Quasi non ci credo di essere costretto a scrivere un articolo di questo tipo, ma ritengo opportuno fare chiarezza su questo argomento, in quanto la disinformazione è il primo nemico del recupero post ictus, danneggia le famiglie, il paziente ed il sistema sanitario. In questi anni di stretto contatto con pazienti e familiari che fanno i conti con i problemi legati all’ictus cerebrale, ho potuto stilare una vera e propria lista di stupidaggini che illustri specialisti sono in grado dire al familiare quando chiede loro di poter ricevere per il proprio caro, un trattamento di riabilitazione neurocognitiva che come sappiamo è conosciuto ai più come il Metodo Perfetti.
Nota per il lettore disattento:
L’intento non è quello di parlare di efficacia o validità del metodo in confronto ad altre proposte riabilitative, ma semplicemente sfatare qualche mito che aleggia intorno alla riabilitazione neurocognitiva. Puntualizzazione necessaria per evitare gli schieramenti in stile tifoseria calcistica che noi italiani amiamo tanto.
Lo stato d’animo del familiare nel momento della richiesta di ricevere una riabilitazione appropriata, è piuttosto fragile, ci troviamo spesso infatti nelle prime settimane in seguito all’incidente, probabilmente non ha mai sentito parlare dell’ictus o perlomeno non dei suoi effetti sulla persona, ma nonostante questo ha la lucidità per comprendere che la riabilitazione che stanno ricevendo è parziale, massificata e poco attenta alle reali esigenze del paziente che ha subito una lesione al cervello.
Per questo si informano, chiedono, studiano e si confrontano con altri, e pur non conoscendo a pieno di cosa si tratti la riabilitazione neurocognitiva, intuiscono che ha senso, che dietro c’è una certa logica e che se la lesione ha colpito il cervello è perlomeno ragionevole che le proposte terapeutiche siano rivolte al corpo, ma anche alle funzioni cerebrali che ce lo fanno muovere.
Per questo prendono il coraggio a due mani e si presentano umilmente di fronte a questi professoroni inarrivabili, lontani 100 km dal paziente e dalla realtà delle persone di cui la sua famiglia è composta, sempre troppo impegnati per spiegare cosa è successo, cosa è necessario fare nell’immediato e quale sarà il futuro. Allora chiedono; dicono di aver sentito che c’è un modo particolare di fare riabilitazione e che si chiama Metodo Perfetti o Riabilitazione Neurocognitiva, chiedono se non sia il caso poterla ricevere anche per il loro familiare.
Ed è proprio in questo momento che il luminare, si mette una mano sul cuore e regala tutta la sua “scienza” ed “umana” franchezza alla persona che ha di fronte, ma è proprio in questo momento che ci troviamo di fronte alla più grande varietà di luoghi comuni, inesattezze e purtroppo nella maggiorate dei casi stupidaggini, non solo riferite alla riabilitazione, ma ahimè nei confronti anche di Mamma Neurofisiologia. Prima di cominciare con l’elenco delle stravaganze sentite in questi anni ci tengo però a precisare che ad onor del vero, giusto negli ultimi anni, le cose stanno cambiando, anche i Fisiatri e Neurologi più bigotti e conservatori stanno timidamente riconoscendo la possibilità e la necessità di applicare ai pazienti post-stroke, una riabilitazione neurocognitiva. Con estrema soddisfazione ho ricevuto anche diverse richieste di consulenze e corsi di formazione in strutture pubbliche e private, dove mi è stato detto espressamente che le richieste dei familiari per ricevere la riabilitazione neurocognitiva si facevano troppo frequenti ed insistenti.
Ho dedicato anni all’in-formazione in questo campo, proprio con la certezza che il potere ce l’abbia proprio il singolo, la famiglia e la comunità, perché tutto gira intorno a noi, e siamo noi ad avere il potere, non ci dimentichiamo che noi siamo la DOMANDA e quando la domanda è insistente è in grado di muovere i capitali, e quando ci sono di mezzo i capitali, è inutile che ve lo dica, anche L’OFFERTA si piega al volere del contribuente.
Pertanto anche se pensate di non risolvere nulla, chiedete qualcosa che è nel vostro diritto e se continuate a leggere nelle prossime righe, ad ogni risposta dogmatica del dirigente nei confronti sulla riabilitazione neurocognitiva, vi darò una contro risposta a tono per non rimanere inermi di fronte all’arroganza e per rendere la vostra pressione sempre più efficace.
Partiamo dal primo luogo comune, che quello che ritengo il più creativo e bizzarro ovvero:
1. IL METODO PERFETTI È UN METODO SUPERATO Talmente mi fa sorridere questa diceria che non ho resistito e ho dovuto dedicargli un articolo tutto suo, se vuoi leggerlo lo trovi QUI.
