Nelle pagine di questo sito facciamo quasi esclusivamente riferimento agli ictus cerebrali più diffusi e fino ad oggi non avevamo mai trattato l’argomento dell’ictus cerebellare quello che cioè coinvolge il cervelletto. Si tratta di un argomento particolarmente complesso, da una parte proprio per la complessità delle funzioni che il cervelletto svolge dall'altra perché è una lesione più rara rispetto a quelle subite agli emisferi cerebrali (circa il 2-3 % degli ictus). Nonostante ciò il trattamento del paziente cerebellare è un tema che va affrontato assolutamente, perché il paziente che sopravvive ad una lesione a questo livello, riporta spesso dei disturbi che sono assai invalidanti che lo limitano a volte anche negli atti di minima autonomia, spesso anche il solo stare in piedi risulta impossibile. Solo studiando in modo approfondito il ruolo del cervelletto nei confronti del movimento possiamo avere la speranza di poter elaborare la terapia riabilitativa più adatta alle necessità del paziente con lesione cerebellare.
Come vedremo nel corso dell’articolo, il cervelletto ha subito nell’ultimo secolo un lungo processo di reinterpretazione da parte dei ricercatori, è il momento che questa evoluzione interpretativa venga trasferita nel nostro campo operativo della fisioterapia riconsiderando severamente il nostro operato in palestra.
Obiettivi
Costume comune e diffuso è pensare al cervelletto come ad una struttura del nostro sistema nervoso centrale deputata al coordinamento motorio e centro dell’equilibrio, tuttavia, come avremo modo di approfondire nel corso di questo articolo, nell’ultimo ventennio grazie ad autorevoli studi scientifici anche il cervelletto è stato finalmente riconosciuto dalla comunità scientifica come un “organo” in grado di permetterci sofisticate funzioni cognitive, da cui dipendono il nostro comportamento motorio e non.
Trattando il tema della riabilitazione post ictus, non poteva rimanere fuori delle nostre attenzioni lo studio sul cervelletto, per questo gli obiettivi di questo intervento saranno:
- Analizzare l’evoluzione della sua interpretazione nel corso del progresso delle conoscenze scientifiche
- Studiare il ruolo cognitivo e comportamentale del cervelletto e le relazioni che tesse con le altre strutture cerebrali
- Osservare come lo studio sul cervelletto non aiuti solo nella ricerca in ambito di recupero da lesioni cerebellari, ma anche di quelle cerebrali, più ampiamente trattate nei nostri scritti
- Muovere alcune ipotesi di lavoro sulla base delle evidenze scientifiche presenti in letteratura
Evoluzione dell’interpretazione del ruolo del cervelletto
Parlando di storia dell’evoluzione dell’interpretazione delle funzioni attribuite al cervelletto, è impossibile non citare Sir Gordon Morgan Holmes, che partecipò nelle vesti di consulente neurologo nei campi militari della prima guerra mondiale. Gli scontri a fuoco ovviamente garantirono ad Holmes, ottimo osservatore, una casistica notevole, su cui affondare i propri pionieristici studi sulla corteccia visiva e sul cervelletto.
Queste 2 regioni di interesse non furono casuali infatti, giocarono un ruolo fondamentale alcune circostanze di no
n poco conto.
La prima era che all’epoca i proiettili erano più piccoli e meno deformabili all’impatto con il cranio determinando una minore onda d’urto ed una ferita di penetrazione ridotta, questo garantiva una maggiore sopravvivenza dei soldati anche se colpiti in battaglia. La seconda era data dalla forma dell’elmetto in dotazione all’esercito britannico, il Brodie, che lasciava scoperta ai colpi da arma da fuoco proprio la porzione posteriore e bassa del cranio, che corrisponde alla prossimità di cervelletto e lobi occipitali del cervello.
Per decine di anni la neurologia ha goduto delle acute osservazioni di Sir Holmes, sia nei confronti dello studio dei sintomi delle lesioni cerebellari, sia nei confronti delle ipotesi di funzionamento di tale struttura. Consideriamo infatti che solo il 3% circa degli ictus sono a carico del cervelletto, e il tasso di mortalità di tali lesioni è molto alto, sia in virtù dell’estrema contiguità con le strutture mesencefaliche che regolano le funzioni vitali sia a causa del possibile idrocefalo dipeso dall’ostruzione del fluido cerebrospinale.
