Prefazione
Scrivo con piacere la prefazione di questo articolo estratto dalla tesi di laurea della mia studentessa Marianna Del Vecchio, ormai mia collega, per 3 motivi.
1. In primo luogo per il coraggio dimostrato nell’affrontare un tema come questo che tratta di processi cognitivi, immagine motoria e confronto tra azioni, in una discussione di laurea, tutti temi che fanno rizzare i capelli a chi vorrebbe che il fisioterapista giri nel reparto con pesi per il rinforzo muscolare e goniometro e centimetro per le misurazioni obiettive del movimento.
2. Il secondo motivo è perchè tratta le lesioni a carico del cervelletto, un organo incredibile del nostro sistema nervoso centrale, con funzioni cognitive rivolte all’apprendimento ed alla raffinatezza del movimento che però è stato sempre e solo considerato un organo deputato all’equilibrio ed alla coordinazione: entità quantomeno eteree.
3. Il terzo motivo è per il piacere di vedere muovere i primi passi in questo affascinante nuovo percorso di studi elaborato dal Prof. Perfetti e dalla sua equipe che prende il nome di “Confronto Tra Azioni”, la ricerca in questa direzione non solo ci permetterà di produrre esercizi sempre più significativi e meno astratti, ma aiuterà i nostri pazienti a trasferire nel quotidiano gli apprendimenti ottenuti nelle nostre palestre di riabilitazione.
Mi preme inoltre di sottolineare l’attenzione della terapista nei confronti delle parole della paziente, grazie alle quali è riuscita ad individuare l’esercizio più significativo per lei permettendole di aggiustare il tiro ed essere più efficace.
Valerio Sarmati
Articolo
Uno dei problemi principali che il riabilitatore si trova ad affrontare ogni giorno con i suoi pazienti è la traduzione in miglioramenti nella vita quotidiana di quanto viene appreso attraverso gli esercizi di riabilitazione neurocognitiva.
Infatti talvolta gli esercizi se pur efficaci e dai quali è possibile osservare il miglioramento del paziente, questi risultano astratti e “slegati” dal contesto quotidiano in cui il paziente vive.
Lo scopo del presente lavoro è quello di sottolineare l’importanza di uno strumento come l’immagine motoria all’interno di un nuovo percorso di studi, il “Confronto Tra Azioni”, che è risultato essere molto importante per il trattamento del paziente con lesione cerebellare. I primi studi sperimentali riguardanti il cervelletto hanno evidenziato chiaramente il ruolo di tale struttura nel controllo dell’equilibrio, dell’andatura, della postura, e nella coordinazione del movimento.
Già dal 1970, però, dati clinici e sperimentali hanno evidenziato un coinvolgimento del cervelletto anche nel controllo di funzioni cognitive, consentendo di rivedere la visione classica secondo cui tale struttura era coinvolta esclusivamente nel controllo delle funzioni motorie e posturali.
La dimostrazione di una connessione anatomica tra le aree associative della corteccia, sede di elaborazioni integrative di ordine elevato, e il cervelletto è in grado di rendere ancor più credibile l’ipotesi che quest’organo rappresenti un nodo di rilievo all’interno dei circuiti neurali distribuiti che stanno alla base dell’attività cognitiva. Si definiscono processi cognitivi, tutti quei processi che permettono all’uomo di interagire con il mondo esterno, di elaborare informazioni relative a queste interazioni e di raccogliere le esperienze per utilizzarle in altre situazioni. Sono processi cognitivi l’attenzione, la percezione, il linguaggio, la memoria, l’apprendimento, e l’immagine motoria.
Alcuni studi condotti da Decety e coll. nel 1990 e da Ryding e coll. nel 1993 sul flusso sanguigno regionale, effettuati ricorrendo alla tecnica di neuroimaging, hanno permesso di evidenziare un’ attivazione assai marcata delle aree cerebellari in coincidenza con l’elaborazione di un’immagine motoria. L’immagine motoria può essere definita come la “capacità, per un soggetto, di rappresentarsi mentalmente un’azione senza produrre movimento” e come “uno stato dinamico durante il quale un soggetto simula mentalmente una determinata azione” (Decety, 1996).
