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METODO PERFETTI




Il Metodo Perfetti è un approccio riabilitativo che nasce intorno agli anni '60 dal genio italiano del Prof. Carlo Perfetti.  

Nasce in Italia la migliore risposta riabilitativa agli esiti di ictus, emiplegia e spasticità
Numerose sono le denominazioni attraverso le quali ci si riferisce al Metodo Perfetti, infatti nel corso degli anni si è passati dal “controllo sequenziale progressivo” all’Esercizio Terapeutico Conoscitivo fino alla più recente Riabilitazione Neurocognitiva.
 
Le intuizioni del Prof. Carlo Perfetti che hanno dato vita al Metodo Perfetti, hanno determinato una svolta nel contesto riabilitativo, specialmente all’interno della riabilitazione post ictus.  
Fino alla nascita del Metodo Perfetti, la riabilitazione dell’ictus cerebrale e dell’emiplegia, si riduceva al rinforzo muscolare e alla stimolazione dei riflessi.  
Il Metodo Perfetti traduce in riabilitazione ed in esercizi, lo sviluppo ed il progresso delle conoscenze in ambito medico-scientifico, considerando finalmente anche i processi cognitivi per il recupero del movimento

Evoluzione del sapere Riabilitativo


Ogni tecnica, metodica o metodo riabilitativo, compreso il Metodo Perfetti, nasce da quello che è il contesto scientifico all’interno del quale è inserito. 
Infatti il rinforzo muscolare nei confronti del recupero dell’emiplegia e degli esiti da ictus è il risultato delle conoscenze e della comprensione del movimento che individuavano nel muscolo, l’unico elemento responsabile della produzione del movimento.  L’idea che i muscoli fossero gli elementi fondamentali per la produzione del movimento nasceva intorno al 1700 insieme agli straordinari studi di Galvani e Duchenne sulla contrazione muscolare e sulla corrente elettrica.
  
Circa 100 anni dopo, intorno al 1800, le conoscenze sul movimento fecero un grande salto in avanti, grazie al premio nobel Charles Sherrington, che dimostrò l’estrema importanza dei riflessi neuromotori per la produzione del movimento. 
Il movimento non era più solo possibile attraverso la contrazione muscolare, ma anche attraverso la regolazione dei riflessi neuromuscolari. Da questa strepitosa scoperta nascevano quelle tecniche riabilitative che precederono il Metodo Perfetti come: Bobath, Kabat e Vojta, che si svilupparono intorno al 1950.  Secondo queste tecniche definite neuromotorie, per recuperare il movimento era necessaria la stimolazione dei riflessi neuromuscolari.  


Quello che ha permesso la nascita del Metodo Perfetti è la rivoluzione scientifica che stava investendo molti dei campi del sapere medico-scientifico e che finalmente permetteva di comprendere il movimento in modo più completo. 
Nel mondo della Neurofisiologia ad esempio, gli studi nei confronti del movimento, cominciavano ad essere eseguiti sui soggetti svegli e quindi in grado di dimostrare l’estrema importanza dei processi mentali e cognitivi nei confronti del movimento e del comportamento
Nel frattempo gli studi del Prof. Carlo Perfetti sancivano definitivamente che il recupero degli esiti di un ictus e dell’emiplegia, passa attraverso il recupero dei processi cognitivi alterati dalla lesione. 
Ad oggi appare chiaro uno dei fondamenti del Metodo Perfetti, che un ictus danneggia il cervello e le sue funzioni e non i muscoli, per questo la riabilitazione deve essere indirizzata anche sul recupero delle funzioni cerebrali e cognitive e non solo sui muscoli e sui riflessi. 
Purtroppo ancora oggi la riabilitazione soffre di un certo ritardo e spesso ancora vengono proposti approcci riabilitativi superati come il rinforzo muscolare e le tecniche neuromotorie
Per questo anche i risultati ed i successi riabilitativi sono spesso scarsi, perchè pazienti che dopo un ictus presentano gravi deficit di attenzione, di apprendimento, di memoria e di percezione vengono trattati solo dal punto di vista muscolare e passivo, determinando inoltre la nascita di problematiche secondarie come la spasticità.