Gli attenti, accurati e pionieristici studi di Holmes sulle funzioni del cervelletto si orientavano sugli effetti motori:
[ …. Da questa analisi dei sintomi derivanti da lesioni del cervelletto negli umani, è evidente che i disturbi essenziali sono:
1) Ipotonia posturale e deterioramento di alcune reazioni dei muscoli ipotonici
2) Lievi gradi di astenia ed affaticabilità dei muscoli
3) Anomalie nel ritmo, regolarità e forza dei movimenti volontari 4) alterazione di alcuni movimenti associati …. ]
( Holmes 1939)
Chiaramente nonostante la diligente accuratezza delle osservazioni di Sir Gordon Holmes, ci trovavamo agli inizi del 1900 e per quanto fosse larga la base statistica su cui lo studioso potesse contare, non aveva gli strumenti tecnologici, come le apparecchiature per neuroimmagini dei giorni nostri, e gli effetti sulle lesioni cerebellari venivano identificati prettamente su un livello esecutivo e motorio.
Tuttavia anche negli scritti di Holmes non mancarono delle osservazioni relative ad alcune alterazioni cognitive dei suoi pazienti e nei decenni a seguire analisi inverse, quindi all’autopsia di persone affette da disturbi psichiatrici ( demenza, alzheimer, schizofrenia, autismo) si rivelavano delle anomalie del cervelletto.
Cambio di direzione
In letteratura scientifica i lavori di Jeremy Schmamann dagli anni ’90 rappresentano un punto di riferimento per una reinterpretazione del cervelletto su base cognitiva un cambio di tendenza che ha permesso lo sviluppo di numerosissime conferme scientifiche negli anni a seguire fino ai giorni nostri.
Schmamann direttore dell’unità Atassia del Massachusetts General Hospital, nella sua eminente ricerca del 1991
“An emergent concept: cerebellar to higher functions”
diceva: [… Più recentemente, tuttavia , studi clinici e di neuroimmagini hanno nuovamente suggerito che le anomalie cerebellari possono essere più di epifenomeni in pazienti con alterazione delle facoltà intellettuali o emotive … si raccomanda che i pazienti con lesioni cerebellari vengano studiati da un punto di vista neurocomportamentale] (Schmahmann 1991)
Ovviamente nel nostro campo della riabilitazione, tale riconsiderazioni neurofisiologiche devono avere delle ripercussioni in termini di riadattamento della fisioterapia finora proposta e basata su conoscenze oramai reinterpretate.
[… Allo stato attuale, l’attribuzione del cervelletto da parte di numerosi fisiologi di funzioni definibili “cognitive” ed il contemporaneo perfezionamento di una teoria riabilitativa che propone il riferimento nello studio del recupero, ai processi relativi alla coscienza, rendono estremamente interessante una riconsiderazione della patologia cerebellare anche dal punto di vista della fisiopatologia del recupero …] ( Carlo Perfetti 1998)
“Cervelletto e Processi cognitivi, implicazioni riabilitative” a cura di Carlo Perfetti e Aldo Pieroni - Biblioteca A.R. Lurija
Evoluzione filogenetica del cervelletto ed evoluzione della sua interpretazione
Per comprendere l’evoluzione dell’interpretazione del ruolo del cervelletto nell’essere umano è interessante considerare anche il contributo offerto da studi relativi allo sviluppo che questa struttura nervosa abbia subito nel corso dell’evoluzione della nostra specie. Studiare come la natura stia investendo sul nostro sistema nervoso centrale facendo determinate scelte evolutive piuttosto che altre, ci offre una interessante prospettiva per studiare al meglio il ruolo del cervelletto.
Nonostante il cervelletto contenga ben quattro volte il numero dei neuroni della neocorteccia, quest’ultima viene spesso identificata come il coronamento dell'evoluzione e del substrato biologico di abilità mentale della specie umana. Robert A. Barton professore di Antropologia Evoluzionistica all’università di Durham in Inghilterra, afferma che la spinta evoluzionistica ha preferito dirigersi sullo sviluppo del cervelletto, attribuendo tale tendenza ai ruoli del cervelletto nei confronti dell’intelligenza tecnica e sociale.
"Rapid Evolution of the Cerebellum in Humans and Other Great Apes"
Narender Ramnani ricercatore alla Royal Holloway University of London in un suo studio del 2012, conclude che una ristretta visione del ruolo del cervelletto sul controllo motorio sia inconsistente alla luce delle nuove informazioni sulle connessioni cerebellari che coinvolgono oltre la corteccia motoria primaria anche la corteccia prefrontale e la corteccia parietale posteriore. Insieme a queste strutture il cervelletto, secondo Ramnani, gioca un ruolo fondamentale nella regolazione delle attività della corteccia associativa.