Quando si parla di immagine motoria, inoltre, ci si riferisce a una forma di rappresentazione mentale in grado di elaborare informazioni che derivano strettamente dal corpo e nella quale ci sentiamo protagonisti del movimento.
Si tratta di informazioni tattili, cinestesiche, pressorie, che consentono al soggetto non di “vedere” sè stesso, ma di “sentire” sè stesso compiere una determinata azione.
E’ stato verificato che l’immagine esista come fenomeno biologico e che, al pari di tutti gli altri processi cognitivi a disposizione dell’attività mentale, svolga un ruolo ben definito al servizio delle capacità organizzative del sistema nervoso centrale.
Studi recenti condotti da Pascal-Leone (1995), si sono avvalsi della Stimolazione Magnetica Transcraniale (T.M.S.) per dimostrare le modificazioni che intervengono a livello delle aree cerebrali deputate al movimento durante l’acquisizione di raffinate abilità motorie, sia attraverso l’esecuzione del movimento che attraverso l’uso dell’immagine.
Esperimento 1
In un primo esperimento è stato esaminato giornalmente l’effetto dell’apprendimento di esercizi al pianoforte a livello delle aree motorie, su diversi gruppi di soggetti destrimani che non avevano mai suonato uno strumento.
A un primo gruppo è insegnato un esercizio al piano a cinque dita da eseguire due volte al giorno per cinque giorni consecutivi. Attraverso la T.M.S., praticata con particolare attenzione ai muscoli flessori ed estensori del dito indice, si è potuto rilevare un apprezzabile allargamento delle aree motorie corrispondenti, limitato alla mano destra.
Ad un secondo gruppo è chiesto di suonare il piano a loro piacimento senza un particolare esercizio, con risultati analoghi a quelli del primo gruppo, ma significativamente meno consistenti in quanto l’attività non è connessa all’apprendimento di una specifica abilità motoria.
Esperimento 2
Nel secondo esperimento si prende in considerazione l’uso dell’immagine nell’apprendimento di abilità motorie raffinate, riscontrando che nei soggetti che effettuano realmente l’esercizio al piano e quelli che lo immaginano solamente, si modificano le stesse aree motorie.
Questo dato non può che confermare l’importanza in riabilitazione di costruire esercizi dove il paziente sia coinvolto dal punto di vista cognitivo per la riattivazione delle aree cerebrali colpite dalla lesione.
Un’altro studio allo stesso modo significativo condotto da Yue e Cole nel 1992 veniva dimostrato che nei soggetti che effettuano contrazioni isometriche massimali come l’abduzione del quinto dito contro resistenza, si registra un incremento della forza del 30%, mentre in coloro che l’hanno solo immaginato l’incremento è pari al 22%.
Ne consegue che l’immagine motoria, non solo partecipa alla riorganizzazione cerebrale ma incide anche su un fattore ancor più quantificabile e concreto come la forza muscolare.
Per quanto riguarda il lavoro riabilitativo, l’uso dell’immagine motoria nel paziente cerebellare conduce a un miglioramento delle prestazioni motorie, sia per quanto riguarda il tremore che per la fluidità del movimento.
L’immagine motoria è sempre stata utilizzata come strumento per guidare il soggetto con patologia cerebrale ad utilizzare i suoi processi cognitivi al fine di un recupero significativamente organizzato, rendendo più efficaci gli esercizi in quanto era dato modo al paziente di utilizzare informazioni note, che egli aveva avuto già modo di apprendere nel corso della sua vita, in situazioni nuove.