Gli esercizi del Metodo Perfetti invece sono studiati per stimolare e sviluppare insieme al movimento anche i processi cognitivi del paziente, la percezione, l’attenzione e la capacità  di risolvere i problemi : elementi necessari per un recupero di qualità. 

La famiglia è chiamata a prendere decisioni difficili per il futuro del proprio caro, sulla base della ragionevolezza delle proposte riabilitative in circolazione, che non vengono mai spiegate con chiarezza e che non sono supportate da un progetto. 
Inoltre ritengo fondamentale che siano i familiari stessi a partecipare attivamente alla riabilitazione del proprio caro, imparando gli esercizi di riabilitazione neurocognitiva da eseguire in casa.

Risorse Utili

InteraMente, alla scoperta del cervello nel recupero post ictus

Se vuoi approfondire il tema della Riabilitazione Neurocognitiva conosciuta come Metodo Perfetti, ho scritto un libro dove ho raccolto tutte le mie esperienze che spero possano tornarti utili, il libro si chiama: InteraMente: Alla scoperta del cervello nel recupero post ictus e lo trovi su QUESTO LINK
In InteraMente puoi trovare anche il link ai video dove spiego alcuni esercizi per il recupero della presa e del cammino, è un libro scritto sia per il paziente ed il familiare sia per il professionista che si occupa di riabilitazione ed è appassionato come me di neuroscienze. 


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Dopo un ictus fino a quando si può recuperare? Non c'è una data di scadenza


Comunemente in ospedale ed in clinica dopo un ictus siamo abituati a sentire che il nostro recupero sarà possibile entro massimo un anno. I più ristretti parlano di sei mesi, chi otto mesi, mentre i pochi più generosi si sbottonano per la possibilità di recuperare anche fino ad un anno e mezzo dopo l'ictus.  
A volte mi chiedo dove sia l'etichetta per vedere la data di scadenza del recupero del paziente emiplegico che porti ad essere così precisi sulla durata delle possibilità di recupero. 
La realtà è che non c'è alcuna etichetta e tanto meno nessuna data di scadenza, le risposte sulla durata del recupero che vanno sotto l'anno successivo all'ictus cerebrale hanno motivazioni precise di carattere biologico da una parte e dipendenti dalle esperienze medie di recupero dall'altra. 

" Se non recupera il movimento del braccio ed un buon cammino entro sei mesi dopo l'ictus, il paziente difficilmente li recupererà in futuro

Questa è la frase tipo che viene detta nei primi giorni dopo l'evento drammatico dell'ictus a pazienti e familiari che chiedono informazioni su quello che sarà lo sviluppo futuro del recupero. Ma questa stessa frase potrebbe essere trasformata in questo modo.

"Entro sei mesi in genere si manifesta quello che possiamo definire recupero spontaneo, cioè quello che si sarebbe ottenuto anche senza il nostro intervento. Quello che accade dopo, conoscendo le esperienze passate di recupero che si basano su quello che tradizionalmente si propone in riabilitazione non dovrebbe recuperare più di tanto

Cosa accade biologicamente nel primo anno dopo ictus? 

La natura del nostro organismo opera in perfetta armonia e logica per permetterci il miglior recupero. A tal proposito dopo un ictus orchestra i nostri processi fisiologici in modo davvero perfetto dividendo la convalescenza del primo anno circa in tre fasi: 


  • Fase inibitoria
  • Fase eccitatoria 
  • Fase di normoeccitabilità 


La durata di queste tre fasi è chiaramente indicativa e varia da paziente emiplegico a paziente emiplegico e dipende dal tipo di lesione e dal tipo di esperienze riabilitative proposte. 

Fase inibitoria 

In questa prima fase, che possiamo individuare nelle prime settimane in seguito all'ictus, avremo una condizione molto più grave del reale danno, infatti è frequente che il paziente emiplegico presenti una paresi della metà parte del corpo quasi totale. Questo perchè il nostro organismo subisce uno shock midollare in seguito all'ictus che mette a riposo la maggiorparte della trasmissione nervosa relativa alla metà parte del corpo opposta alla lesione. 
È come se l'organismo dicesse: " ho subito un grave danno, limito tutte le mie capacità motorie in quanto la regione del cervello colpita al momento non è in grado di gestire le informazioni scaturite dal movimento
In questa fase definita anche flaccida il paziente si trova a letto con possibiltà motorie ridottissime. La situazione appare difficile da recuperare ed il paziente si trova ancora in ospedale o nelle prime settimane della clinica di riabilitazione. 
Per maggiori approfondimenti sulle fasi post-ictus consiglio la lettura dell'articolo sulla diaschisi.