Tale sistema inoltre sembra procedere in una strada co-evolutiva. Vedremo più avanti il significato di tale connessione tra il cervelletto ed il resto del cervello ai fini del comportamento, per ora il dato significativo è che il cervelletto svolge i suoi compiti in armonia con i ruoli giocati da altre strutture cerebrali che sono coinvolte in funzioni cognitive come quelle legate alla percezione ed alla pianificazione dell’azione e non solo all’atto motorio in sé. In definitiva questi recenti studi sull'evoluzione del cervelletto e sulle sue intime connessioni con gli apparati cerebrali che coincidono con le funzioni relative alla presa di decisione, previsione, analisi delle informazioni e organizzazione motoria, ci aiutano a “risarcire” finalmente il cervelletto affidandogli un ruolo cognitivo altamente raffinato.
(Riassunto dell'articolo di Ramani)
Cervelletto e compiti sensoriali
James Mason Bower neuroscienziato americano, in uno studio del 1997 sulla fisiologia del cervelletto, evidenzia un suo ruolo affascinante nei confronti dell’organizzazione motoria e dell’acquisizione sensoriale in concerto con altre strutture corticali. definendo il cervelletto:
[… non responsabile in sè di alcuna funzione comportamentale che sia “motoria”, “sensoriale” , “cognitiva”, ma ne facilità l’efficienza con la quale altre strutture cerebrali le realizzano…]
Per fare un esempio pratico della relazione tra cervelletto e cervello, immaginiamo di mettere insieme un’orchestra di musicisti esperti, anche se non guidati dal direttore d’orchestra saranno in grado di portare a termine la sinfonia richiesta, tuttavia il direttore d’orchestra, in questo caso il cervelletto, sarà in grado di far rendere al 100% il talento di ognuno dei professionisti, regalando al pezzo maggiore armonia e maestosità
Si tratta di uno studio, questo di Bower, a cui tengo particolarmente, e credo che riassumerlo in questa sede possa aiutarci a comprendere il ruolo del cervelletto, ricordando che il motivo per il quale ci stiamo addentrando nel campo della neurofisiologia è solo perché questa ci potrà permettere di interpretare al meglio la riabilitazione necessaria in seguito ad un ictus cerebellare.
Già a questo punto immagino che alla luce di quanto detto, esercizi di fisioterapia dove il paziente viene fatto camminare con i pesi alle caviglie per aiutarlo nella gestione gravitazionale o offrirgli esercizi di rinforzo muscolare possano rivelarsi inconsistenti dal punto di vista neurofisiologico.
Bower e coll. si resero conto già di un primo dato piuttosto curioso sui ratti che li sorprese fin da subito, cioè che le rappresentazioni tattili presenti nel cervelletto e che quindi ricevono fibre dalla superficie del corpo, non provenivano dagli arti inferiori come ci si poteva aspettare secondo una visione “motoria” e “posturale” del cervelletto, bensì dalle zone del muso ed in parte dalle zampe anteriori e che inoltre queste aree di rappresentazione avevano una conformazione a mosaico dove ogni parte si incastrava con un’altra che però non nel corpo non erano anatomicamente adiacenti “fractured somatotopy”, tuttavia la disposizione di questa “mappa” del corpo suggeriva che ogni parte era connessa con un altra non dal punto di vista anatomico, bensì funzionale.
Tali aree infatti si attivavano durante l’esplorazione tattile e non durante altri movimenti stereotipati come la masticazione. Anche in altri mammiferi è stata identificata nel cervelletto una rappresentazione simile a quella del ratto, ad esempio nel gatto e nei primati, in quest’ultimi erano più evidenti le rappresentazioni degli arti anteriori più coinvolti nei compiti di riconoscimento tattile.
Tuttavia nonostante tali osservazioni, questo tipo di rappresentazione a mosaico delle superfici recettoriali corporee, da vari autori venivano ancora interpretate ai fini del controllo motorio. In effetti non è semplice distinguere se è l’acquisizione sensoriale ad essere a disposizione del movimento o viceversa è il movimento ad essere a disposizione dell’acquisizione sensoriale.
Sembra quasi un paradosso stile è nato prima l’uovo o la gallina in realtà rappresenta un nodo fondamentale.
Per sciogliere questo dilemma utilizzeremo lo studio condotto da Jia hong Gao Co-direttore del Brain Research Imaging Center, dell’università di Chicago, il cui nome dello studio fornisce già la risposta:
“Cerebellum Implicated in Sensory Acquisition and Discrimination Rather Than Motor Control”
Trad.