Nell’evocare l’immagine una delle prime cose che bisogna insegnare al paziente è quella che bisogna evocare un’immagine motoria e non visiva. Diverso è infatti immaginare di “vedersi compiere una azione” piuttosto che “sentirsi compiere un’azione”
Nel caso del paziente con lesione cerebellare si è rilevata l’attivazione delle strutture cerebellari in situazioni di apprendimento e non in situazioni di riposo, evidenziando, però, come questa attivazione sia maggiore nelle fasi iniziali dell’apprendimento, nel momento in cui il soggetto è intento nell’imparare nuove nozioni, e si riduca una volta che la performance sia stata appresa; quindi risulta fondamentale richiedere al paziente azioni nuove, situazioni in cui il soggetto deve elaborare regole, correggere errori, prestare attenzione e contribuire all’organizzazione del movimento evitando compiti routinari.
Vista l’importanza del cervelletto nei processi di apprendimento, l’esperienza clinica ha indotto alla rivisitazione della proposta dell’immagine motoria, focalizzandosi sulla necessità di modificare la richiesta del fisioterapista, al fine di coinvolgere il paziente in esercizi che richiamino il più possibile esperienze di vita quotidiana.
Questa esigenza è attualmente oggetto di studio e di ricerca da parte del Prof. Perfetti e della sua equipe, che si occupano di riabilitazione neurocognitiva, i quali, a tal proposito, hanno sviluppato una nuova proposta che prende il nome di “Confronto Tra Azioni”, avente il compito di colmare le precedenti mancanze nell’utilizzo dell’immagine motoria.
“Confronto Tra Azioni” significa associare all’esercizio un’azione che il paziente, precedentemente alla lesione, riusciva a compiere e di cui conosce i connotati percettivi, meccanici, ed emotivi.
Il fisioterapista deve aiutare il paziente a rivivere il ricordo di quell’azione normale del passato e invitarlo a confrontarla con l’azione attuale e deve favorire nel paziente il comportamento del confronto, che deve diventare uno strumento per interrogarsi, indagarsi in prima persona, per scoprire le sue capacità di interazione; abituare il paziente al confronto significa necessariamente avere come campo di approccio un’azione. E’importante tener presente che la scelta di un’azione è frutto di un’osservazione e di un’ipotesi da parte del fisioterapista; di conseguenza occorre inserire in tutte le fasi del percorso riabilitativo il riferimento costante alla realtà, nella quale l’azione sarà poi svolta.
Caso clinico
Per fornire una prova dell’importanza del Confronto Tra Azioni sarà presentato un caso clinico di una paziente cerebellare di anni 80, a cui è stato diagnosticato un ictus cerebellare del circolo posteriore circa 4 anni fa. Una tra le problematiche principali della paziente è rappresentata dalla difficoltà di effettuare il trasferimento da seduta in piedi per le sue evidenti problematiche di bilanciamento di carico, ed è stata proprio questa una delle prestazioni che è stata presa come esempio per spiegare il CTA.
L’osservazione ha permesso di costruire una serie di esercizi tra i quali il riconoscimento di posizioni con l’arto inferiore attraverso movimenti di flesso- estensione del ginocchio nella posizione seduta, ritenuto significativo per la prestazione. L’attenzione è portata sui seguenti parametri del movimento: la sensazione di “fluidità”, di peso dell’arto, di contatto del piede al suolo, la distanza del piede dal corpo, la direzione e l’ampiezza dello spostamento. Viene richiesto il confronto con l’arto sano per avere un modello di riferimento.
Nella fase di elaborazione la paziente è invitata a immaginare una situazione passata in cui si alzava bene in piedi e di provare a rivivere le stesse sensazioni
T: («Si alza come prima? E come lo faceva? Cosa sente? »).
In seguito le è chiesto di confrontare quello che ha percepito nell’esercizio con quello che avrebbe potuto percepire nella prestazione. La paziente non riesce a immaginare la prestazione normale e la sua risposta è la seguente:
P: «Mi alzavo troppo velocemente per ricordare le sensazioni, non ci prestavo attenzione». Considerate le difficoltà nel costruire un’immagine motoria, ho pensato si trattasse di una prestazione automatizzata difficile da rievocare, e ho deciso, quindi, di approfondire quest’aspetto chiedendo:
T:«Che cosa secondo lei non le permette di alzarsi in piedi così velocemente da non poterci pensare? ».
