Dopo un Ictus : Esercizi per il cervello o esercizi per il corpo?

Con questo articolo voglio rispondere ad alcune domande fondamentali per il trattamento del paziente emiplegico che ha subito un ictus o una qualsiasi lesione cerebrale. Le domande sono:





1) Quale relazione c’è tra corpo e mente? 
2) Perché si dice che dopo un ictus bisogna indirizzare gli esercizi sul cervello? “ 
3) Non ho problemi cognitivi, sono lo stesso di prima e mi ricordo anche tutte le password ed i pin, perché dovrei fare la neurocognitiva”? 

Corpo e Mente 
Quando ci pungiamo un dito o sbattiamo il mignolo su un mobile, viene da chiedersi se il dolore lo proviamo nella parte del corpo colpita o nel cervello. 
Stessa cosa con i profumi, sentiamo con il naso o con il cervello? E ancora, quando compiamo una azione, muoviamo il corpo con i muscoli o con il cervello? 

Svelare i misteri che si celano nella percezione è stato un desiderio che ha accompagnato studiosi di ogni epoca, in una corsa al sapere senza sosta per risolvere il collegamento tra mente e corpo. Non è possibile esaminare la mente senza considerare il corpo, come non è possibile studiare l’unità mente-corpo senza considerare l’ambiente ed il mondo in cui interagisce. 
Quando parliamo di ambiente, non parliamo solo dell’ambiente fisico, ma anche di quello sociale. All’interno di questo articolo dove cercherò di affrontare questo tema, particolarmente complesso ed allo stesso tempo affascinante, cercherò inoltre di rimanere sempre collegato con il nostro obiettivo primario, che è quello di comprendere come agire in modo sempre più efficace per il recupero post ictus, o comunque in seguito a qualsiasi danno cerebrale. 

Il problema della relazione tra corpo e mente, è un problema che si riflette enormemente sul panorama riabilitativo del post ictus e ne determina un ritardo dal punto di vista metodologico e scientifico non indifferente. 
 Tuttavia prima di tutto è preferibile argomentare al meglio, come mente e corpo non possano essere separate e nemmeno collegate tra di loro in quanto la mente in sé non è una entità esistente in modo isolato e che sopratutto: Non è nella testa! 
Aggiungerei inoltre che la mente men che mai si cela nel cuore, o perlomeno né non solo nella testa e né non solo nel cuore… Per addentrarmi in quello che il filosofo della mente David Chalmers definì il problema difficile quello cioè legato all’esperienza cosciente, mi avvarrò degli studi di Francisco Varela Biologo e Neuroscienziato Cileno che insieme a Evan Thompson e Eleanor Rosch , riferendosi alla mente come “incorpata” tentarono di superare quel dualismo mente-corpo che da sempre ci accompagna, e che nel nostro ambito relativo alla riabilitazione dell’emiplegia risulta ancora più evidente e deleterio. 
Varela con lo slogan, “la mente non è nella testa”, ci aiuta a capire che non può esistere una capacità mentale senza che questa sia completamente incarnata ed intrecciata con l’ambiente. 
La mente è legata in maniera indissolubile ad un corpo attivo che si muove ed interagisce con il mondo. Qualsiasi oggetto esistente al mondo è alle dipendenze di questa costante interazione percettiva e motoria. Per comprendere meglio questo concetto, riassumerò il celebre esperimento della “giostra” dei gattini di Richard Held ed Alan Hein del 1963.




Lo scopo dell’esperimento era quello di confrontare la capacità percettive di 2 gattini entrambi esposti allo stesso ambiente visivo, ma con la differenza della loro partecipazione attiva al processo di esplorazione. Infatti all’interno di questo carosello un gatto poteva produrre attivamente il movimento di camminare per girare intorno al carosello, mentre l’altro si muoveva trasportato di riflesso grazie allo spostamento della gondola. Il gattino che veniva trasportato passivamente dal movimento del gatto attivo, aveva sviluppato delle facoltà percettive molto inferiori a quelle sviluppate dal gattino che aveva la possibilità di muoversi. 
Il fatto che entrambi i gattini fossero immersi nel medesimo ambiente visivo, ci costringe a cercare le motivazioni di tale differenza nel ruolo attivo o passivo dei due. 

