In questo articolo affronteremo un tema di fondamentale importanza per chi si trova ad affrontare il recupero dopo un ictus, sto parlando della relazione tra cervello e corpo.
Comprendere che relazione c’è tra cervello e corpo significa comprendere di più l’emiplegia e sopratutto come organizzare le attività terapeutiche per il suo recupero.
In un precedente articolo abbiamo esaminato un aspetto affine, ovvero la relazione tra mente e cervello, ti invito a leggerlo in quanto ci può aiutare a considerare nei nostri esercizi anche aspetti complessi e spesso emarginati come i processi cognitivi ed emotivi. Leggi qui l'articolo sulla relazione mente-cervello
L’obiettivo di questo articolo è rispondere a queste 3 domande:
1. Perché una lesione al cervello danneggia il corpo?
2. Come è rappresentato il corpo nel Cervello?
3. Perché è importante conoscere la relazione tra corpo e cervello per la riabilitazione post ictus?
Dopo un ictus, sono i medici a descriverci quello che è successo nel cervello, ma quello che noi vediamo da fuori, è solamente la paralisi del corpo ed in alcuni casi, l’assenza della parola.
Noi vediamo i disturbi che si manifestano nel corpo, ed anche se sappiamo che c’è stata una lesione cerebrale, è immediato pensare che il problema sia della gamba, del piede , della mano ecc ecc.
Sappiamo che il cervello è in qualche modo legato al corpo, e li interpretiamo un po’ come “centralina e il motore della macchina”, a volte sono gli stessi medici che ci suggeriscono questa analogia per farci comprendere l’accaduto.
Quindi la lesione di un organo centrale che invia i comandi alle parte meccaniche affinché queste “obbediscano”.
Questa interpretazione è la più naturale e la più immediata anche da parte del paziente stesso che si trova a fare i conti con la sua emiplegia, infatti a prescindere dalla posizione in cui ti trovi nei confronti dell’ictus, questa frase ti sarà famigliare:
“ Io il comando lo do, ma è lei che non risponde”
Spesso riferendosi alla mano.
Uno degli obiettivi di questo articolo è proprio quello di comprendere che relazione c’è tra Cervello e Corpo e se veramente è valida l’analogia Centralina-Motore.
Per arrivare alla risposta finale, è utile capire come si è evoluta nel tempo la nostra interpretazione della relazione Cervello-Corpo.
Sappiamo tutti che muoviamo il nostro corpo attraverso il nostro cervello, ma cerchiamo adesso di capire come avvenga questa relazione.
Entriamo in un campo che ha affascinato gli studiosi di tutti i secoli e percorreremo a grandi linee le scoperte che ci portano alle conoscenze attuali in materia di rapporto cervello-corpo.
1) Il cervello è l’organo dell’intelletto
2) Il cervello è costituito da numerosi organi, ciascuno con la propria funzione
Chiaramente ascoltare queste teorie adesso, possono apparirci fantasiose e pittoresche, infatti ad esempio ristudiando alcuni articoli per la stesura di queso scritto, mi è venuto da sorridere perché mi ricordo che da piccolo, qualcuno, toccandomi dietro la testa alla base dell’occipite mi disse che avevo il “bozzetto della matematica” , per significare che chi aveva quella prominenza ossea in quel punto del cranio fosse portato a “fare di conto”.
Forse qualcuno tra i lettori conoscerà qualche credenza popolare di questo tipo.
C’è un altro aneddoto a me molto caro, legato a Gall e alla dottrina frenologica, provate a leggere questo estratto e vediamo intuite di che storia si tratta?
Miei rispettabili auditori! Non starò qui a farvi menzogna delle grandi difficoltà da me soppressate per comprendere e soggiogare questo mammifero, mentre pascolava liberamente di montagna in montagna nelle pianure della zona torrida. Osservate, vi prego, quanta selvaggina trasudi da’ suoi occhi, conciossiaché essendo riusciti vanitosi tutti i mezzi per addomesticarlo al vivere dei quadrupedi civili, ho dovuto più volte ricorrere all’affabile dialetto della frusta. Ma ogni mia gentilezza, invece di farmi da lui benvolere, me ne ha maggiormente cattivato l’animo. Io però, seguendo il sistema di Galles, trovai nel suo cranio una piccola cartagine ossea, che la stessa Facoltà medicea di Parigi riconobbe esser quello il bulbo rigeneratore dei capelli e della danza pirrica. E per questo io lo volli ammaestrare nel ballo, nonché nei relativi salti dei cerchi e delle botti foderate di foglio. Ammiratelo!…
Ricordo questo passo con molto piacere, perché anche se sembra strano fu proprio una domanda che mi fece il Prof. Perfetti ad un esame del corso di neurocognitiva :
“Quale neurologo e quale dottrina neurologica viene menzionata nel Pinocchio di Collodi?”