Fase eccitatoria 

In seguito l'organismo ci mette a disposizione gli strumenti biologici adatti per velocizzare il recupero, riaprendo alcuni circuiti nervosi inibiti in precedenza. 
Questa riattivazione segue delle regole ben precise, verranno riattivati i circuiti più semplici, dapprima quelli riflessi ed i movimenti più semplici per intenderci e lo fa aumentando la vivacità della conduzione nervosa. 
Questa è la fase dove il malato manifesta i primi cenni di ripresa e si iniziano ad intravedere i primi movimenti. 
La fase eccitatoria che dura circa 6-8 mesi è la più delicata, in quanto il recupero è più vivace, ma questa rapidità è valida anche al contrario. 
Intendo dire che il paziente emiplegico è sottoposto ad una riabilitazione diretta solo sui muscoli ed il rinforzo del cammino, allora i primi risvegli muscolari e dei riflessi si strutturano manifestando quella rigidità muscolare chiamata spasticità, limitando la possibilità di risvegliare i circuiti nervosi più complessi che fanno capo a movimenti di maggiore qualità. 
Qui il paziente si trova alla fine del ciclo di riabilitazione prevista in convenzione ed è diretto a casa, la grande percentuale avrà acquistato un modo di camminare incerto, spesso aiutato da un tutore al piede ed il movimento del braccio e della mano davvero povero e confuso dalla spasticità, in quanto le energie riabilitative sono state incentrate sull'autonomia del passo. 
È in questo periodo che il paziente prova alternative come botulino, stimolazione magnetica transcranica TMS e altre proposte tipo la robotica, senza però trarne sostanziale giovamento in quanto ancora una volta non viene indirizzato il lavoro sul reale problema: il cervello. 

Fase di normoeccitabilità 

È la fase in cui l'organismo dopo aver messo il turbo al recupero ritorna ad uno stato di normalità della conduzione nervosa. In genere a questo punto è passato circa un anno, e se la riabilitazione non è stata corretta il paziente si trova a fare i conti con un cammino squilibrato ed un braccio che fatica a muovere. Mentre una percentuale minore di pazienti ha giovato di un recupero spontaneo più favorevole nonostante la base di partenza sia stata simile a quella della fetta maggiore di pazienti che invece ad un anno hanno avuto un recupero minore. 

Che succede dopo un anno? 

Dopo un anno dall'ictus l'organismo è ancora pronto al miglioramento in quanto il recupero che deve avvenire a livello cerebrale godrà della plasticità del nostro sistema nervoso centrale che non ha date di scadenza. Il recupero è un processo di apprendimento che non ha limiti di età e limiti di tempo. 
È chiaro che prima si inizia a lavorare bene e maggiore sarà il potenziale recupero e lavorare dopo un anno in cui si sono strutturati degli effetti patologici a causa di una riabilitazione scorretta rende tutto più faticoso. Ci sono pazienti che hanno iniziato a migliorare anche dopo 10 anni, è ovvio che il recupero messo a disposizione dalla natura sarà diverso da quello che si può ottenere dopo i primi giorni dall'ictus o dopo il primo anno, ma è sempre possibile migliorare la situazione. Il caso più interessante è di una signora che ho visto dopo 22 anni dall'ictus e in diversi mesi ha migliorato la qualità del cammino in modo sostanziale e la capacità di muovere braccio e mano riducendo anche la spasticità. Purtroppo dopo lunghi anni di attività rivolte ai muscoli che hanno aumentato la spasticità, la signora presenta delle deformità alle dita che saranno difficili da curare, ma nel complesso dimostra che dopo un ictus non ci sono date scadenza. 

Se vuoi approfondire il tema dell'ischemia cerebrale e del recupero, ho scritto un libro dove ho raccolto tutte le mie esperienze che spero possano tornarti utili, il libro si chiama: InteraMente: Alla scoperta del cervello nel recupero post ictus e lo trovi su QUESTO LINK
In InteraMente puoi trovare anche il link ai video dove spiego alcuni esercizi per il recupero della presa e del cammino, è un libro scritto sia per il paziente ed il familiare sia per il professionista che si occupa di riabilitazione ed è appassionato come me di neuroscienze. 