La cognizione è una proprietà che si realizza mediante il fatto di agire e di compiere attivamente una determinato processo. Per questo non si può dire che la mente sia dentro o fuori, o che sia nel cervello, nel cuore, negli occhi, nei muscoli nelle ossa o in un luogo specifico. 
Questo slogan, si lega ad uno dei miei che trovate spesso nei miei articoli : “un ictus danneggia il cervello e non i muscoli, e nel cervello ci sono i processi cognitivi”, al quale, in seguito a questa prima lettura introduttiva, possiamo già muovere una critica. infatti, è vero l’ictus danneggia il cervello, ma i processi cognitivi come anche la coscienza e la percezione non risiedono fisicamente nel cervello, sono proprietà emergenti dall’interazione con l’ambiente interno, esterno fisico e sociale, con la nostra intenzionalità e la nostra corporeità. 
Il motivo per il quale il mio slogan semplifica il tutto con “ l’ictus danneggia il cervello e non i muscoli, e nel cervello ci sono i processi cognitivi” è che io stesso sono immerso in un ambiente che è quello del mondo della riabilitazione, dove allo stato attuale ancora si fatica a non indirizzare tutte le risorse e gli esercizi alle parti del corpo che sono visibilmente paralizzate o ipertoniche, coinvolgendole in esercizi passivi o di rinforzo senza minimamente considerare il loro ruolo all’interno del processo di percezione ed interazione dell’ambiente, o peggio senza considerare l’esperienza della persona non facendola partecipare cognitivamente a tali processi. 
Pertanto allo stato attuale mi accontenterei che il panorama riabilitativo individui nei processi cognitivi e nelle funzioni cerebrali, il nucleo del problema sul quale dirigere la riabilitazione post ictus e non solo agli arti senza nemmeno considerare il cervello. Certo che quel giorno prima o poi arriverà, tengo in caldo il nuovo slogan che andrà a sostituire il vecchio, dove ci sarà riferimento all’esperienza e dove mente e processi cognitivi non saranno collocati fisicamente in alcun luogo. 
Per spiegare il secondo slogan ancora di Francisco Varela, “la mente né esiste, né non esiste” , possiamo banalizzare il concetto dicendo che è come trovare il collegamento tra l’orologio e l’ora, l’ora non è una entità che esiste a prescindere dall’orologio e da chi affida significato al concetto di ora e che quindi non possiamo scindere o collegare ma ne è una proprietà emergente dall’organizzazione e relazione tra le parti. 

Stessa cosa la mente, è una proprietà che emerge dalla fitta relazione degli elementi che ne permettono la nascita, come l’ambiente fisico e sociale in cui siamo intrecciati, la nostra corporeità ed i processi che sottendono all’esperienza. Ognuno di questi elementi partecipa alla costruzione di una coscienza che a sua volta influenza gli elementi stessi da cui emerge, creando un flusso circolare. Per tornare al nostro campo riabilitativo, come non è pensabile proporre esercizi esclusivi per la mente senza considerare il corpo, allo stesso modo non è possibile proporre esercizi riabilitativi senza considerare l’esperienza cosciente del paziente. Negli ultimi anni anche le proposte riabilitative più esecutive e manuali che vengono proposte ai pazienti emiplegici colpiti da ictus, si sono arricchite di richieste di attenzione da parte del paziente durante l’esecuzione di una certa manovra o postura, anche se ai fini dell’esperienza possano risultare sterili è apprezzabile tale integrazione, tuttavia non è ovviamente sufficiente per garantire la completezza e l’efficacia dell’esperienza riabilitativa. 
 Ad esempio se prima veniva messo un paziente su un pallone gonfiabile e il terapista dall’esterno cominciava a dare spintine al tronco in varie direzioni, per attivare i riflessi paracadute del paziente con la speranza che recuperi il tronco, potrebbe non essere sufficiente iniziare a dirgli “ ora ti spingo in un punto che non conosci e prova a sentire cosa succede nella schiena”, nonostante sia apprezzabile il tentativo di coinvolgere la coscienza non è sufficiente per trasformare una manovra neuromotoria come questa in una esperienza neurocognitiva o neurofenomenologica (che consideri cioè l’esperienza). 

Voglio farvi un esempio ancora più pratico mettendo a confronto tre esercizi diversi. 

ATTENZIONE! Spero che non ci sia qualcuno che legga di corsa l’articolo, si soffermi su questo primo video e riproduca gli esercizi mostrati in esso, perché nonostante siano classici esercizi che vengono proposti in ogni parte del mondo, sono esattamente attività che vi chiedo gentilmente di evitare, se non vogliamo che la spasticità aumenti a dismisura. 