La paziente riferisce
P:« Adesso i piedi non partecipano»
Chiedo quindi di pensare a una situazione in cui era importante la partecipazione dei piedi per compiere un’azione, e riesce a ricordare le sensazioni provate mentre lavorava alla macchina per cucire. Le sue considerazioni sono le seguenti:
P:«Muovevo la punta verso il basso sul pedale per l’accensione e spingevo il tallone quando dovevo spegnerla, in maniera alternata».
T: «Quindi muoveva la punta verso il basso del pedale... ».
P: «Erano importanti i piedi per sentire i pedali, quest’azione è significativa per me perchè provavo piacere e benessere quando lavoravo».
Si comincia a delineare il contesto dell’immagine soprattutto per quanto riguarda l’aspetto emotivo- fenomenologico. La paziente non è ancora in grado immaginare la prestazione normale, ma riesce a trovare una prestazione diversa, che corrisponde a un “mondo intermedio” tra l’alzarsi in piedi e la sua situazione attuale. Decido quindi di utilizzare come prestazione l’azione che ha richiamato in memoria in quanto per lei è più significativa, e lavorando sulle relazioni di somiglianza tra il movimento dei piedi alla macchina da cucire e l’immagine iniziale dell’alzarsi in piedi, modifico l’esercizio in modo tale che sia sottolineata l’importanza della partecipazione dei piedi.
Propongo, quindi, un’attività più affine alla sua espressione: un esercizio di riconoscimento con il piede di posizione, quantità e confronto tra pesi posti su una tavoletta oscillante. Nel dialogo con la paziente le sottopongo la seguente domanda:
T: «Potrebbe immaginare ancora una volta di lavorare alla macchina per cucire? Cosa hanno in comune l’alzarsi in piedi con il movimento dei pedali? Cosa sente di simile o di utile per alzarsi in piedi? ».
La paziente ritrova le sensazioni del piede e della caviglia come nell’esercizio, le sensazioni del cambiamento del peso e della pressione sul tallone e sulla punta e aggiunge:
P: «Il pedale va indietro quando ho il peso sul tallone e va avanti quando ho il peso sulla punta, quando ho il pedale fermo verso il basso è come quando sono nella posizione per alzarmi, mentre mi alzo il peso si sposta dalle punte sui talloni come quando sto per lasciare il pedale, poi il piede poggia a terra interamente». Ora la paziente vive il confronto e sa riconoscere le sensazioni provate allora.
Confronto tra pesi (anteriore e posteriore). Infine si richiede l’esecuzione assistita della prestazione per verificare se è stata ottenuta una modifica invitando la paziente a ricercare il modello di riferimento con il quale fare un confronto.
La paziente dopo aver ripetuto varie volte l’azione dell’alzarsi in piedi ha ottenuto un cambiamento: è in grado di alzarsi con un solo appoggio laterale, presta attenzione alla posizione di partenza, e flette il tronco in avanti trasferendo il carico sull’avampiede; ma si continuerà a lavorare per ottenere una prestazione più corretta.
Conclusioni
Con il Confronto Tra Azioni è stata scelta l’azione dell’alzarsi in piedi per colmare problematica della paziente relativa a questa prestazione, ma si è riscontrata la difficoltà da parte sua di costruire un’immagine motoria; inizialmente sono stati proposti una serie di esercizi ma poi, invitando la paziente a confrontare l’azione, ha rievocato una prestazione diversa da quella chiesta ma con delle affinità, quindi il confronto tra azioni è stato utile, consentendo di mutare la richiesta di esercizio. La modifica del lavoro del fisioterapista ha portato ad un cambiamento della paziente, infatti, il Confronto Tra Azioni ha permesso di trasferire quanto aveva appreso durante l’esercizio, in situazioni della vita quotidiana, nel suo mondo reale.
Tutte queste nuove conoscenze devono costituire un impegno continuo di ricerca per noi fisioterapisti con l’obiettivo di rendere l’esercizio più significativo per il paziente, meno astratto, più concreto e legato alla quotidianità, con il vantaggio di incidere sull’apprendimento in maniera efficace.