Non mi ricordo ne come e neanche il perché, fatto sta che seppi rispondere correttamente:
"Gall e la frenologia…”
Ricordi a parte. Ci trovavamo a cavallo tra il 1700 ed il 1800, potete quindi intuire la portata delle intuizioni di Gall: il cervello è l’organo dell’intelletto ed il cervello è composto da diversi organi ognuno con una funziona specifica. Mentre per fortuna l’ultimo pilastro della teoria frenologica, che vedeva rispecchiare sull’aspetto esteriore, facoltà mentali, attitudini sociali o addirittura inclinazioni al crimine è stato successivamente ampiamente smentito.
Le intuizioni di Gall comunque ispirarono numerosi scienziati nell’individuare e localizzare nel cervello le varie funzioni. Come Pierre Flourens che intorno al 1820 esegui degli studi pionieristici di asportazione chirurgica di alcune parti del cervello per dimostrarne la loro funzione, consolidando la teoria localizzazionista per la quale il cervello sia composto da divisioni, ciascuna delle quali responsabile di una certa funzione.
Una svolta decisiva avviene nel 1861 con Paul Broca il quale fornì la prima evidenza accettata dalla comunità scientifica di localizzazione di una specifica funzione cerebrale. Broca descrisse numerosi casi di disturbi di linguaggio attribuiti a lesioni del lobo frontale sinistro, in particolar modo in una regione che poi prenderà proprio il nome di area di Broca, il cui coinvolgimento in una lesione, determina una Afasia, ancora una volta denominata con il suo nome: Afasia di Broca o motoria.
Quest area che si trova nel giro frontale inferiore corrisponde all’area 44 e 45 di Brodmann, che vedremo nel dettaglio in seguito.
Pochi anni dopo, nel 1870, possiamo dire che sia iniziata la moderna Neurofisiologia, con Eduard Hitzig e Gustav Fritsch, con la scoperta che la stimolazione elettrica della corteccia cerebrale produce movimento del corpo.
A questo contributo si aggiunse quello dello scozzese David Ferrier, che replicando le sperimentazioni di Fritsch ed Hitzig, dimostrò che le reazioni muscolari alle stimolazioni della corteccia erano topograficamente organizzate e quindi mappabili. Gli stessi studi di Ferrier erano influenzati dalle ricerche di un altro neurologo che nello stesso periodo lavorava nello stesso ospedale: John Hughlings Jackson.
Questo autore merita un articolo a se, per lo spessore delle sue intuizioni sull’organizzazione delle funzioni cerebrali, viene definito anche il padre della neurologia inglese ed ha avuto anche il merito di individuare una possibile organizzazione somatotopica della corteccia cerebrale.
Infatti Jackson studiando le crisi epilettiche si rendeva conto che in alcuni casi queste seguivano dei percorsi, contraendo gruppi muscolari ben distinti e consecutivi.
Questa osservazione gli permise di intuire che la stessa corteccia potesse avere una organizzazione che in qualche modo rispecchiasse la fisionomia del corpo, da qui il termine somatotopica.
Come vedete nel corso dei decenni ci stiamo avvicinando sempre di più ad una stretta relazione tra corpo e cervello. Procediamo con le tappe successive, vi ricordate quando parlando dell’area di Broca, abbiamo detto che corrispondono all’area 44 e 45 di Brodmann? Descriviamo brevemente cosa sono le aree del neurologo tedesco Korbinian Brodmann.
Il grande contributo alla scienza di Brodmann fu quello di integrare concetti legati all’evoluzione con quelli istologici ( studio della struttura dei tessuti) e con quelli funzionali per realizzare una mappatura della corteccia cerebrale umana in 43 aree. La suddivisione è stata possibile studiando le variazioni della struttura dell’impalcatura del tessuto cerebrale (citoarchitettura) ed il loro funzionamento o disfunzionamento in caso di lesione.
Si è trattato di uno studio pionieristico per l’epoca, parliamo infatti del 1909, tuttavia la mappa di Brodmann rappresenta tutt’oggi uno strumento di studio largamente utilizzato.
Ogni area fornisce il proprio contributo ad una specifica funzione e riceve ed elabora informazioni da tutto il corpo. Ad esempio l’area 17 che vedete posteriormente, corrisponde all’area visiva primaria, è presente in entrambi gli emisferi e risponde alle informazioni visive provenienti dal campo visivo opposto. Un altro esempio sono le aree 41 e 42 che corrispondono alla corteccia uditiva primaria, tali aree rispondono ovviamente agli stimoli uditivi.
Altro esempio illustre, che tra l’altro ha contribuito ad identificare funzioni specifiche a carico di una determinata regione, è l’area 39; la cosiddetta area di Wernicke, nome dell’autore che l’ha identificata insieme al tipo di Afasia correlato in seguito ad una sua lesione. Afasia che a differenza di quella di Broca, è fluente e coinvolge di più la comprensione del linguaggio.