L’IMMAGINE MOTORIA COME STRUMENTO PER IL “CONFRONTO TRA AZIONI” PER LA RIABILITAZIONE DEL PAZIENTE CON LESIONE CEREBELLARE

Prefazione 

Scrivo con piacere la prefazione di questo articolo estratto dalla tesi di laurea della mia studentessa Marianna Del Vecchio, ormai mia collega, per 3 motivi. 

1. In primo luogo per il coraggio dimostrato nell’affrontare un tema come questo che tratta di processi cognitivi, immagine motoria e confronto tra azioni, in una discussione di laurea, tutti temi che fanno rizzare i capelli a chi vorrebbe che il fisioterapista giri nel reparto con pesi per il rinforzo muscolare e goniometro e centimetro per le misurazioni obiettive del movimento. 

2. Il secondo motivo è perchè tratta le lesioni a carico del cervelletto, un organo incredibile del nostro sistema nervoso centrale, con funzioni cognitive rivolte all’apprendimento ed alla raffinatezza del movimento che però è stato sempre e solo considerato un organo deputato all’equilibrio ed alla coordinazione: entità quantomeno eteree. 

3. Il terzo motivo è per il piacere di vedere  muovere i primi passi in questo affascinante nuovo percorso di studi elaborato dal Prof. Perfetti e dalla sua equipe che prende il nome di “Confronto Tra Azioni”, la ricerca in questa direzione non solo ci permetterà di produrre esercizi sempre più significativi e meno astratti, ma aiuterà i nostri pazienti a trasferire nel quotidiano gli apprendimenti ottenuti nelle nostre palestre di riabilitazione. 

Mi preme inoltre di sottolineare l’attenzione della terapista nei confronti delle parole della paziente, grazie alle quali è riuscita ad individuare l’esercizio più significativo per lei permettendole di aggiustare il tiro ed essere più efficace. 
Valerio Sarmati



Articolo 

Uno dei problemi principali che il riabilitatore si trova ad affrontare ogni giorno con i suoi pazienti è la traduzione in miglioramenti nella vita quotidiana di quanto viene appreso attraverso gli esercizi di riabilitazione neurocognitiva. 
Infatti talvolta gli esercizi se pur efficaci e dai quali è possibile osservare il miglioramento del paziente, questi risultano astratti e “slegati” dal contesto quotidiano in cui il paziente vive. 
Lo scopo del presente lavoro è quello di sottolineare l’importanza di uno strumento come l’immagine motoria all’interno di un nuovo percorso di studi, il “Confronto Tra Azioni”, che è risultato essere molto importante per il trattamento del paziente con lesione cerebellare. I primi studi sperimentali riguardanti il cervelletto hanno evidenziato chiaramente il ruolo di tale struttura nel controllo dell’equilibrio, dell’andatura, della postura, e nella coordinazione del movimento. 

Già dal 1970, però, dati clinici e sperimentali hanno evidenziato un coinvolgimento del cervelletto anche nel controllo di funzioni cognitive, consentendo di rivedere la visione classica secondo cui tale struttura era coinvolta esclusivamente nel controllo delle funzioni motorie e posturali.
La dimostrazione di una connessione anatomica tra le aree associative della corteccia, sede di elaborazioni integrative di ordine elevato, e il cervelletto è in grado di rendere ancor più credibile l’ipotesi che quest’organo rappresenti un nodo di rilievo all’interno dei circuiti neurali distribuiti che stanno alla base dell’attività cognitiva. Si definiscono processi cognitivi, tutti quei processi che permettono all’uomo di interagire con il mondo esterno, di elaborare informazioni relative a queste interazioni e di raccogliere le esperienze per utilizzarle in altre situazioni. Sono processi cognitivi l’attenzione, la percezione, il linguaggio, la memoria, l’apprendimento, e l’immagine motoria. 

Alcuni studi condotti da Decety e coll. nel 1990 e da Ryding e coll. nel 1993 sul flusso sanguigno regionale, effettuati ricorrendo alla tecnica di neuroimaging, hanno permesso di evidenziare un’ attivazione assai marcata delle aree cerebellari in coincidenza con l’elaborazione di un’immagine motoria. L’immagine motoria può essere definita come la “capacità, per un soggetto, di rappresentarsi mentalmente un’azione senza produrre movimento” e come “uno stato dinamico durante il quale un soggetto simula mentalmente una determinata azione” (Decety, 1996). 