Marianna Del Vecchio
Scrivo con piacere la prefazione di questo articolo estratto dalla tesi di laurea della mia studentessa Marianna Del Vecchio, ormai mia collega, per 3 motivi.
1. In primo luogo per il coraggio dimostrato nell’affrontare un tema come questo che tratta di processi cognitivi, immagine motoria e confronto tra azioni, in una discussione di laurea, tutti temi che fanno rizzare i capelli a chi vorrebbe che il fisioterapista giri nel reparto con pesi per il rinforzo muscolare e goniometro e centimetro per le misurazioni obiettive del movimento.
2. Il secondo motivo è perchè tratta le lesioni a carico del cervelletto, un organo incredibile del nostro sistema nervoso centrale, con funzioni cognitive rivolte all’apprendimento ed alla raffinatezza del movimento che però è stato sempre e solo considerato un organo deputato all’equilibrio ed alla coordinazione: entità quantomeno eteree.
3. Il terzo motivo è per il piacere di vedere muovere i primi passi in questo affascinante nuovo percorso di studi elaborato dal Prof. Perfetti e dalla sua equipe che prende il nome di “Confronto Tra Azioni”, la ricerca in questa direzione non solo ci permetterà di produrre esercizi sempre più significativi e meno astratti, ma aiuterà i nostri pazienti a trasferire nel quotidiano gli apprendimenti ottenuti nelle nostre palestre di riabilitazione.
Mi preme inoltre di sottolineare l’attenzione della terapista nei confronti delle parole della paziente, grazie alle quali è riuscita ad individuare l’esercizio più significativo per lei permettendole di aggiustare il tiro ed essere più efficace.
Valerio Sarmati
Articolo
Uno dei problemi principali che il riabilitatore si trova ad affrontare ogni giorno con i suoi pazienti è la traduzione in miglioramenti nella vita quotidiana di quanto viene appreso attraverso gli esercizi di riabilitazione neurocognitiva.
Infatti talvolta gli esercizi se pur efficaci e dai quali è possibile osservare il miglioramento del paziente, questi risultano astratti e “slegati” dal contesto quotidiano in cui il paziente vive.
Lo scopo del presente lavoro è quello di sottolineare l’importanza di uno strumento come l’immagine motoria all’interno di un nuovo percorso di studi, il “Confronto Tra Azioni”, che è risultato essere molto importante per il trattamento del paziente con lesione cerebellare. I primi studi sperimentali riguardanti il cervelletto hanno evidenziato chiaramente il ruolo di tale struttura nel controllo dell’equilibrio, dell’andatura, della postura, e nella coordinazione del movimento.
Già dal 1970, però, dati clinici e sperimentali hanno evidenziato un coinvolgimento del cervelletto anche nel controllo di funzioni cognitive, consentendo di rivedere la visione classica secondo cui tale struttura era coinvolta esclusivamente nel controllo delle funzioni motorie e posturali.
La dimostrazione di una connessione anatomica tra le aree associative della corteccia, sede di elaborazioni integrative di ordine elevato, e il cervelletto è in grado di rendere ancor più credibile l’ipotesi che quest’organo rappresenti un nodo di rilievo all’interno dei circuiti neurali distribuiti che stanno alla base dell’attività cognitiva. Si definiscono processi cognitivi, tutti quei processi che permettono all’uomo di interagire con il mondo esterno, di elaborare informazioni relative a queste interazioni e di raccogliere le esperienze per utilizzarle in altre situazioni. Sono processi cognitivi l’attenzione, la percezione, il linguaggio, la memoria, l’apprendimento, e l’immagine motoria.
Alcuni studi condotti da Decety e coll. nel 1990 e da Ryding e coll. nel 1993 sul flusso sanguigno regionale, effettuati ricorrendo alla tecnica di neuroimaging, hanno permesso di evidenziare un’ attivazione assai marcata delle aree cerebellari in coincidenza con l’elaborazione di un’immagine motoria. L’immagine motoria può essere definita come la “capacità, per un soggetto, di rappresentarsi mentalmente un’azione senza produrre movimento” e come “uno stato dinamico durante il quale un soggetto simula mentalmente una determinata azione” (Decety, 1996).