Mentre le aree su cui ci vogliamo concentrare in questo articolo sono quelle sensoriali e motorie, quelle che cioè rispondono al “corpo” come lo intendiamo comunemente. Per continuare il nostro processo evolutivo della relazione tra corpo e cervello passiamo adesso ad una pietra miliare della neurologia che è l’homunculus di Penfield. Da Penfield stesso definito come una “grottesca creatura”, ma prima di raccontarvi di cosa si tratta ve li presento, sono l’homunculus motorio e l’homunculus sensitivo, entrambi le rappresentazioni sono esposte nel Museo di Storia Naturale a Londra.
Wilder Penfield, brillante neurologo canadese ed allievo di Charles Sherrington, tra il 1934 ed il 1960 si rese protagonista nell’offrire contributi eccezionali per lo sviluppo del trattamento dell’epilessia e la comprensione della corteccia sensomotoria. Riprendendo le tecniche di Firstch ed Hitzig di elettrostimolazione della corteccia, riuscì a creare una vera mappa topografica dell’area motoria (4 di brodmann) e sensoriale dell’uomo (3;1;2 di Brodmann).
La particolarità dei suoi studi condotti su ben 163 individui, è che questi venivano condotti con il paziente sveglio in anestesia locale! Pertanto il soggetto poteva descrivere le sensazioni provocate dalle stimolazioni della corteccia. È in questa circostanza che durante la stimolazione Penfield si rese conto che alcuni territori di “controllo” di determinate parti del corpo, risultavano più estese di altre, come vedete le mani sia nell’omuncolo motorio che in quello sensoriale sono molto grandi, poi i genitali, labbra e lingua, a discapito di un tronco molto esile.
Ecco invece la rappresentazione grafica direttamente sovrapposta alla sezione della corteccia. Soffermiamoci per un attimo su questo studio di Penfield che ha materializzato a tutti gli effetti la presenza del corpo nel cervello, gli ha dato una forma umanoide e tutto ciò entra facilmente nel nostro immaginario, appena osservata quella figura grottesca ci siamo chiesti il perché di quelle strane proporzioni, ma probabilmente ci siamo poi convinti anche noi che le mani sono così grandi, perché sono una parte del corpo molto raffinata e la destrezza delle nostre mani deve essere garantita da una superficie di controllo e gestione informazioni più ampia nel nostro cervello, stessa cosa per la lingua e la bocca.
Probabilmente ad una prima analisi superficiale potremmo essere persuasi dal crederlo, tuttavia se ci fermiamo a pensare alla complessità delle strutture corporee che nel nostro povero homunculo hanno ricevuto ben poca considerazione, come ad esempio il tronco costituito dalle sue 33 vertebre e ad esempio la spalla ,forse uno dei complessi articolari più elaborati del nostro corpo, ci rendiamo conto che la visione homunculare così somaticamente organizzata e rappresentate punto per punto il corpo, nonostante abbia garantito un grande balzo in avanti nel panorama delle conoscenze scientifiche, deve essere rivista.
E così è stato infatti nei decenni successivi. Lo stesso Penfield asseriva:
Una immagine di questo tipo non può fornire una indicazione accurata delle articolazioni specifiche nelle quali avviene il movimento, nella maggior parte dei casi il movimento appare in più articolazioni simultaneamente
Passiamo quindi al Dr. Clinton Woolsey che ha messo su un altro importantissimo tassello sul quadro delle rappresentazioni corticali del corpo grazie alla sua meticolosità ed intraprendenza.
Nello stesso periodo di Penfield iniziava i propri studi sulla corteccia cerebrale, ma apportando delle modifiche molto importanti sulla modalità di stimolazione.
Woolsey venne a conoscenza di Wade Marshall studioso di fisiologia cellulare del cervello che per i propri studi adottava un sistema che rapì immediatamente Woolsey, il sistema di registrazione delle risposte nervose in questione era l’opposto di quello usato fino adesso anche da Penfield, ovvero la stimolazione elettrica non era più diretta alla corteccia con l’intento di osservare le risposte nel corpo, bensì era lo stesso corpo ad essere stimolato per registrare poi i potenziali evocati in corteccia.
Woolsey “sedusse” Marshall per prestargli la sua attrezzatura per i propri esperimenti, ed anche se quest’ultimo non fosse per nulla convinto dell’adattabilità del proprio equipaggiamento agli scopi di mappatura della corteccia che invece covava Woolsey, alla fine cedette comunque dietro le sue insistenze, facendosi promettere solennemente però che non gli avrebbe mai più richiesto i suoi macchinari se in questo suo primo tentativo Clinton Woolsey avesse fallito.