"il cervello è implicato nell’acquisizione e discriminazione dei dati sensoriali piuttosto che nel controllo motorio”
L’autore con questo studio ha voluto verificare il grado di attivazione del nucleo dentato del cervelletto in accordo a compiti che avessero più o meno un significato percettivo per i soggetti in esame.
In un primo compito ai soggetti veniva passata una carta abrasiva sotto i polpastrelli delle mani senza alcuna richiesta da parte dei soggetti ne in termini motori ne in termini discriminativi, in un secondo compito veniva richiesto il riconoscimento della superficie proposta, in un terzo compito veniva richiesto di afferrare e lasciar cadere in terra degli oggetti ed in un ultimo compito veniva richiesto di afferrare un oggetto e riconoscere se si trattava dello stesso oggetto o meno di un altro posto nell’altra mano.
Riassumo i risultati in questa tabella, anche se già immaginerete in quale attività il cervelletto ha visto la maggiore attivazione, sottolineo inoltre il fatto che in tutti i compiti richiesti da Gao i soggetti avevano gli occhi chiusi ed in quest’ottica fa piacere pensare che il Prof. Carlo Perfetti già 30 anni prima di queste ricerche intuiva la necessità di proporre al paziente con lesione cerebrale esercizi di riconoscimento ad occhi chiusi, specialmente l’esercizio di riconoscimento tattile di diverse superfici da percepire con i polpastrelli delle dita fu proprio un dei primi esercizi di quello che comunemente viene conosciuto come metodo Perfetti.
Ecco il risultato delle diverse attivazioni.
Come potevamo aspettarci la maggiore attivazione del cervelletto avveniva quando il compito non solo coinvolgeva il movimento, ma quando oltre al movimento il soggetto aveva la necessità di conoscere l’oggetto.
Il nucleo dentato destro appariva sempre più attivo rispetto al sinistro, gli autori hanno ipotizzato che questa differenza se pur minima fosse da attribuirsi alla dominanza dell’emisfero cerebrale sinistro dei partecipanti destrimani.
Questo contributo di Gao, oltre a chiarirci il ruolo del cervelletto nei confronti dell’acquisizione dei dati sensoriali ai fini della costruzione del movimento, ci fa riflettere sulle pratiche riabilitative che spesso i pazienti con lesioni cerebellari sono costretti a subire perché ancora legate all’interpretazione pregressa del cervelletto la cui lesione è origine di ipotonia.
Chiaramente se l’interpretazione delle sequele di una lesione cerebellare è rivolta alla riduzione del tono dei muscoli viene immediato pensare che l’esercizio debba essere di rinforzo degli stessi. Ma alla luce di questi importanti studi dove, ci rendiamo conto che il cervelletto oltre alla riduzione del tono, in seguito alla sua lesione, comporta anche una alterazione della capacità di acquisire informazioni dall’ambiente per una corretta e raffinata organizzazione motoria:
" non è perlomeno ragionevole pensare che l’esercizio dovrebbe contenere almeno un problema? "
E che
" tale problema non debba essere solo motorio, ma anche di tipo conoscitivo e percettivo?"
Uno degli obiettivi di questo articolo non è definire cosa debba essere fatto per filo e per segno di fronte ad una patologia cerebellare, non ne avrei gli strumenti, anche se verso la fine faremo delle ipotesi operative nei confronti degli esercizi, ma almeno è quello di instillare un ragionevole dubbio che le pratiche muscolari e neuromotorie che non considerano gli aspetti neurocognitivi che ci permettono di entrare in rapporto con il mondo necessitino di una severa e responsabile riconsiderazione.
Allo studio di Gao appena citato, è utile associare il lavoro di Seong-Gi Kim, ricercatore all’università di Pittsburg
"Activation of a cerebellar output nucleus during cognitive processing"
L’autore dimostrava che il cervelletto si attivava non in base alla complessità motoria del gesto ma alla complessità del problema da affrontare.
Il ricercatore richiese al gruppo di soggetti in studio fondamentalmente di svolgere 2 compiti mentre veniva esaminato il grado di attivazione del cervelletto.
Nel primo compito dovevano spostare dei pioli colorati da una tavoletta con dei fori ad un’altra senza seguire alcuna regola, nel secondo compito lo spostamento dei pioli da una base all’altra doveva soddisfare alcune regole di disposizione.
Anche in questo caso l’intensità di attivazione massima si otteneva nel compito in cui il soggetto era sottoposto ad un compito problematico dal punto di vista cognitivo, un compito in cui doveva seguire delle regole, nonostante la frammentazione motoria fosse la stessa in entrambi i compiti.