Infatti credo che se tu che leggi sei un paziente o un suo familiare ne riconoscerai certamente molti, ma tienili solo come esempi di confronto. Infatti qui puoi proprio vedere dal vivo quello a cui mi riferivo prima, ovvero un intervento diretto sul corpo senza considerare minimamente il suo ruolo nel processo di conoscenza e interazione con l’ambiente e manca la componente dell’esperienza cosciente del paziente. Ad onor del vero, l’interazione con l’ambiente c’è ed è rivolta al peso ed alla mano del coniuge della paziente, e anche l’esperienza cosciente della paziente c’è perché in ogni modo è vigile, ma non si tratta di una esperienza ed una interazione rivolta al recupero delle capacità della paziente di tornare ad adattare il proprio corpo in modo efficace ad una interazione con l’ambiente che le consenta di farne esperienza ed integrarcisi armonicamente. 
Concentratevi a minuto 1:40 dove viene eseguita una manovra per il polso, ci servirà per metterla a confronto con il prossimo video




Focalizzandoci sulla breve parte di video che ci mostra uno stretching del polso con ipertono della paziente, vorrei che facessimo un confronto con una modalità di esercizio che spesso si usa in riabilitazione neurocognitiva. 

Anche con la visione di questo video vi chiedo di non trarre immediatamente conclusioni affrettate. Infatti anche questo è un esercizio, che io definisco “tecnico” ovvero utile per il miglioramento della percezione e per l’introduzione a quello che è il vasto mondo della riabilitazione neurocognitiva, ma ancora ovviamente povero dal punto di vista dell’esperienza e dell’intenzionalità dell’interazione con l’ambiente. 
 Mi risulta comunque utile per mostrarvi diversi livelli di profondità di proposte terapeutiche. 
Ovviamente si tratta di una guida dedicata alla famiglia, che ha il valore di indirizzare finalmente la fisioterapia verso un versante operativo più ragionevole e che coinvolga anche il “cervello” ed i processi cognitivi. 
Chi mi segue direttamente nella riabilitazione, sa che appena posso mi discosto dagli esercizi tecnici per permettere al paziente una gestione del suo recupero più autonoma e più completa in termini interazione con l’ambiente, esperienza cosciente e con l'intenzionalità. Ovviamente la scelta di creare una video guida di base dove vengono esposti una moltitudine di esercizi tecnici fattibili in casa anche da un familiare, ha il compito di creare una alfabetizzazione sulla riabilitazione neurocognitiva ancora per molti versi sconosciuta o ignorata, sulla quale poi costruire ulteriori livelli di appropriatezza dell’intervento, come descriverò in seguito.




Ora per poter raccontare una possibile evoluzione di una proposta riabilitativa che vede sempre interessato il polso ma interpretato in una ottica ancora più integrata con l’esperienza ed intenzionalità e che entra nel campo di quella che negli ultimi anni prende il nome di confronto tra azioni o CTA, non potrò avvalermi di un video purtroppo perché nel momento in cui lavoravo con il mio paziente non ho voluto interrompere la tensione riabilitativa accendendo la telecamera e si sarebbe trattato poi di un momento così intimo e personale che non avrei mai pubblicato, per questo mi limiterò a riassumerlo nelle righe successive avendo avuto comunque il suo permesso.




L’impostazione dell’esercizio era la stessa che avete visto nel video , ma ad un certo punto chiesi al mio paziente: 

T: “ Senti, ma noi stiamo facendo questo esercizio per recuperare questo movimento del polso, mi chiedo però se per te ha veramente un significato, questo andare su e giù con il polso ti ricorda qualcosa in particolare delle tue esperienze passate?” 

La risposta del paziente fu incredibile e mi rimarrà sempre impressa: tutto ad un tratto iniziò a commuoversi e poi a piangere.