Se ne stiamo qui a parlare come avete potuto immaginare, il primo giorno di esperimento fu un successo clamoroso, ed insieme al suo collega Bard, mapparono millimetro per millimetro il giro post centrale ed in seguito avrebbero proceduto con tutta la corteccia sensoriale. Questo nuovo sistema di stimolazione permetteva a Woolsey di non recare alcun danneggiamento alla corteccia, cosa che invece avveniva con la stimolazione diretta ed evitava inoltre il fenomeno della sovrastimolazione che falsava la precisione delle registrazioni. Nacque così anche il Simiunculus di Woolsey.
C’è una osservazione all’interno degli studi di Woolsey ancora più importante e che di lì a breve avrebbe avrebbe posto le basi per destabilizzare la visione homunculare già nella sua infanzia, ovvero che non esisteva una sola rappresentazione delle dita, ma queste erano multiple.
In realtà lo stesso Penfield si era accorto di una doppia rappresentazione del dito pollice, ma tale osservazione ha lasciato spazio invece alla mappatura punto per punto del corpo sulla corteccia.
Uno studio che ha permesso di superare definitivamente una visione della rappresentazione del corpo punto per punto come quella intuita da Wilder Penfield e da Woolsey è stato quello di Marc H. Schieber ricercatore dell’università di Rochester dal titolo Constraints on Somatotopic Organization in the Primary Motor Cortex (leggi l'articolo qui)
In questo studio Schieber, argomenta sei fattori per i quali l’organizzazione somatotopica della corteccia motoria primaria risulta “stretta”
1. Convergenza
Gli stessi Penfield e Woolsey si accorsero di una certa convergenza degli stimoli, ovvero che un determinato muscolo si attivava con la stimolazionie di più punti e non di un solo punto dedicato. Questa osservazione era largamente diffusa anche nei molteplici studi successivi dedicati alla corteccia motoria primaria. Significa che ogni singola parte del corpo non è raffigurata da una sola regione della corteccia.
Tra l’altro all’interno della mappature realizzate, ci sono numerose zone di sovrapposizione, dove una stimolazione ad un singolo punto fa corrispondere una risposta in 2 parti diverse del corpo.
Il motivo per il quale la natura avesse dovuto predisporre la corteccia motoria primaria di più aree che rappresentassero la stessa parte del corpo, non era ancora chiara fino al momento in cui Strick e Preston fecero una scoperta straordinaria che avrebbe rivoluzionato il concetto di rappresentazione del corpo.
Peter Leonard Strick professore di neurobiologia all’università di Pittspurg e JB Preston In questo studio del 1982
Two Representations of the Hand in Area 4 of a Primate. I. Motor Output Organization
sono andati a mappare le rappresentazioni del polso e delle dita nella corteccia motoria della scimmia e si accorsero che erano presenti 2 aree separate e distinte che rappresentavano polso e dita; una situata più anteriormente ed una posteriormente all’interno dell’area 4, apparentemente identiche in quanto se stimolate producevano gli stessi movimenti muscolari.
Gli autori hanno cercato di capire il motivo di questa doppia rappresentazione, quale fosse il vantaggio di avere un doppione nel nostro cervello. La loro ipotesi fu che ciascuna delle rappresentazioni fosse l’origine di un modello di movimento e di comportamento influenzato da diverse “afferenze".
Ovvero a seconda delle informazioni che il soggetto si trova a dover gestire con quella parte del corpo, per organizzare l’azione si attiverebbe una area piuttosto che un altra. Strick e Preston misero alla prova questa ipotesi affascinante con una serie di esperimenti racchiusi nella seconda parte studio.
Two Representations of the Hand in Area 4 of aPrimate. II. Somatosensory Input Organization
dove venne alla luce una scoperta di portata gigantesca per chi si occupa di recupero dopo ictus cerebrale, ovvero che ciascuna area rispondeva a determinati stimoli e non ad altri, ovvero quando il soggetto era stimolato con delle informazioni tattili vedeva attivarsi l’area posteriore, mentre quando era sottoposto a stimoli cinestesici quindi a movimentazione delle articolazioni vedeva attivarsi l’altra area, quella situata più anteriormente.
Perché questo studio ha un impatto fondamentale per la riabilitazione post ictus?
Consideriamo sempre che tutte le conoscenze scientifiche delle discipline di riferimento da cui la fisioterapia prende le basi, devono riflettersi su di essa; modificandone le procedure e le proposte terapeutiche.
Se le scienze di base procedono in avanti con nuove scoperte, anche la riabilitazione deve essere così plastica da modificarsi ed adattarsi producendo un nuovo modo di interpretare la patologia e costruire gli esercizi.
Se fino a quando le nostre conoscenze nei confronti della corteccia motoria erano relative all’homunculus senso-motorio e pensavamo che il corpo e in particolar modo i muscoli fossero rappresentati punto per punto ed una sola volta, poteva ritenersi sufficiente che il fisioterapista indirizzasse tutte le sue attenzioni alla stimolazione del movimento e dei muscoli, senza necessariamente dover inserire tali movimenti in un comportamento significativo per il paziente.
