Non pensare all'elefante, cornici e metafore in riabilitazione

Prima di entrare nel vivo della lettura,
ti chiedo semplicemente di chiudere gli occhi e di NON pensare ad un elefante.


Lo so non ci sei riuscito, come non ci sono riusciti gli studenti del primo anno di corso di scienza cognitive dell'Università di Berkeley (California) dove insegna George Lakoff, uno dei più noti linguisti al mondo.

Perché Lakoff inizierebbe la sua lezione chiedendo ai suoi studenti di NON pensare ad un elefante? 
Proprio per dimostrare che quando neghiamo un concetto non possiamo evitare di evocarlo. 
Se ci pensi, qualcosa di simile accade spesso nelle palestre di riabilitazione, capita infatti di sentire il terapista chiedere al paziente: "provi a non concentrarsi sul dolore", ovviamente i risultati sono gli stessi che hai avuto prima nel non pensare all'elefante.

Non voglio entrare nel merito del risultato di una domanda del genere, ma voglio ragionare sull’intenzione che c’è dietro alla scelta di muovere una domanda come questa. Il linguaggio utilizzato è diverso da quello sincronico dei comandi da eseguire, per intenderci :” alza, alza alza, alza…”, “piega e fai forza”, è un linguaggio utilizzato per diverse velleità: incidere sul comportamento del proprio malato, modificandone il vissuto di fronte ad un dato evento.

Il fisioterapista è a conoscenza che il movimento, il recupero ed il dolore sono degli aspetti su cui non è possibile incidere se non viene coinvolta anche l’esperienza cosciente del malato, da qui il tentativo di intervenire oltre che con gli esercizi anche attraverso il linguaggio.

Attraverso la frase : “prova a non concentrarti sul dolore” il fisioterapista intuisce le smisurate potenzialità del linguaggio in riabilitazione, ma non le sfrutta a pieno. In definitiva l’uso del linguaggio come strumento terapeutico per modificare il comportamento del paziente ed indirizzarlo verso un recupero corretto, è insito nel ruolo del fisioterapista, è già un suo strumento chiave, ora si tratta di approfondirne gli aspetti e renderlo più efficace.

Il fisioterapista nel suo lavoro ha diversi oggetti di studio con i quali tutti i giorni si trova a fare i conti: Il Corpo, il Movimento ed il Recupero
Sono questi gli oggetti di studio del fisioterapista verso i quali è chiamato a svolgere la sua opera ed è su questi stessi aspetti che il paziente attende delle modifiche. 
Come nel caso del dolore, il fisioterapista sa bene, che questo aspetto non può essere modificato in modo integrato senza la partecipazione cosciente del proprio paziente e quale miglior strumento del linguaggio può aiutarlo in questo?

Ma a questo punto entriamo in un campo minato, perché Corpo, Movimento e Recupero, sono dei concetti suscettibili all’interpretazione di ciascuno di noi, sia che noi siamo fisioterapisti, sia che noi siamo pazienti o uomini della strada, sono concetti che come tutti sono relativi al proprio vissuto personale e bagaglio di conoscenze, sono delle "cornici" all’interno delle quali si dispiegano delle tele che ognuno di noi dipinge a proprio modo. 

Ma questo non avviene solo per il concetto di corpo, movimento e recupero, avviene per tutti i concetti che ogni giorno ci troviamo ad affrontare. Voglio farti degli esempi che ho estratto da un altro celebre testo di George Lakoff e Mark Johnson “Metafora e vita quotidiana” che avranno lo scopo di mostrarti come ogni concetto della nostra vita sia inserito in una determinata cornice, che è soggetto al nostro vissuto personale e al nostro contesto culturale e che soprattutto il linguaggio ne è lo specchio. 
Immagino che avrai sentito più volte nella tua vita la frase “il tempo è denaro”, è talmente popolare come detto che ormai nessuno ci fa più caso quando lo dice o lo sente dire. 

Questa è una metafora, ma non una metafora come siamo abituati ad intenderla, ovvero come strumento per adornare un pensiero come si può fare in una canzone o in una poesia, si tratta di una metafora concettuale

Cosa è una metafora concettuale? 

Si tratta di un processo attraverso il quale comprendiamo quello che ci circonda, ovvero è il processo attraverso il quale riusciamo ad intuire e comprendere il funzionamento e l’andamento di un dato fenomeno attraverso l’utilizzo di altri concetti a noi noti, che ne condividono alcuni aspetti fondamentali. 

Ad esempio quando Niels Bohr, il noto fisico, intuì il funzionamento delle relazioni delle cariche all’interno dell’atomo lo fece attraverso le sue conoscenze sul funzionamento delle relazioni dei pianeti nelle galassie, in quel caso lo scienziato per intuire un qualcosa che non conosceva ha utilizzato dei concetti a lui noti per effettuare il “salto” intuitivo.

Il tempo ed il denaro sono un esempio eclatante di come due cornici concettuali nella nostra cultura siano molto vicine come interpretazione, infatti è sufficiente analizzare il linguaggio che utilizziamo per evocarli. 