Lo ritengo curioso per il semplice motivo, che la riabilitazione è una scienza applicativa, ovvero dove si applicano delle conoscenze estratte dalle scienze di base che completano la materia del recupero post ictus, come le neuroscienze, neurofisiologia, la biologia, e tante altre. La riabilitazione neurocognitiva (metodo Perfetti) non fa altro che tradurre in atti terapeutici le nuove scoperte in ambito di neuroscienze, non è una tecnica di manovre standard, ma è un modo di ragionare sulle necessità terapeutiche del paziente costruendo esercizi sempre più mirati per risolvere le problematiche causate dal danno cerebrale e lo fa sempre sotto il faro costante delle ricerche scientifiche più recenti, e l’impostazione del bravo terapeuta è simile a quella del ricercatore dove non solo studia il caso del proprio paziente ma ne indaga incessantemente corrispondenze con le ultime ricerche. Quindi quando sento dire che il metodo Perfetti è superato, da persone che poi nel loro piano terapeutico contemplano le mobilitazioni passive e non sapendo che Il professor Perfetti anche solo dal punto di vista temporale, è l’unico nome della riabilitazione di questo millennio, contemporaneo ed in vita, oltre all’indignazione, provo preoccupazione.
In ogni modo di fronte a questa risposta, la contro risposta è
“ Capisco Prof, se posso chiederle: da cosa è stato superato?”
A questo punto l’ignoranza deve essere accompagnata ad un certo grado di coraggio per affermare che quello che in questo momento il vostro familiare sta ricevendo fa proprio parte di quelle procedure terapeutiche che hanno superato la riabilitazione neurocognitiva. Ultimamente con l’introduzione di macchinari costosissimi, come il CAMMINOMAT O IL GUANTOREHA O BRACCIO ROBOTICO O REALTÅ VIRTUALE, sicuramente vacilleremo di fronte a così tanta innovazione. Ma ricordati che , parafrasando uno dei miei autori preferiti, che … guarda caso anche lui è contemporaneo ed ancora in vita , ALAIN BERTHOZ,
....per recuperare un sistema complesso come l’essere umano ci vuole un sistema parimenti complesso come un altro essere umano....
Forse in futuro scriverò qualcosa anche su questo argomento perché mi stuzzica l’idea, ma ti vorrei mostrare solo alcuni piccoli esempi di come a volte la tecnologia mascheri solo una esigenza di innovazione, ma che non è poi però supportata da basi scientifiche solide. Guarda quello che dei semplici familiari fanno in casa con il loro parente, dopo che hanno sbattuto contro vari muri di gomma e se conoscete i macchinari che ho menzionato prima, con un nome cambiato ovviamente, potrete notare che non c’è bisogno di una tecnologia aliena per offrire delle esperienze significative al paziente. Questi non sono esercizi veri e propri di riabilitazione neurocognitiva, ma dei momenti di cammino e presa guidata dove i paziente può fare delle esperienze in azioni quotidiane, un po come avviene con i macchinari sopracitati, ma in modo certamente meno meccanico e più vicino alla realtà del paziente.
2. IL METODO PERFETTI È TROPPO LUNGO
Scusate, ripensandoci bene, devo ammettere che in realtà è questa la mia preferita, perché è la più fantasiosa. Noi abbiamo un obiettivo chiaro nella nostra testa, che dopo l’ictus è quello di ricomporre i pezzi della nostra famiglia, del nostro corpo ed andare avanti per ottenere il miglior recupero in assoluto che la natura ci può offrire, niente di più e niente di meno: vogliamo il miglior recupero, quello! Non altri recuperi o toppe temporanee, ma il migliore. Quando sento che il metodo Perfetti è troppo lungo o troppo lento mi chiedo se stiamo parlando della stessa ricompensa finale, dello stesso recupero. Perché se stiamo mettendo al centro della nostra discussione il miglior recupero in assoluto che possiamo ottenere, sono il primo a volerlo ottenere il prima possibile. Per questo di fronte ad una risposta di questo tipo vi invito a controbattere in questo modo:
“Scusi Prof, non sono del mestiere, ma per troppo lungo intende dire che quello che sta ricevendo il mio parente qui con voi garantirà lo stesso recupero di qualità ma solo in tempi più brevi?”
Qui purtroppo ci sono delle sottovarianti di luoghi comuni che spaziano dal tragicomico al demenziale, infatti potrebbero dirti:
“chi fa riabilitazione neurocognitiva vuole trattenere il paziente in carrozzina e non lo vuole fare alzare in piedi”, mentre chi avete di fronte ha la missione di regalargli l’autonomia…
Non credo di avere gioia più grande di vedere i miei pazienti camminare o riprendere la qualità del cammino e non credo che nemmeno sia legale o umano trattenere volontariamente il paziente in carrozzina senza necessità terapeutica, tra l’altro ultimamente ho scritto un pezzo su come “svezzare il paziente dalla carrozzina”.