Ovviamente non me lo aspettavo e non capivo. Rispettando il suo momento, dopo un po' gli chiesi cosa fosse accaduto ed egli mi rispose: 

P: “ Ho ricordato di quando da bambino in macchina con mio padre, quando andavamo al mare, mentre lui davanti guidava, io mettevo la mano fuori dal finestrino e giocavo con l’aria, cavalcandola proprio con un movimento simile del polso” 

Appena mi descrisse questa sua associazione, ovviamente non era il solo ad avere gli occhi lucidi di commozione, avevo percepito l’intensità di quel ricordo. 
Riparlandone proprio mentre sto scrivendo per chiedergli il permesso di usare questo suo ricordo, mi ha detto: 

P: “ Secondo me dovresti far notare il fatto che ha fatto esplodere in me sensazioni ed emozioni che mi hanno traghettato nel momento stesso tipo Macchina del tempo.... È mi misi pure a piangere.. Ero lì. ... È non ci credevo... Le emozioni rilasciarono la tensione. ........ per un attimo ma lo fecero” 

A quel punto una volta trovato per il mio paziente un valore a quel gesto che poco prima era svincolato da qualsiasi contesto e che nel sul cervello non era ben collegato ad una esperienza, decisi di arricchire quel ricordo e di chiedere tutti i dettagli sensoriali di quell’esperienza, dettagli che non erano solo legati alla percezione del movimento ma relativi a tutto il panorama sensoriale ed emotivo di quel momento. 

T: “Raccontami di più di quei bei momenti, ti ricordi qualche immagine? Cosa vedevi dal finestrino?” 

P: “ C’erano i campi ingialliti dal sole, era estate” 

T: “ Ti ricordi il suono di quei momenti? avevate un’autoradio?

Qui la commozione stava lasciando spazio ad un sorriso malinconico 

P: “ Sì, sentivamo e cantavamo insieme “Susanna” di Adriano Celentano. 

T: “ molto bella, e senti, visto che il finestrino era aperto ti ricorderai anche l’odore immagino” 

P: “ Certo, era sempre lo stesso odore dei campi d’estate, misto all’odore del mare che si avvicinava” 

A questo punto avevamo ricostruito molto del panorama affettivo-percettivo legato a quel momento e che vedeva quel semplice gesto di flettere ed estendere il polso, collocato in un una “non posizione” specifica nella mente o nel cervello, ma vivo nel vissuto del mio paziente e tale da avere un ruolo così privilegiato nella sua memoria e per questo così ben integrato con tanti altri aspetti sensoriali ed esperienziali. Era una occasione incredibile per poter arricchire quel mio esercizio con tutto questo, ripensandoci a freddo, avrei potuto mettere come sottofondo la canzone di Celentano per aiutarlo a calarsi nell’intenzionalità di quel momento, ma mi limitai comunque a chiedergli di rivivere quel momento, con tutte le sue caratteristiche, lo stato d’animo di chi va a passare una giornata al mare con la propria famiglia, l’odore dei campi misto al mare che si avvicina, il colore ingiallito, il movimento della mano durante il gioco con l’aria fuori dal finestrino, ed ovviamente la canzone passata alla radio di Celentano. 
Io avrei reso possibile invece, il movimento del polso e solo di tanto in tanto gli avrei chiesto di capire come si trovasse la mano se in alto, in basso o in linea. 

Non solo il polso a quel punto risultava più flessibile, ma anche il riconoscimento della posizione nello spazio della mano risultava più adatto. In un certo senso era accaduto qualcosa di simile all’esperimento del giostra dei gattini, solo quando il paziente è stato protagonista dell’azione, completando con la sua intenzionalità e la sua carica di esperienza emotiva e percettiva, si è posizionato in un ruolo decisamente attivo nei confronti dell’esercizio. 

Come vedete la manovra presente nel primo video, nel secondo e quella descritta nel terzo, non ha molte differenze dal punto di vista meccanico, la differenza sta nel modo di coinvolgere i processi legati alla coscienza del paziente, che sono a loro volta in grado di incidere sugli aspetti fisici del corpo ( Polso e Spasticità). Chiaramente non sono stato in grado di sciogliere il nodo mente-corpo che impegna eminenti studiosi dall’inizio dei tempi, ma spero di averti permesso di comprendere che gli esercizi dopo un ictus non possono limitarsi a semplici manovre o stiramenti, e nemmeno ad attività di rinforzo prive di qualsiasi contesto, e nemmeno ad esercizi squisitamente tecnici di percezione puntuale come quelli che io stesso descrivo, ma deve poter coinvolgere l’unità corpo-mente-ambiente nel modo più completo e significativo possibile per il paziente. Il terzo obiettivo dell’articolo era dimostrare che per fare la riabilitazione neurocognitiva non ci debbano essere per forza problemi di memoria o di attenzione tali da farci percepire come diversi dal punto di vista intellettivo rispetto a prima dell’ictus. 

PS: Visto che il mio paziente mi ha dato il permesso di condividere con tutti questa sua personale esperienza gli dedico questa canzone per ringraziarlo. Ciao



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