo un altro esempio che in genere è efficace, probabilmente avrai sentito parlare già del dolore da arto fantasma.
È il dolore che prova l’amputato proprio nella parte che è stata asportata!!
In quel caso, in quella parte del corpo non ci sono evidenze cliniche di alterazioni biologiche o lesioni, per il semplice motivo che la parte non c’è più!
Ma il dolore c’è e spesso è decisamente intenso.
Ma allora come viene spiegato il dolore di tipo neuropatico? Partiamo anche in questo caso dalla definizione della I.A.S.P. :
“ dolore originato o causato da una lesione primaria o da una disfunzione del sistema nervoso centrale o periferico”
Merskey, Bogduk 1994
Quindi in assenza di una lesione primaria, come nell’amputato dove gli esiti cicatriziali sono risolti e nel caso della fibromialgia dove la lesione di fatto non né avvenuta, la natura del dolore va ricercata proprio nella disfunzione del sistema nervoso centrale.
Ma in cosa consiste questa disfunzione?
A questo proposito dobbiamo mettere in gioco nuovamente uno studio neurofisiologico, davvero recente che risale al 1999, il cui autore è lo stesso Ronald Melzach che abbiamo conosciuto in precedenza insieme a P.Wall con la “Gate Controll Theory”.
Il nome del lavoro in questione potrà sembrare all’inizio un po’ bizzarro, in realtà è decisamente coerente, stiamo parlando della teoria della “body self neuromatrix” ovvero la matrice nervosa del sé corporeo.
In definitiva l’autore identifica il sé corporeo come l’insieme delle informazioni derivanti dalla superficie recettoriale corporea attraverso la matrice nervosa, ovvero tutte le informazioni che riusciamo a costruire con il nostro corpo, rappresenterebbero il nostro “sé corporeo”, e l'acquisizione, la conduzione, la modulazione e l'analisi di queste informazioni, avverrebbe all'interno di una fittissima rete neuronale definita appunto matrice nervosa, la neuromatrix.
Ma quale è la natura del dolore neuropatico? Cosa succede? Quello che accade dopo una lesione o dopo un qualsiasi evento fisico o psicologico che metta in discussione o a rischio l’equilibrio informativo del nostro organismo, attraverso il quale organizza il movimento e la sopravvivenza, produce una risposta autorganizzativa dell'organismo stesso per riottenere una situazione di "omeostasi" cioè di equilibrio.
In che modo?
Escludendo quei canali informativi che non rappresentano più per l’organismo una fonte informativa attendibile, qui a questo punto interverrebbe una sostituzione da parte del sistema di quelle informazioni con segnali dolorosi, le così dette “neurofirme”, che hanno il compito di condurre l’attenzione dell’organismo sulla zona o ambito informativo del corpo attraverso il quale il processo di costruzione della percezione in un modo o nell’altro è stato alterato.
Ma cosa è che va storto?
A questo punto avviene un processo abbastanza comune, il nostro organismo vuole avvisarci di qualche anomalia del corpo e ricondurci l’attenzione su di esso, ma noi portiamo immediatamente l’attenzione solo sul segnale in uscita, ovvero quello del dolore, continuando ad ignorare il nostro corpo.
Il nostro sistema si trova quindi nella condizione di doverci chiamare “voce più alta” quindi aumentando la percezione del segnale doloroso, ma noi a quel punto faremo la stessa cosa di prima immergendoci ancora di più nel dolore ed entrando così in un vortice drammatico al quale nessuno riesce a porre rimedio con interventi esterni.
In questo ambito assume un ruolo fondamentale la riabilitazione neurocognitiva, che non si tratta di un intervento esterno, ma rappresenta la possibilità di costruire un sistema terapeutico all'interno del quale il paziente è messo nella condizione di ricostruire in maniera appropriata quella coerenza informativa, alterata durante il processo patologico.
Lo strumento che il riabilitatore neurocognitvo ha a disposizione per far fronte alla problematica del dolore neuropatico è L'esercizio Terapeutico Conoscitivo conosciuto anche come Metodo Perfetti.
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Per iniziare: l'articolo sulle 10 cose che devi sapere sull'ictus
che purtroppo non vengono mai dette.
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Valerio Sarmati