Risparmiare tempo/denaro
Investire tempo/denaro
Sprecare tempo/denaro
Concedere tempo/denaro 



Se ci fai caso i verbi che utilizziamo per riferirci al tempo sono gli stessi che utilizziamo per riferirci al denaro, questo non è una casualità linguistica, infatti se andando più a fondo ci accorgiamo che anche il nostro comportamento nei confronti del tempo e del denaro è lo stesso che esprimiamo linguisticamente: il tempo nella nostra cultura è una merce pregiata, una risorsa limitata e per il modo in cui il lavoro si è sviluppato nella nostra società, le due cornici tempo e denaro sono tipicamente associate, infatti paghiamo ad ora, settimana o mese, le tariffe telefoniche scattano a secondi o minuti, perfino i debiti con la società sono scontate in pene di mesi ed anni.

Avviene anche nei confronti del corpo del dolore e del recupero?

Anche questi concetti li comprendiamo attraverso il processo che ti ho appena raccontato, infatti mi capita molto spesso di ascoltare in palestra frasi di pazienti come: “ ho la spalla arrugginita, è come un ingranaggio che non si muove bene”. 
Cosa ti viene in mente? Secondo te in questa frase, il corpo, a quale altro concetto viene associato per comprenderne il “funzionamento”? Il corpo in questo caso è come una macchina, fatta di ingranaggi che possono essere riparati e sostituiti con pezzi di ricambio nuovi. 
Se analizziamo la frase in questa ottica ci rendiamo immediatamente conto che tale interpretazione del corpo è sfavorevole ai fini del recupero, infatti una visione così meccanicistica del corpo, allontana il paziente dal comprendere e vivere nel pieno il percorso terapeutico che sarà rivolto al recupero delle funzioni in cui la spalla è inserita e con esse al recupero della possibilità di costruire attraverso la spalla le informazioni necessarie per il suo corretto utilizzo, ma allo stesso tempo ci lascia comprendere con maggior chiarezza il grande sviluppo delle pratiche di infiltrazioni articolari che abbiamo visto negli ultimi decenni, quasi ad assecondare la volontà del paziente di trovare un lubrificante alla propria povera articolazione arrugginità. 
Parlo di metafora sfavorevole perché in questo caso il fisioterapista si troverà di fronte ad un caso certamente più complesso. 

Infatti dovrà impostare il progetto riabilitativo tenendo conto del fatto che negli esercizi che proporrà, dovrà permettere al proprio malato di maturare una interpretazione del proprio corpo più favorevole e funzionale ad un recupero qualitativo. 

Ad esempio il malato che ti racconta di avere la spalla arrugginita può essere lo stesso che ti dice: 
“ mi fa male come se ci fosse un coltello infilato “, anche questa metafora sono sicuro che hai già sentito in passato, ma anche la cornice-dolore ha un profondo significato culturale, se ci pensi il dolore visto come un coltello infilato è il risultato di una concezione del dolore che sta al di fuori del suo reale significato, non viene visto come un processo dell’organismo intento alla salvaguardia dello stesso o al risultato di una alterazione dell’informatività di una determinata regione della superficie recettoriale corporea, viene visto come una disgrazia capitata dall’esterno del nostro corpo, una sfortuna che ci ha investito e che va estratta il prima possibile dal nostro corpo, questo ti spiega come quei “guaritori” che estraggono il “male” dal ventre facciano molta presa, perché entrano in diretto contatto con l’immaginario culturale del dolore, stesso discorso ci aiuta a giustificare l’estrema facilità con la quale ci si sottopone ad un intervento di estrazione di ernia in seguito a mal di schiena…

leggi di più sull'importanza della metafora in riabilitazione

Anche questa metafora non aiuta il fisioterapista ad accompagnare il suo malato verso il suo recupero, infatti dovrà costruire gli esercizi tenendo conto del fatto che dovrà lasciar maturare nel paziente l’idea che il dolore è un processo naturale dell’organismo che non va estratto o debellato come un nemico esterno, ma va compreso, rispettato ed interpretato come il risultato di una risposta comportamentale dell’organismo atta a ricondurre il sistema verso l’omeostasi. 

Ovviamente questo non avverrà attraverso chissà quali spiegazioni didattiche al paziente, dovrà essere l’evidenza delle esperienze all’interno degli esercizi che dovranno modellare gradualmente il suo vissuto nei confronti del dolore. Linguaggio come strumento, pertanto il ruolo del riabilitatore se visto in quest’ottica assume una valenza di grande spessore ed anche le sue competenze si vedono arricchirsi di nuove discipline che lo aiuteranno durante il suo percorso o “compagni di viaggio” come li chiama il Prof. Carlo Perfetti. In questo caso ad accompagnare il viaggio del riabilitatore saranno l’antropologia culturale, l’antropologia medica e le scienze cognitive. 

Infatti questi ambiti di studio possono permettere una più approfondita capacità di ascoltare ed interpretare le parole dei nostri pazienti e non meno importante ascoltare ed interpretare le parole di noi fisioterapisti. Così se in seguito alla frase dei nostri pazienti: “ ho la spalla arrugginita” forse avremo qualche secondo di esitazione prima di rispondere : "signora non si preoccupi gliela sblocco io




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