Quando si parla di immagine motoria, inoltre, ci si riferisce a una forma di rappresentazione mentale in grado di elaborare informazioni che derivano strettamente dal corpo e nella quale ci sentiamo protagonisti del movimento.
Si tratta di informazioni tattili, cinestesiche, pressorie, che consentono al soggetto non di “vedere” sè stesso, ma di “sentire” sè stesso compiere una determinata azione.
E’ stato verificato che l’immagine esista come fenomeno biologico e che, al pari di tutti gli altri processi cognitivi a disposizione dell’attività mentale, svolga un ruolo ben definito al servizio delle capacità organizzative del sistema nervoso centrale.
Studi recenti condotti da Pascal-Leone (1995), si sono avvalsi della Stimolazione Magnetica Transcraniale (T.M.S.) per dimostrare le modificazioni che intervengono a livello delle aree cerebrali deputate al movimento durante l’acquisizione di raffinate abilità motorie, sia attraverso l’esecuzione del movimento che attraverso l’uso dell’immagine.
Esperimento 1
In un primo esperimento è stato esaminato giornalmente l’effetto dell’apprendimento di esercizi al pianoforte a livello delle aree motorie, su diversi gruppi di soggetti destrimani che non avevano mai suonato uno strumento.
A un primo gruppo è insegnato un esercizio al piano a cinque dita da eseguire due volte al giorno per cinque giorni consecutivi. Attraverso la T.M.S., praticata con particolare attenzione ai muscoli flessori ed estensori del dito indice, si è potuto rilevare un apprezzabile allargamento delle aree motorie corrispondenti, limitato alla mano destra.
Ad un secondo gruppo è chiesto di suonare il piano a loro piacimento senza un particolare esercizio, con risultati analoghi a quelli del primo gruppo, ma significativamente meno consistenti in quanto l’attività non è connessa all’apprendimento di una specifica abilità motoria.
Esperimento 2
Nel secondo esperimento si prende in considerazione l’uso dell’immagine nell’apprendimento di abilità motorie raffinate, riscontrando che nei soggetti che effettuano realmente l’esercizio al piano e quelli che lo immaginano solamente, si modificano le stesse aree motorie.
Questo dato non può che confermare l’importanza in riabilitazione di costruire esercizi dove il paziente sia coinvolto dal punto di vista cognitivo per la riattivazione delle aree cerebrali colpite dalla lesione.
Un’altro studio allo stesso modo significativo condotto da Yue e Cole nel 1992 veniva dimostrato che nei soggetti che effettuano contrazioni isometriche massimali come l’abduzione del quinto dito contro resistenza, si registra un incremento della forza del 30%, mentre in coloro che l’hanno solo immaginato l’incremento è pari al 22%.
Ne consegue che l’immagine motoria, non solo partecipa alla riorganizzazione cerebrale ma incide anche su un fattore ancor più quantificabile e concreto come la forza muscolare.
Per quanto riguarda il lavoro riabilitativo, l’uso dell’immagine motoria nel paziente cerebellare conduce a un miglioramento delle prestazioni motorie, sia per quanto riguarda il tremore che per la fluidità del movimento.
L’immagine motoria è sempre stata utilizzata come strumento per guidare il soggetto con patologia cerebrale ad utilizzare i suoi processi cognitivi al fine di un recupero significativamente organizzato, rendendo più efficaci gli esercizi in quanto era dato modo al paziente di utilizzare informazioni note, che egli aveva avuto già modo di apprendere nel corso della sua vita, in situazioni nuove.
Nell’evocare l’immagine una delle prime cose che bisogna insegnare al paziente è quella che bisogna evocare un’immagine motoria e non visiva. Diverso è infatti immaginare di “vedersi compiere una azione” piuttosto che “sentirsi compiere un’azione”
Nel caso del paziente con lesione cerebellare si è rilevata l’attivazione delle strutture cerebellari in situazioni di apprendimento e non in situazioni di riposo, evidenziando, però, come questa attivazione sia maggiore nelle fasi iniziali dell’apprendimento, nel momento in cui il soggetto è intento nell’imparare nuove nozioni, e si riduca una volta che la performance sia stata appresa; quindi risulta fondamentale richiedere al paziente azioni nuove, situazioni in cui il soggetto deve elaborare regole, correggere errori, prestare attenzione e contribuire all’organizzazione del movimento evitando compiti routinari.