Tuttavia alla luce degli studi di Strick e Preston il sistema terapeutico costruito dal terapista doveva cambiare. Le aree di rappresentazione nella corteccia motoria, con le scoperte degli autori, non rappresentavano più i muscoli o la parte del corpo, ma quelle parti del corpo coinvolte in una azione che avesse un significato dal punto di vista delle informazioni che il soggetto si trova a dover gestire.
Ovvero se l’azione che stiamo compiendo richiede la gestione e la costruzione di informazioni tattili allora si attiva una parte della nostra corteccia, se invece l’azione ci richiede di costruire informazioni di tipo cinestesico, legate quindi al movimento delle articolazioni, allora si attiverà una altra area e siccome raramente le azioni sono univoche dal punto di vista informativo tali aree sono in continua comunicazione ed attivazione reciproca a seconda della circostanza comportamentale.
Questo significa che per incidere sul recupero e quindi attivare la corteccia motoria, coinvolta da lesione diretta o disattivazione a distanza operata dalla diaschisi, dobbiamo proporre al nostro paziente delle esperienze dove innanzi tutto l’informazione deve essere un elemento centrale del nostro esercizio e non il movimento in sè al di fuori da un significato funzionale e contestuale.
Lo studioso Italiano Carlo Perfetti, già alla fine degli anni 60, intuiva la necessità di dover considerare all’interno degli esercizi quelle che all’epoca venivano definite le “afferenze”, già dalle prime esperienze empiriche si rendeva conto infatti che la stimolazione tattile procurava nel paziente un certo controllo di uno dei fenomeni patologici; l’ipertono della mano e che tale controllo migliorava se il paziente veniva chiamato a dover gestire le informazioni tattili attraverso un problema di riconoscimento e non solo con la semplice stimolazione passiva.
Gli studi di Strick e Preston diedero grande rilievo alle osservazioni ed alle intuizioni di Perfetti fornendo un ulteriore e solido mattone per la struttura scientifica sulla quale poggia la riabilitazione neurocognitiva.
Ogni qual volta ci troviamo di fronte ad un esercizio per il recupero del paziente emiplegico chiediamoci se al suo interno l’informazione viene considerata e se il movimento che stiamo eseguendo o che ci fanno eseguire ha un ruolo nei confronti della percezione, perché se l’esercizio in questione è costituito solo da una mobilizzazione passiva degli arti, senza necessità di percepire o senza alcun ricorso alla risoluzione di un problema, forse le conoscenze dell’operatore in materia neurofisiologica si sono interrotte all’homunculus di Penfield, o forse sono andate avanti solo dal punto di vista teorico e non c’è stata la traduzione in atti riabilitativi. In questo altro articolo puoi leggere un esempio per intendere meglio cosa significhi un esercizio che considera la percezione e l’azione.
Passiamo al secondo punto definito da Schieber intento a ridurre la rappresentazione somatotopica della corteccia motoria primaria
2. Divergenza
Per lungo tempo si è creduto che nel nostro sistema nervoso centrale ci fossero delle vie dedicate ovvero che l’attivazione di un neurone portasse direttamente l’attivazione di un determinato muscolo. Numerose ricerche hanno al contrario dimostrato al contrario il fenomeno della divergenza, ovvero l’attivazione di un neurone, può investire diversi muscoli e gruppi di muscoli. B. J. McKiernan in questo studio del 1998 evidenzia le attivazione multiple in seguito ad attivazione di un primo motoneurone.
Già questi due primi punti dati da convergenza e divergenza, sono in grado di limitare fortemente l’ipotesi che ne cervello ci siano rappresentati i muscoli punto per punto, nonostante la teoria che nel nostro cervello risiedesse la rappresentazione di un Homunculus fosse molto suggestiva e di facile interpretazione, tant’è che ancora oggi in molti corsi universitari di Fisioterapia, le lezioni sulle rappresentazioni corticali culminano proprio con l’homunculus di Penfield senza procedere con le nuove scoperte avvenute nei decenni successivi.
Si tratta di un ritardo molto grave perché la riabilitazione rispecchia le conoscenze neurofisiologiche, se ci approcciamo ad un paziente pensando che nel cervello ci siano rappresentati i muscoli e che questi siano rappresentati in modo univoco e punto per punto, allora non ci possiamo stupire se gli esercizi proposti sono rivolti a recuperare i “movimenti” e non le funzioni. Intendo dire che imparare a flettere il gomito non significa saper flettere il gomito durante l’atto di bere o imparare a contrarre il quadricipite per distendere il ginocchio non significa aver imparato ad allungare la gamba per far raggiungere il tallone a terra durante il passo. Se affrontiamo il trattamento del nostro paziente, pensando che nel cervello ci siano rappresentati i muscoli, allora sarà normale pensare che il muscolo dovrà essere l’oggetto del nostro intervento, se riuscissimo a far piegare il gomito al nostro paziente ci sentiremmo sufficientemente a posto con la nostra coscienza, a poco conta se questo movimento sia stato stimolato con l’elettrostimolazione ( per fortuna sempre e sempre più di rado) o con il coinvolgimento di movimenti di chiusura della mano.