In ogni modo una risposta che potrebbe far vacillare il candore del camice del nostro interlocutore potrebbe essere:
“ Capisco esattamente grazie Prof, una ultima cosa e la lascio, so che è molto impegnato, ma ho sentito parlare di spasticità e che si tratta di un problema molto difficile da gestire al momento della sua comparsa, non crede che saltare alcune tappe del recupero possa esporci a tale problema?”
( se vuoi essere preparato in merito alla spasticità ti consiglio questo articolo QUI)
Se il nostro interlocutore non ha ancora chiamato la sicurezza e si prodiga in una ulteriore risposta, significa che ha colto la sfida e vuole giocarsela, a questo punto ti potrebbe dire che la spasticità non è un male, anzi se la gamba produce un sostanziale ipertono potrebbe essere un buon arto solido su cui poggiare il peso e su cui fare perno, ed in questo caso prova a leggerti l’articolo sull’andatura falciante.
Oppure potrebbe dirti che per la spasticità c’è sempre il botulino, e allora ti consiglio di dare una occhiata a questo articolo.
A me personalmente dispiace farti studiare tutte queste cose, ma la conoscenza adesso è l’unica carta efficace che ti conviene giocare. I tormentoni più frequenti li abbiamo trattati, ora ci sono dei luoghi comuni un po più ricercati e sopraffini, che nonostante sarà più difficile ascoltarli ti suggerisco di dargli una letta anche veloce, non si sa mai.
3. IL PAZIENTE DEVE AVERE UNA BUONA SENSIBILITÀ PER FARE IL PERFETTI
Questo della sensibilità come requisito necessario per accedere alla riabilitazione neurocognitiva, tra l’altro legato ad un altro luogo comune: “ la sensibilità non si recupera”, fa parte di una trilogia di fantasie che vede anche:
Il paziente deve avere già dei movimenti per fare il perfetti, e
Il paziente non deve avere problemi cognitivi
Spesso a questo 3 atto della saga dove si ritiene che il paziente non debba avere problemi cognitivi se ne contrappone uno diametralmente opposto dove viene detto che il paziente che ha avuto un ictus non ha bisogno di riabilitazione neurocognitiva se
“con la testa ci sta ed è intelligente”. (Si lo so, credi di aver letto male, ma in realtà è stata usata proprio la parola intelligente...)
Se c’è una cosa che sanno tutti sul metodo Perfetti, è che ogni esercizio considera la percezione come uno degli elementi fondamentali, dire che per eseguire gli esercizi di neurocognitiva sia necessario non avere problemi di sensibilità, è come dire a dei genitori di mandare il proprio figlio alle elementari solo se è già in grado di leggere scrivere e fare di conto. Se andiamo a scuola è per imparare a farlo e se andiamo dal fisioterapista è perché dobbiamo recuperare ciò che abbiamo perduto a causa dell’ischemia o emorragia cerebrale.
La sensibilità non è mai completamente assente, è il talento del terapista che gli permetterà di individuare il punto di partenza più adatto. Vi faccio un esempio pratico: se il paziente non è in grado di percepire quale dito della mano gli viene mosso, probabilmente sarà in grado di percepire se, invece di richiedere il riconoscimento tra 5 dita glielo chiediamo tra solo 2: pollice e mignolo.
E se ancora non è in grado di riconoscere se gli stiamo muovendo il pollice o il mignolo, probabilmente sarà in grado di percepire la presenza o l’assenza di un movimento a livello delle dita. Andando avanti troviamo sempre un “punto zero” da cui cominciare il nostro lavoro di recupero. Tra l’altro è curioso sapere che alcuni specialisti possono dire anche il contrario,
“ se il paziente ha la sensibilità, è inutile fare il Perfetti”… Per quanto riguarda invece la gravità dell’affermazione che la sensibilità non si recupera, ci troviamo di fronte ad un problema serio di interpretazione del problema e della professione in generale. Se un professionista è preposto alla gestione del paziente che ha subito una lesione cerebrale dovrebbe considerare tutti gli aspetti che permettono il massimo recupero, tra cui la plasticità del nostro sistema nervoso centrale.
Dire che la sensibilità non si recupera equivale a dire che il cervello non è dotato di plasticità, il che significa rinnegare uno dei principi cardine della neurologia e neurofisiologia, per questo ritengo tale aspetto preoccupante, perché se non è la plasticità e tutte le capacità residue del paziente di riorganizzarsi dopo la lesione, il nucleo centrale su cui basare tutte le attività terapeutiche, mi viene da chiedere su quale perno ruotano tutte le decisioni?!