Quando si parla di immagine motoria, inoltre, ci si riferisce a una forma di rappresentazione mentale in grado di elaborare informazioni che derivano strettamente dal corpo e nella quale ci sentiamo protagonisti del movimento. 
Si tratta di informazioni tattili, cinestesiche, pressorie, che consentono al soggetto non di “vedere” sè stesso, ma di “sentire” sè stesso compiere una determinata azione. 

E’ stato verificato che l’immagine esista come fenomeno biologico e che, al pari di tutti gli altri processi cognitivi a disposizione dell’attività mentale, svolga un ruolo ben definito al servizio delle capacità organizzative del sistema nervoso centrale. 

Studi recenti condotti da Pascal-Leone (1995), si sono avvalsi della Stimolazione Magnetica Transcraniale (T.M.S.) per dimostrare le modificazioni che intervengono a livello delle aree cerebrali deputate al movimento durante l’acquisizione di raffinate abilità motorie, sia attraverso l’esecuzione del movimento che attraverso l’uso dell’immagine. 

Esperimento 1
In un primo esperimento è stato esaminato giornalmente l’effetto dell’apprendimento di esercizi al pianoforte a livello delle aree motorie, su diversi gruppi di soggetti destrimani che non avevano mai suonato uno strumento. 

A un primo gruppo è insegnato un esercizio al piano a cinque dita da eseguire due volte al giorno per cinque giorni consecutivi. Attraverso la T.M.S., praticata con particolare attenzione ai muscoli flessori ed estensori del dito indice, si è potuto rilevare un apprezzabile allargamento delle aree motorie corrispondenti, limitato alla mano destra

Ad un secondo gruppo è chiesto di suonare il piano a loro piacimento senza un particolare esercizio, con risultati analoghi a quelli del primo gruppo, ma significativamente meno consistenti in quanto l’attività non è connessa all’apprendimento di una specifica abilità motoria.

Esperimento 2
Nel secondo esperimento si prende in considerazione l’uso dell’immagine nell’apprendimento di abilità motorie raffinate, riscontrando che nei soggetti che effettuano realmente l’esercizio al piano e quelli che lo immaginano solamente, si modificano le stesse aree motorie

Questo dato non può che confermare l’importanza in riabilitazione di costruire esercizi dove il paziente sia coinvolto dal punto di vista cognitivo per la riattivazione delle aree cerebrali colpite dalla lesione. 

Un’altro studio allo stesso modo significativo condotto da Yue e Cole nel 1992 veniva dimostrato che nei soggetti che effettuano contrazioni isometriche massimali come l’abduzione del quinto dito contro resistenza, si registra un incremento della forza del 30%, mentre in coloro che l’hanno solo immaginato l’incremento è pari al 22%

Ne consegue che l’immagine motoria, non solo partecipa alla riorganizzazione cerebrale ma incide anche su un fattore ancor più quantificabile e concreto come la forza muscolare.

Per quanto riguarda il lavoro riabilitativo, l’uso dell’immagine motoria nel paziente cerebellare conduce a un miglioramento delle prestazioni motorie, sia per quanto riguarda il tremore che per la fluidità del movimento. 
L’immagine motoria è sempre stata utilizzata come strumento per guidare il soggetto con patologia cerebrale ad utilizzare i suoi processi cognitivi al fine di un recupero significativamente organizzato, rendendo più efficaci gli esercizi in quanto era dato modo al paziente di utilizzare informazioni note, che egli aveva avuto già modo di apprendere nel corso della sua vita, in situazioni nuove. 

Nell’evocare l’immagine una delle prime cose che bisogna insegnare al paziente è quella che bisogna evocare un’immagine motoria e non visiva. Diverso è infatti immaginare di “vedersi compiere una azione” piuttosto che “sentirsi compiere un’azione” 

Nel caso del paziente con lesione cerebellare si è rilevata l’attivazione delle strutture cerebellari in situazioni di apprendimento e non in situazioni di riposo, evidenziando, però, come questa attivazione sia maggiore nelle fasi iniziali dell’apprendimento, nel momento in cui il soggetto è intento nell’imparare nuove nozioni, e si riduca una volta che la performance sia stata appresa; quindi risulta fondamentale richiedere al paziente azioni nuove, situazioni in cui il soggetto deve elaborare regole, correggere errori, prestare attenzione e contribuire all’organizzazione del movimento evitando compiti routinari.