Questo studio ci fa riflettere sull’importanza di proporre ai nostri pazienti dei problemi da risolvere con il corpo e attraverso il ricorso alla percezione. Lo studio di Kim insieme a quello di Gao, ci hanno aiutato a risolvere il dubbio emerso durante le osservazioni di Bower, ovvero se fosse il movimento ad essere al servizio della percezione o l’acquisizione sensoriale fosse il parametro sul quale poggia l’organizzazione motoria.
Bower continua la sua ricerca chiedendosi il motivo della rappresentazione a mosaico presente nel cervelletto delle superfici tattili del corpo ed ipotizza che non essendo organizzate in maniera somatotopica, ma disposte seguendo un significato funzionale, il cervelletto agirebbe come “integratore” di informazioni provenienti da diverse regioni del corpo coinvolte nello stesso compito.
Questa ipotesi ci porta ad associare quello che avviene nel movimento del paziente che ha subito un ictus cerebellare, ovvero un movimento povero dal punto di vista del numero delle articolazioni messe in gioco nel movimento, come ad esempio accade durante un compito di presa di un oggetto, dove il paziente spesso prima distende tutto il braccio e poi muove la spalla per raggiungere l’oggetto con il polso invariabilmente disteso evitando di non frammentare gomito-spalla-polso e dita in una organizzazione sincronizzata e contemporanea forse proprio per la difficoltà incontrata dal cervelletto nell’integrare e sfruttare le informazioni provenienti dalle diverse articolazioni.
Stesso fenomeno di riduzione delle articolazioni messe in gioco durante il movimento potrebbe essere osservato durante la gestione del tronco del paziente cerebellare sia da seduto che in piedi in stazione eretta sia coinvolto nel cammino, dove il comportamento della schiena appare assai rigido e poco frammentato come a voler ridurre la complessa articolarità della colonna vertebrale, (pensiamo solo al fatto che la schiena ha 33 vertebre da gestire…)
Le informazioni percettive integrate dal cervelletto secondo lo stesso autore servirebbero per informare la corteccia cerebrale chiamata ad una organizzazione delle superfici esploranti del nostro corpo al fine di poter facilitare una ulteriore e più accurata costruzione di informazioni con l’ambiente. L’attivazione del cervelletto durante i compiti di acquisizione di dati sensoriali, viene confermata da un altro interessante studio condotto da Harry Jenkins che rileva una maggiore attivazione del cervelletto quando il compito in esame è un compito nuovo e non appreso, ad esempio un compito di battitura su una tastiera, mentre si riduceva man mano che il compito diventava conosciuto ed appreso dai soggetti, nonostante le sequenze motorie fossero le stesse. Questo studio non solo conferma il ruolo del cervelletto durante l’acquisizione sensoriale dei dati, ma ne mette in luce un altro di aspetto fondamentale per chi si occupa di recupero post ictus, ovvero che il cervelletto è implicato nei processi di apprendimento.
Ai miei pazienti quando spiego il ruolo del cervelletto durante l’apprendimento faccio spesso l’esempio della guida della macchina infatti quando nei primi giorni in cui stavamo imparando a guidare, addirittura staccavamo con fatica la mano dal volante per raggiungere il cambio, ad oggi dopo anni di guida, possiamo guidare, parlare al cellulare ( cosa sbagliata!) , cambiare le stazioni radio e se ci troviamo in una città caotica come Roma possiamo anche usare una mano per “salutare amichevolemente” un altro automobilista e magari arrivare al cancello di casa senza nemmeno ricordarsi che strada abbiamo fatto: tutto quasi in automatico.
Dal primo giorno in cui siamo saliti in macchina fino a quando abbiamo interiorizzato e reso automatica la performance della guida, il nostro cervelletto ha fatto i fuochi d’artificio in termini di attivazione. Questo come vedremo ci farà riflettere sulla modalità in cui proporre gli esercizi: se in modo routinario puntando all'acquisizione di determinate performance o in modo innovativo privilegiando il cervelletto.
Non sarà un semplice dibattito dove probabilmente vincerà un sano bilanciamento tra le due opzioni, sia per i pazienti con lesione cerebrale che per i pazienti con lesione cerebellare.
Immagine Motoria
Per comprendere in modo più completo come organizzare al meglio le attività terapeutiche rivolte al paziente cerebellare dobbiamo approfondire ancora di più il ruolo del cervelletto ai fini del comportamento e conoscere le funzioni in cui partecipa.