Dobbiamo procedere nello studiare quale sia la relazione tra corpo e cervello, perché solo in questo modo possiamo far evolvere il nostro modo di proporre la riabilitazione per il recupero ai nostri pazienti che hanno subito una lesione cerebrale come un ictus. Ho sentito spesso dire da molti professionisti la frase
“il corpo è sano sono i collegamenti ad essere saltati”
con il superamento della teoria delle vie dedicate, questa frase non ha più senso.
3. Attivazione distribuita
Procediamo con il terzo dei sei punti proposti da Schieber per il superamento della visione Homunculare, a tal proposito presentiamo uno studio dal grande impatto scientifico nella corsa all’evoluzione del rapporto cervello-corpo. Si tratta dello studio condotto da Harry J Gould III Professore di Neuroscienze della Louisiana State University, sui collegamenti tra le aree motorie dei due emisferi. ( qui trovi l'abstract)
Questo contributo scientifico rappresenta una altra pietra miliare nel nostro percorso di evoluzione delle conoscenze, Gould infatti ha identificato nell’area motoria della scimmia, non solo 2 aree relative alle diverse parti del corpo, ma molte di più e tutte organizzate in una sorta di mosaico distribuito. Significa che la rappresentazione non rispecchiava più la fisionomia del corpo, ma aveva una distribuzione sparsa, ad esempio le dita potevano essere adiacenti anche a strutture non anatomicamente contigue come il gomito o addirittura la spalla.
Questo contributo ci permette di comprendere ancora meglio quanto la corteccia motoria abbia una organizzazione su base funzionale piuttosto che squisitamente anatomica.
Quando compiamo una azione in effetti noi mettiamo in concerto diverse parti del corpo, secondo diversi modelli quanto diversi sono gli scopi e le caratteristiche delle azioni.
Ancora una volta le ricerche scientifiche creano una base di ragionamento per tradurre queste nuove scoperte in atti riabilitativi, spingendoci ancora a considerare nei nostri esercizi il corpo all’interno di uno scopo funzionale attraverso il quale ci sia la necessità di costruire informazioni con l’ambiente che ci circonda. Vediamo la mappa a mosaico individuata da Gould nella sua ricerca e vi invito a riflettere: notate qualche altra differenza rispetto alla rappresentazione somatotopica dell’homunculus?
Una cosa che possiamo notare confrontando la rappresentazione somatotopica di Penfield con quella a mosaico di Gould, è l’estensione della superficie delle aree del tronco e della spalle, molto ampie nella rappresentazione del secondo.
Chi si occupa di riabilitazione e conosce il valore strutturale e funzionale del tronco e della spalla, sapeva che l’idea che la mano avesse una maggiore raffinatezza del tronco o della spalla o del piede non era una idea cosi solida o perlomeno non così consistente nelle proporzioni come le vediamo nell’homunculus.
Parafrasando Perfetti nei confronti dell’analisi dello studio di Gould, possiamo notare un certo “risarcimento” da parte della scienza nei confronti del tronco e della spalla.
4. Inattivazione Parziale
Questo quarto punto ci fa riflettere su un ulteriore aspetto riguardante l’organizzazione della corteccia motoria. Come tutti noi possiamo constatare di fronte ad una emiparesi causata da una lesione cerebrale, raramente abbiamo una totale paralisi di un segmento corporeo. Ne vediamo alterata la qualità del movimento, in termini di adattabilità, variabilità e frammentabilità, vediamo inoltre che il movimento volontario è accompagnato da altri movimenti di altre parti del corpo indesiderate. Questo perché grazie al fenomeno della convergenza e dell’attivazione distribuita appena descritti, una lesione ad un determinato livello non è sufficiente per annullare completamente il comportamento all’interno del quale una determinata parte del corpo si trova a partecipare. Questo aspetto lo ha identificato lo stesso Marc Schieber insieme allo scienziato ricercatore Andrew Victor Poliakov.
Gli Autori attraverso il loro studio mettono in evidenza il fenomeno per il quale ad una parziale inattivazione di una determinata regione della corteccia motoria non corrisponda poi una effettiva alterazione della parte del corpo corrispondente. Lo studio in questione è questo:
Partial Inactivation of the Primary Motor Cortex Hand Area: Effects on Individuated Finger Movements
(Leggi qui l'articolo)
Gli autori nello stesso studio provano inoltre ad ipotizzare il motivo per il quale la natura abbia optato per una rappresentazione a mosaico e distribuita anzichè una strettamente somatotopica.