Vista l’importanza del cervelletto nei processi di apprendimento, l’esperienza clinica ha indotto alla rivisitazione della proposta dell’immagine motoria, focalizzandosi sulla necessità di modificare la richiesta del fisioterapista, al fine di coinvolgere il paziente in esercizi che richiamino il più possibile esperienze di vita quotidiana.
Questa esigenza è attualmente oggetto di studio e di ricerca da parte del Prof. Perfetti e della sua equipe, che si occupano di riabilitazione neurocognitiva, i quali, a tal proposito, hanno sviluppato una nuova proposta che prende il nome di “Confronto Tra Azioni”, avente il compito di colmare le precedenti mancanze nell’utilizzo dell’immagine motoria.
“Confronto Tra Azioni” significa associare all’esercizio un’azione che il paziente, precedentemente alla lesione, riusciva a compiere e di cui conosce i connotati percettivi, meccanici, ed emotivi.
Il fisioterapista deve aiutare il paziente a rivivere il ricordo di quell’azione normale del passato e invitarlo a confrontarla con l’azione attuale e deve favorire nel paziente il comportamento del confronto, che deve diventare uno strumento per interrogarsi, indagarsi in prima persona, per scoprire le sue capacità di interazione; abituare il paziente al confronto significa necessariamente avere come campo di approccio un’azione. E’importante tener presente che la scelta di un’azione è frutto di un’osservazione e di un’ipotesi da parte del fisioterapista; di conseguenza occorre inserire in tutte le fasi del percorso riabilitativo il riferimento costante alla realtà, nella quale l’azione sarà poi svolta.
Caso clinico
Per fornire una prova dell’importanza del Confronto Tra Azioni sarà presentato un caso clinico di una paziente cerebellare di anni 80, a cui è stato diagnosticato un ictus cerebellare del circolo posteriore circa 4 anni fa. Una tra le problematiche principali della paziente è rappresentata dalla difficoltà di effettuare il trasferimento da seduta in piedi per le sue evidenti problematiche di bilanciamento di carico, ed è stata proprio questa una delle prestazioni che è stata presa come esempio per spiegare il CTA.
L’osservazione ha permesso di costruire una serie di esercizi tra i quali il riconoscimento di posizioni con l’arto inferiore attraverso movimenti di flesso- estensione del ginocchio nella posizione seduta, ritenuto significativo per la prestazione. L’attenzione è portata sui seguenti parametri del movimento: la sensazione di “fluidità”, di peso dell’arto, di contatto del piede al suolo, la distanza del piede dal corpo, la direzione e l’ampiezza dello spostamento. Viene richiesto il confronto con l’arto sano per avere un modello di riferimento.
Nella fase di elaborazione la paziente è invitata a immaginare una situazione passata in cui si alzava bene in piedi e di provare a rivivere le stesse sensazioni
T: («Si alza come prima? E come lo faceva? Cosa sente? »).
In seguito le è chiesto di confrontare quello che ha percepito nell’esercizio con quello che avrebbe potuto percepire nella prestazione. La paziente non riesce a immaginare la prestazione normale e la sua risposta è la seguente:
P: «Mi alzavo troppo velocemente per ricordare le sensazioni, non ci prestavo attenzione». Considerate le difficoltà nel costruire un’immagine motoria, ho pensato si trattasse di una prestazione automatizzata difficile da rievocare, e ho deciso, quindi, di approfondire quest’aspetto chiedendo:
T:«Che cosa secondo lei non le permette di alzarsi in piedi così velocemente da non poterci pensare? ».