Uno dei processi cognitivi ai quali il cervelletto offre le sue funzioni è l’immagine motoria,
“… L’immagine motoria può essere definita come uno stato dinamico durante il quale il soggetto simula mentalmente una data azione. Questo tipo di esperienza implica che il soggetto senta se stesso compiere l’azione…” (Decety 1996)
Lo stesso Decety in un suo studio,
The cerebellum participates in mental activity: Tomographic measurements of regional cerebral blood flow
dimostrava che durante compiti di immagine motoria, avviene una attivazione del cervelletto, suggerendo un ruolo attivo del cervelletto nella programmazione del movimento e quindi nell’apprendimento motorio. Abbiamo trattato ampiamente il tema dell’immagine motoria in questo articolo specifico che ti suggerisco di leggere per avere una più ampia visione dell’argomento.
Chiaramente il fatto che il cervello fornisca il suo contributo all’azione anche attraverso funzioni previsionali e che partecipi all’elaborazione di una rappresentazione mentale, fondamentale per l’apprendimento motorio di azioni nuove o complesse, deve stimolare il riabilitatore nel considerare l’immagine motoria come strumento per il recupero del paziente con lesione cerebellare e come essa stessa oggetto del recupero.
Alla luce degli studi sulla fisiologia del cervelletto, non considerare le sue competenze nell’elaborazione dell’immagine motoria, potrebbe significare perdere l’occasione di poter attivare il cervelletto in modo più completo e funzionale per il recupero.
Diaschisi e Cervelletto
Uno degli obiettivi di questo articolo è anche quello di stimolarti a considerare le implicazioni funzionali del cervelletto anche se ci rivolgiamo esclusivamente al trattamento del paziente emiplegico con lesione cerebrale e non necessariamente cerebellare.
Nei paragrafi precedenti abbiamo già constatato quanto le funzioni del cervelletto siano intimamente connesse con le funzioni del resto della corteccia cerebrale, ricordi l’esempio del direttore d’orchestra?
Essendo l’azione la proprietà emergente di una complessa organizzazione del nostro sistema nervoso, dobbiamo considerare il recupero dell’intero sistema funzionale coinvolgendolo in modo integrato in tutte le sue parti e nelle relazioni tra di esse, per questo anche se ci troviamo ad affrontare il recupero di un paziente con lesione cerebrale, risulta ragionevole considerare nel nostro lavoro riabilitativo anche le implicazioni funzionali che il cervelletto offre al movimento.
Un altro aspetto di fondamentale importanza che ci spinge ancora di più nel considerare il ruolo del cervelletto nella nostra pratica riabilitativa anche dei pazienti che non hanno subito lesioni cerebellare ci viene fornito dalla Diaschisi.
Il concetto di Diaschisi, viene introdotto per la prima volta da Von Monakov nel 1914 e suffragato fino ai giorni nostri da innumerevoli studi. Per Diaschisi, si intende la deattivazione a distanza di alcune strutture nervose in seguito ad un danno cerebrale, tali strutture possono subire una deattivazione anche a distanza dalla lesione. Si tratta di un argomento di fondamentale importanza per chi si occupa di riabilitazione del paziente post ictus, ne parleremo pertanto in modo approfondito e specifico in altri articoli.
Menzioniamo il concetto di Diaschisi, in questa sede dedicata al cervelletto, proprio perché una delle strutture nervose maggiormente interessate da tale fenomeno è proprio il cervelletto.
Crossed Cerebellar Diaschisis in Acute Stroke Detected by Dynamic Susceptibility Contrast MR Perfusion Imaging
Pertanto se ci troviamo ad affrontare il recupero post ictus, in seguito ad una lesione cerebrale che non abbia coinvolto direttamente il cervelletto, dobbiamo essere consapevoli che il cervelletto seppur non danneggiato anatomicamente, subisce una alterazione funzionale. L'alterazione funzionale subita sembra essere relativa al contributo fornito in accordo con la zona lesa e non una deattivazione tout court.
Questo dato ci porta ad intuire che le alterazioni che dimostra il paziente in seguito ad una lesione emisferica, potrebbe non essere solo il risultato del danno biologico effettivo e diretto delle zone nervose coinvolte dall’ischemia, emorragia o trauma, ma potrebbe essere invece il risultato del danno diretto aggiunto al danno collaterale di depressione neurale di strutture nervose poste a distanza dalla lesione, ma con cui condivide un ruolo funzionale.
Per semplificare potremmo ipotizzare che per il recupero del paziente emiplegico possa risultare importante procedere attraverso la riabilitazione considerando anche esercizi che abbiano il compito di riattivare il cervelletto inibito dalla diaschisi e per fare ciò i nostri esercizi dovrebbero considerare il ruolo funzionale del cervelletto in correlazione alle zone cerebrali direttamente coinvolte dalla lesione come abbiamo visto in precedenza: gestione delle informazioni, risoluzione di un problema motorio, elaborazione dell’immagine motoria, apprendimento di sequenze motorie nuove.