Ipotesi # 1
Durante una azione è chiaro che ogni parte del corpo è in relazione con le altre, una distribuzione a mosaico faciliterebbe l’interconnessione fra le varie regioni corticali, ipotesi che viene sottolineata dallo stesso Schieber durante la sua quinta argomentazione nella critica della visione homunculare quando esamina le (5.) connessioni orizzontali tra le varie regioni della corteccia
Ipotesi # 2
Il nostro corpo ed i nostri movimenti avvengono in un contesto tridimensionale cosa che non potrebbe essere realizzata attraverso una mappa bidimensionale come quella rappresentata in corteccia che ha una distribuzione isomorfa, a due dimensioni quindi piatta.
In questo stesso studio emerge inoltre un dato molto interessante che richiederà certamente un approfondimento in quanto potrebbe essere rilevante per interpretare al meglio uno dei fenomeni patologici del paziente emiplegico : l’irradiazione, ovvero l’attivazione di parti del corpo indesiderate durante un movimento volontario.
Il paziente emiplegico conosce bene questo fenomeno, quando ad esempio intende alzarsi dalla sedia e nel contempo il braccio si retrae chiudendo la mano , flettendo il polso ed il gomito, o quando intende camminare che il ginocchio si estende insieme al sollevamento del fianco insieme alla rotazione del piede (supinazione).
Contrariamente a quanto si possa pensare infatti, un movimento isolato e singolarizzato vedrebbe in corteccia una attivazione maggiore rispetto a movimenti che coinvolgano più segmenti corporei. Viene studiato questo fenomeno in uno studio di Kitamura del 1992, che ci ripromettiamo di approfondire insieme ad altri contributi scientifici, per migliorare la nostra interpretazione di come avvenga l’attivazione in corteccia durante il movimento
6. Plasticità
Era inevitabile che in questo articolo che ha come argomento la relazione cervello-corpo, sarebbe stato necessario intraprendere anche l’argomento plasticità. Tuttavia sono costretto a dirottare la lettura di questo argomento su altri articoli specifici perchè si tratta di una questione chiave per il tema riabilitazione dell’ictus e deve essere affrontato in modo approfondito.
Per completare le argomentazioni di Schieber nei confronti delle limitazioni della visione somatotopica della corteccia, mi limiterò a riportare il ragionamento per il quale la corteccia motoria che è in grado di poter subire delle modificazioni plastiche in seguito all’esperienza, sia causata dalla lesione centrale o periferica sia essa rivolta vero il recupero, sarebbe limitata se in partenza fosse pre-strutturata una rappresentazione del corpo punto per punto e rispecchiandolo come abbiamo visto nelle rappresentazioni grafiche dell’homunculus di Penfield e del Simiunculus di Woolsey.
Ho trattato il tema della plasticità del sistema nervoso in forma generica in questo articolo, mentre puoi trovare ulteriori approfondimenti sulla plasticità del cervello in questo articolo.
CONCLUSIONI RIABILITATIVE
Abbiamo iniziato l’articolo con la promessa di poter dare risposta a questi 3 quesiti
1) Perché una lesione al cervello danneggia il corpo
2) Come è rappresentato il corpo nel Cervello?
3) perché è importante conoscere la relazione tra corpo e cervello per la riabilitazione post ictus?
Spero che per le prime due domande abbia riportato sufficienti argomentazioni per far comprendere il motivo per il quale una lesione cerebrale abbia delle ripercussioni sul corpo, proprio per il fatto che il corpo è in relazione con il nostro cervello non solo in termini di “collegamenti”, ma in termini di rappresentazioni.
Mi auguro inoltre che il flusso storico dalla frenologia ai tempi moderni ci abbia permesso di chiarire le conoscenze attuali su come sia organizzata tale rappresentazione, per lo meno nella corteccia motoria primaria.
Ovviamente il terzo quesito è il più importante; qualsiasi nostra riflessione che abbracci le discipline di riferimento della riabilitazione deve poter riflettersi nel nostro operato quotidiano con il paziente emiplegico. Di seguito alcuni spunti di riflessione per la riabilitazione della persona colpita da ictus alla luce del percorso evolutivo che abbiamo visto nei confronti della relazione tra corpo e cervello.
Percezione
Abbiamo osservato negli studi di Strick e Preston che erano state individuate due aree rappresentative delle dita della scimmia e che queste due aree venivano chiamate in causa a seconda del diverso comportamento motorio in atto e se questo si basava su informazioni tattili o cinestesiche. Alla luce di questa osservazione che ci fa comprendere definitivamente che nel cervello non sono rappresentati i muscoli, ma il corpo in relazione alla funzione e che la funzione viene organizzata tramite una continua costruzione di informazioni con l’ambiente, possiamo riassumere la nostra prima riflessione riabilitativa, dicendo che un esercizio proposto per un paziente emiplegico che abbia subito una lesione cerebrale, dovrà contenere il ricorso alla percezione.