L’alibi più comune di tutte le scelte fatte è l’autonomia, ma anche questa autonomia, che tra l’altro è una delle mie parole preferite e la bramo per i miei pazienti, non sarebbe più efficace se passasse per una reale migliore qualità del recupero?
Per riassumere la risposta da poter dare di fronte alla frase:
“non ci devono essere problemi di sensibilità per fare il metodo Perfetti”
può essere:
“Capisco Prof, mamma/papà/parente ha problemi di sensibilità, non crede anche lei che questi problemi di sensibilità possano incidere sulle capacità di movimento? Potrebbe essere una idea investire del tempo per aiutare mamma/papà/parente a recuperare parte di questa sensibilità per avere una maggiore autonomia e qualità di vita?
Se a questo punto il nostro illustre interlocutore si gioca la carta del : “la sensibilità non recupera”, vi suggerisco di dare un lettura a questi 2 articoli che parlano interamente di neuroplasticità e cellule staminali, ma la domanda che lo sbugiarderà completamente è :
“Capisco Prof, ma non crede che anche il cervello , proprio come la pelle, le ossa e le cartilagini del nostro corpo sia dotato di capacità plastiche, che possano permetterci dei miglioramenti?”
Qui ormai all’angolo e cosciente di essere di fronte ad un familiare diverso rispetto a quelli cui è abituato a zittire, dove bastavano poche frasi fatte per annientarlo, dirà :
“Si certo, ma solo nei primi 6 mesi ( i più illuminati parlano di un anno ed un anno e mezzo)” . Visto che questo luogo comune è il più dannoso di tutti per chi lo subisce, ingiusto, scorretto e meschino, ho dedicato qualche riga specifica per darti degli strumenti di confronto e non farti segare le gambe nel momento in cui ascolterai quella sentenza. Leggi qui l’articolo sulle date di scadenza.
A questo dogma della data di scadenza si associa un luogo comune moderato:
4. IL METODO PERFETTI VA BENE, MA SOLO NEI PRIMI 6 MESI
Perché legato ovviamente alla finestra di recupero dei 6 mesi, che altro non è il momento in cui il paziente manifesta il maggior numero di espressioni di recupero spontaneo, ma il recupero vero è un processo che richiede molto più tempo.
Il quinto luogo comune si oppone al precedente dove invece, viene detto:
5. LA NEUROCOGNITIVA VA BENE MA SOLO DOPO I PRIMI 2 MESI
Qui avrai capito bene che il ragionamento su cui si basa tale frase è che nei primi 2 mesi è più facile avere problemi sensitivi, motori e cognitivi, sui quali ritengono sia preferibile sperare che vi sia un recupero spontaneo dato da una lesione più favorevole, piuttosto che ottenerne effettivamente il recupero.
Questo sesto luogo comune anche è piuttosto curioso, e mi fa pensare al tipo di interpretazione fatta nei confronti del funzionamento del nostro corpo:
6. IL METODO PERFETTI, VA BENE, MA SOLO PER LA MANO
Non lo so, ma a volte penso ai miei piedi, al gran lavoro che fanno per gestire il mio equilibrio, per permettermi di adattarmi a qualsiasi tipo di suolo, mi incanto a guardare certi atleti, come pattinatori, ginnaste artistiche, ballerini, fuoriclasse del calcio. Se dovessi rispondere io chiederei :
“E se Maradona avesse avuto un ictus, il Perfetti allora sarebbe andato bene per i piedi?” , ma per te ho la risposta diplomatica:
“Capisco Prof, la mano è più complessa e richiede un lavoro più raffinato, ma allora se il piede è meno complesso, potrebbe godere ancora di più e più rapidamente con un lavoro più raffinato!” Possiamo provare professore, invece di farle fare il botulino e chiudere il piede in quel tutore?"
Qui purtroppo la lista è lunga, ed anche questo articolo è già stato piuttosto impegnativo, mi riprometto di fare un articolo con altri luoghi comuni in futuro.
Spero che vi sia stato utile, anche se poi non avverrà nessun confronto diretto o presa di coscienza diretta, sappiate che cominciare a non berci tutto quanto ci viene detto in modo passivo, è il primo atto che precede il cambiamento. In più spero che leggendo queste righe abbia un po’ smorzato il senso di oppressione e vulnerabilità che hai provato quanto ti sono state dette certe cose, in modi non sempre umani. Se vuoi arricchire le lista dei luoghi comuni che si dicono sul metodo Perfetti e la Riabilitazione neurocognitiva, accomodati pure nei commenti.
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