Riabilitazione del paziente post ictus cerebellare
Come abbiamo scritto nell’introduzione il cervelletto ha una organizzazione anatomica e funzionale altamente complessa ed è inoltre uno dei bersagli elettivi del nostro sviluppo evolutivo, quindi possiamo immaginare che ogni lesione ad ogni livello del cervelletto comporti delle differenze che devono ripercuotersi nella quotidianità riabilitativa, pertanto queste che seguiranno saranno solo delle ipotesi operative generiche nei confronti del trattamento fisioterapico del paziente cerebellare e devono servire solo a scopo di riflessione ed essere messe alla prova con l’esercizio.
La maggiorparte di tali implicazioni riabilitative venivano già formulate alla fine degli anni ’90, dallo studioso italiano Prof. Carlo Perfetti, nel già citato testo : Cervelletto e processi cognitivi
Presenza di un problema nell’esercizio
Come abbiamo potuto apprezzare grazie allo studio di Kim e coll, il cervelletto viene attivato con compiti motori che abbiano una complessità dal punto di vista cognitivo e non solo cinematica. A dispetto di quanto per molti decenni si è pensato nei confronti degli esiti da lesione cerebellare che vedeva come problema principale l’affezione muscolare che conduce all’ipotonia. Pertanto potrebbe essere ragionevole riconsiderare in modo critico le attività fisioterapiche che inducano il paziente cerebellare ad un rinforzo muscolare, fatto di attività routinarie e ripetitive, in quanto nonostante possano avere un effetto sul volume e la forza del muscolo potrebbero non incidere sul recupero della qualità del movimento. Mentre potrebbero essere privilegiati esercizi dove il paziente è impiegato nella risoluzione di un problema motorio che abbia un significato cognitivo, dove cioè, sia coinvolta la pianificazione dell’azione, l’impiego dell’attenzione ed il ricorso alla percezione.
Presenza del riconoscimento e discriminazione sensoriale L’affascinante studio di Bower sull’implicazione del cervelletto nell’organizzazione motoria grazie alla sua funzione di integrazione delle informazioni costruite attraverso le superfici recettoriali del nostro corpo, ci porta a pensare che l’esercizio terapeutico debba poter contenere all’interno del problema proposto al paziente, un compito di riconoscimento sensoriale in modo da mettere in gioco il ruolo del cervelletto di regolatore dei movimenti sulla base delle informazioni costruite con l’ambiente. Un esercizio definito più volte “conoscitivo”
Control of sensory data acquisition ( Bower 1997)
Presenza del movimento
A differenza del paziente emiplegico che presenta uno specifico motorio composto da componenti elementari del movimento conosciute come spasticità, il paziente con lesione cerebellare presenta un diverso specifico motorio, dove spesso le possibilità motorie rimangono integre seppur disorganizzate. Inoltre alla luce degli studi di Gao dove abbiamo visto il cervelletto attivarsi in modo massiccio durante un compito di riconoscimento attraverso il movimento prodotto dal paziente rispetto all’attivazione evidenziata da un compito di discriminazione tattile con il movimento prodotto dall’operatore, possiamo considerare l’ipotesi che l’esercizio potrebbe contenere il movimento intenzionale prodotto dallo stesso paziente e meno indotto dall’operatore. Per intenderci, seguendo la distinzione che comunemente si utilizza nella riabilitazione neurocognitiva secondo Perfetti, privilegiare esercizi in 2° e 3° grado rispetto a quelli in 1° grado dove il paziente si lascia condurre durante il movimento e dove pone l’attenzione al controllo sulle componenti elementari della spasticità
Proposta Multisegmentale e Multisensoriale
Sempre nello studio di Bower, le deduzioni sul significato della disposizione e conformazione delle rappresentazioni cerebellari delle superfici esploranti del nostro corpo, ci fanno riflettere sulla possibilità di stimolare il cervelletto proponendo al nostro paziente problemi di tipo conoscitivo e dove il movimento abbia un valore, ma permettendogli di svolgere la sua funzione di integratore di informazione tra diversi segmenti del nostro corpo, quindi mettendo il paziente nella condizione di dover mettere in relazione contemporaneamente le informazioni costruite con più parti nel corpo all’interno di una azione e non semplicemente impiegando una sola articolazione.