La paziente riferisce
P:« Adesso i piedi non partecipano»
Chiedo quindi di pensare a una situazione in cui era importante la partecipazione dei piedi per compiere un’azione, e riesce a ricordare le sensazioni provate mentre lavorava alla macchina per cucire. Le sue considerazioni sono le seguenti:
P:«Muovevo la punta verso il basso sul pedale per l’accensione e spingevo il tallone quando dovevo spegnerla, in maniera alternata».
T: «Quindi muoveva la punta verso il basso del pedale... ».
P: «Erano importanti i piedi per sentire i pedali, quest’azione è significativa per me perchè provavo piacere e benessere quando lavoravo».
Si comincia a delineare il contesto dell’immagine soprattutto per quanto riguarda l’aspetto emotivo- fenomenologico. La paziente non è ancora in grado immaginare la prestazione normale, ma riesce a trovare una prestazione diversa, che corrisponde a un “mondo intermedio” tra l’alzarsi in piedi e la sua situazione attuale. Decido quindi di utilizzare come prestazione l’azione che ha richiamato in memoria in quanto per lei è più significativa, e lavorando sulle relazioni di somiglianza tra il movimento dei piedi alla macchina da cucire e l’immagine iniziale dell’alzarsi in piedi, modifico l’esercizio in modo tale che sia sottolineata l’importanza della partecipazione dei piedi.
Propongo, quindi, un’attività più affine alla sua espressione: un esercizio di riconoscimento con il piede di posizione, quantità e confronto tra pesi posti su una tavoletta oscillante. Nel dialogo con la paziente le sottopongo la seguente domanda:
T: «Potrebbe immaginare ancora una volta di lavorare alla macchina per cucire? Cosa hanno in comune l’alzarsi in piedi con il movimento dei pedali? Cosa sente di simile o di utile per alzarsi in piedi? ».
La paziente ritrova le sensazioni del piede e della caviglia come nell’esercizio, le sensazioni del cambiamento del peso e della pressione sul tallone e sulla punta e aggiunge:
P: «Il pedale va indietro quando ho il peso sul tallone e va avanti quando ho il peso sulla punta, quando ho il pedale fermo verso il basso è come quando sono nella posizione per alzarmi, mentre mi alzo il peso si sposta dalle punte sui talloni come quando sto per lasciare il pedale, poi il piede poggia a terra interamente». Ora la paziente vive il confronto e sa riconoscere le sensazioni provate allora.
Confronto tra pesi (anteriore e posteriore). Infine si richiede l’esecuzione assistita della prestazione per verificare se è stata ottenuta una modifica invitando la paziente a ricercare il modello di riferimento con il quale fare un confronto.
La paziente dopo aver ripetuto varie volte l’azione dell’alzarsi in piedi ha ottenuto un cambiamento: è in grado di alzarsi con un solo appoggio laterale, presta attenzione alla posizione di partenza, e flette il tronco in avanti trasferendo il carico sull’avampiede; ma si continuerà a lavorare per ottenere una prestazione più corretta.
Conclusioni
Con il Confronto Tra Azioni è stata scelta l’azione dell’alzarsi in piedi per colmare problematica della paziente relativa a questa prestazione, ma si è riscontrata la difficoltà da parte sua di costruire un’immagine motoria; inizialmente sono stati proposti una serie di esercizi ma poi, invitando la paziente a confrontare l’azione, ha rievocato una prestazione diversa da quella chiesta ma con delle affinità, quindi il confronto tra azioni è stato utile, consentendo di mutare la richiesta di esercizio. La modifica del lavoro del fisioterapista ha portato ad un cambiamento della paziente, infatti, il Confronto Tra Azioni ha permesso di trasferire quanto aveva appreso durante l’esercizio, in situazioni della vita quotidiana, nel suo mondo reale.
Tutte queste nuove conoscenze devono costituire un impegno continuo di ricerca per noi fisioterapisti con l’obiettivo di rendere l’esercizio più significativo per il paziente, meno astratto, più concreto e legato alla quotidianità, con il vantaggio di incidere sull’apprendimento in maniera efficace.
Marianna Del Vecchio
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BIBLIOGRAFIA
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