Controllo sull’irradiazione
Abbiamo studiato che una parziale inattivazione di alcune regioni della corteccia motoria non determinano un annullamento totale di un determinato movimento, ma la sua alterazione in termini di destrezza e variabilità e che proprio l’intervento di movimenti accessori di altri segmenti del corpo indesiderati partecipano a rendere il movimento ulteriormente inefficace. Fenomeno che abbiamo più volte conosciuto con il termine irradiazione e che conosciamo come elemento della spasticità.
Pertanto durante gli esercizi che richiedono un movimento intenzionale da parte del paziente emiplegico dovremo sicuramente avere cura che ci sia un controllo su questo fenomeno patologico. Chiediamoci quanto valore possa avere per il recupero stimolare il movimento del paziente emiplegico se questo contiene in se contrazioni involontarie di altri segmenti del corpo e se non sia il caso di procedere con cautela richiedendo al paziente ed aiutandolo a controllare il movimento privandolo delle contrazioni “parassite” classiche del paziente emiplegico. Si tratta di una piccola accortezza durante gli esercizi che richiedono la partecipazione attiva del paziente, generalmente questa modalità viene definita “secondo grado”, diversa dal “primo grado” che prevede invece il movimento eseguito visibilmente dal solo fisioterapista mentre il paziente è coinvolto nel controllo della componente più elementare dell’ipertono ovvero la reazione abnorme allo stiramento e nella risoluzione del problema conoscitivo.
In questo breve video si vede un semplice esempio di come sia il paziente a promuovere il movimento mentre la terapista aiuta il paziente stesso riducendo il peso del braccio e aiutandolo a controllarne la qualità, sempre in allerta nell’identificare contrazioni indesiderate e pronta a fornirne un feedback al paziente affinché riadatti il movimento tenendole sotto controllo.
Significato dell’azione
Nella corteccia motoria, non essendo rappresentati i muscoli e non essendo rappresentato il corpo in senso stretto, ma la sua organizzazione e la modalità stessa di attivazione si lascia intendere una rappresentazione su base funzionale.
L’esercizio terapeutico dovrà coinvolgere il movimento del corpo seguendo un significato funzionale e contestuale, e non attraverso movimenti che non rivestano un significato per il paziente. Lo stesso esercizio visto poc’anzi se privo di un riferimento ad un contesto funzionale risulta povero ai fini dell’apprendimento, per questo il compito del terapista è quello di caricarlo di significato per il paziente attingendo anche all’esperienza precedente alla lesione in modo da poter sfruttare azioni, modelli e ricordi che nel vissuto del nostro paziente risiedano in un luogo privilegiato e che siano ricchi di connessioni e correlati emozionali.
Riconosco che non è semplice spiegare tutto questo in poche righe, per questo ti rimando alla lettura di questo articolo dove faccio un esempio chiaro di un esercizio che riveste un significato nei confronti dell’azione ed in quest’altro dove c’è un altro esempio elaborato da una mia studentessa (articolo CTA)
Attenzione rivolta al cervello e non al muscolo
Dopo questa lettura sembra scontato dirlo, ma come ci siamo resi conto, nonostante conosciamo molti spetti della neurofisiologia anche i più recenti, la grande difficoltà è tradurre il tutto in atti riabilitativi ed in esercizi. È ovvio che l’operatore sia consapevole che l’ictus ha danneggiato il cervello e sa anche che nel cervello c’è la rappresentazione del corpo e delle azioni, tuttavia essendo la paralisi dei muscoli ed il loro indurimento il fenomeno evidente e visibile, indirizza su di essi il trattamento e le attenzioni terapeutiche, facendo stretching, mobilizzazioni, esercizi di rinforzo. La sfida è quella di poter indirizzare il nostro intervento terapeutico su quei processi cognitivi che l’ictus, o il trauma ha alterato con la lesione cerebrale, processi che sono invisibili ma che nascono dal cervello che è concreto anche se per molti versi ancora misterioso.
Devo dire che di fronte a questo fenomeno di ritardo nelle proposte terapeutiche c’è una attenuante, infatti il ritardo è generato a monte sul piano formativo universitario. Anche se negli ultimi anni le cose stanno cambiando velocemente, ancora in moltissime università, nel corso universitario per dottori in fisioterapia, le lezioni di neurofisiologia terminano e culminano con l’homunculus di Penfiled, senza procedere con tutti gli ulteriori contributi scientifici che potrebbero cambiare l’interpretazione della patologia e dell’esercizio terapeutico da parte dello studente.
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2 commenti:
Salve dott, a quando un articolo specifico sull'emotività del paziente spastico,perchè per esperienza diretta mi sembra un fattore importante?? grazie.
Si in effetti è un tema molto importante, spero di poterlo trattare quanto prima. grazie
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