La stessa rappresentazione “fractured” a mosaico, ed il tipo di attivazione delle fibre nervose ad esse connesse, come ipotizza l’autore, potrebbe avere il significato di integrare diverse modalità informative all’interno delle singole superfici recettoriali.
Pertanto potrebbe essere una ipotesi quella di formulare un esercizio la cui risoluzione possa essere trovata attraverso l’integrazione tra diversi ambiti informativi.
Questo a livello ipotetico potrebbe essere uno dei motivi per i quali, attraverso osservazioni empiriche, è stato osservato che il paziente con lesione cerebellare spesso presenta disturbi della percezione specialmente in compiti di riconoscimento ponderale, ovvero dei pesi.
Il peso infatti è una informazione complessa risultante dall’integrazione di altri ambiti informativi, riconosciamo il peso di un oggetto o del nostro corpo mettendo insieme parametri come il movimento ( informazioni cinestesiche), il tatto ( informazioni aptiche), la pressione ed il senso dello sforzo ( quest’ultimo non ancora ben studiato)
[… Le basi neurali del senso dello sforzo sono ancora da scoprire. Sembra che il cervello utilizzi , per misurare lo sforzo, il comando motorio stesso…] ( Alain Benthoz “Les sens du mouvement”)
Immagine motoria
Come abbiamo già anticipato successivamente agli studi che dimostravano l’attivazione del cervelletto durante compiti di apprendimento motorio attraverso l’utilizzo dell’immagine motoria, potrebbe essere una implicazione riabilitativa, quella di impiegare all’interno dell’esercizio conoscitivo il ricorso alla previsione del movimento, immagine motoria per intenderci.
Ma questo chi si occupa di riabilitazione neurocognitiva, già lo fa costantemente nella pratica riabilitativa quotidiana.
Compiti nuovi
È indiscusso come sia importante la ripetizione per l’apprendimento di determinate abilità motorie, è anche vero che il paziente con lesione cerebellare non ha perso determinate abilità motorie, ma si è visto alterare la sua possibilità di organizzare il movimento in modo armonico ed efficace, pertanto potrebbe essere una ipotesi operativa quella di lasciare uno spazio all’interno della nostra condotta terapeutica per la proposta di esercizi conoscitivi sempre nuovi, dove il paziente possa attivare il cervelletto secondo le sue funzioni già osservate di “risolutore di problemi” dove il paziente ogni volta è posto di fronte alla necessità di analizzare le procedure e le regole di risoluzione di un nuovo compito.
Avendo osservato che l’attivazione del cervelletto diminuisce in relazione all’acquisizione ed automatizzazione del compito, ci sembra interessante questa ipotesi operativa dove al paziente vengono proposti compiti sempre nuovi, anche se poco dissimili da altri progettati per il recupero di terminate funzioni, ma con delle caratteristiche innovative che costringano il paziente a rielaborare un nuovo processo risolutivo.
Nella mia pratica quotidiana anche con i pazienti con lesione cerebrale e non cerebellare, metto alla prova questa ipotesi, alla luce degli studi sulla diaschisi, dove anche in presenza di una lesione cerebrale si rende necessaria una riattivazione del cervelletto coinvolto a distanza dalla lesione in una depressione neurale.
Proprio per questo motivo, nelle sessioni quotidiane di fisioterapia lascio uno spazio libero per almeno un esercizio al giorno che abbia queste caratteristiche “cerebellari”, li definisco infatti proprio esercizi cerebellari.
Ruolo della vista e del vestibolo
Si tratta di un argomento molto vasto ed interessante, come il cervelletto integri informazioni visuo-spaziali, propriocettive e vestibolari, per questo sarà il caso approfondire il tema con la ricerca e l’analisi di contributi scientifici specifici per poi passare ad ipotizzare le relativi implicazioni riabilitative. In un futuro articolo tratteremo l’argomento di un possibile intervento terapeutico per il recupero delle funzioni integrative tra informazioni visuo-spaziali e vestibolari, insieme ad una analisi del concetto di Atassia cerebellare.Qui trovi la nostra newsletter, dove ogni giorno circa 20 tra pazienti, familiari e professionisti si iscrivono per ricevere gratuitamente altri contenuti speciali sull'ictus cerebrale ed il suo recupero. Il primo report sarà "10 cose che devi sapere sull'ictus".
2 commenti:
ho una pci, l'unico problema rilevante è la testa maledetta che mi ciondola a volte insieme al tronco,non riesco a farla stare ferma. un suggerimento?
prendere in considerazione la riabilitazione neurocognitiva per affrontare tutti i problemi relativi alle varie funzioni sia del tronco che della presa
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