Vista l’importanza del cervelletto nei processi di apprendimento, l’esperienza clinica ha indotto alla rivisitazione della proposta dell’immagine motoria, focalizzandosi sulla necessità di modificare la richiesta del fisioterapista, al fine di coinvolgere il paziente in esercizi che richiamino il più possibile esperienze di vita quotidiana. 

Questa esigenza è attualmente oggetto di studio e di ricerca da parte del Prof. Perfetti e della sua equipe, che si occupano di riabilitazione neurocognitiva, i quali, a tal proposito, hanno sviluppato una nuova proposta che prende il nome di “Confronto Tra Azioni”, avente il compito di colmare le precedenti mancanze nell’utilizzo dell’immagine motoria. 

“Confronto Tra Azioni” significa associare all’esercizio un’azione che il paziente, precedentemente alla lesione, riusciva a compiere e di cui conosce i connotati percettivi, meccanici, ed emotivi. 

Il fisioterapista deve aiutare il paziente a rivivere il ricordo di quell’azione normale del passato e invitarlo a confrontarla con l’azione attuale e deve favorire nel paziente il comportamento del confronto, che deve diventare uno strumento per interrogarsi, indagarsi in prima persona, per scoprire le sue capacità di interazione; abituare il paziente al confronto significa necessariamente avere come campo di approccio un’azione. E’importante tener presente che la scelta di un’azione è frutto di un’osservazione e di un’ipotesi da parte del fisioterapista; di conseguenza occorre inserire in tutte le fasi del percorso riabilitativo il riferimento costante alla realtà, nella quale l’azione sarà poi svolta. 

Caso clinico
Per fornire una prova dell’importanza del Confronto Tra Azioni sarà presentato un caso clinico di una paziente cerebellare di anni 80, a cui è stato diagnosticato un ictus cerebellare del circolo posteriore circa 4 anni fa. Una tra le problematiche principali della paziente è rappresentata dalla difficoltà di effettuare il trasferimento da seduta in piedi per le sue evidenti problematiche di bilanciamento di carico, ed è stata proprio questa una delle prestazioni che è stata presa come esempio per spiegare il CTA. 

L’osservazione ha permesso di costruire una serie di esercizi tra i quali il riconoscimento di posizioni con l’arto inferiore attraverso movimenti di flesso- estensione del ginocchio nella posizione seduta, ritenuto significativo per la prestazione. L’attenzione è portata sui seguenti parametri del movimento: la sensazione di “fluidità”, di peso dell’arto, di contatto del piede al suolo, la distanza del piede dal corpo, la direzione e l’ampiezza dello spostamento. Viene richiesto il confronto con l’arto sano per avere un modello di riferimento. 

Nella fase di elaborazione la paziente è invitata a immaginare una situazione passata in cui si alzava bene in piedi e di provare a rivivere le stesse sensazioni 

T: («Si alza come prima? E come lo faceva? Cosa sente? »). 

In seguito le è chiesto di confrontare quello che ha percepito nell’esercizio con quello che avrebbe potuto percepire nella prestazione. La paziente non riesce a immaginare la prestazione normale e la sua risposta è la seguente: 

P: «Mi alzavo troppo velocemente per ricordare le sensazioni, non ci prestavo attenzione». Considerate le difficoltà nel costruire un’immagine motoria, ho pensato si trattasse di una prestazione automatizzata difficile da rievocare, e ho deciso, quindi, di approfondire quest’aspetto chiedendo: 

T:«Che cosa secondo lei non le permette di alzarsi in piedi così velocemente da non poterci pensare? ». 

La paziente riferisce 

P:« Adesso i piedi non partecipano» 

Chiedo quindi di pensare a una situazione in cui era importante la partecipazione dei piedi per compiere un’azione, e riesce a ricordare le sensazioni provate mentre lavorava alla macchina per cucire. Le sue considerazioni sono le seguenti: 

P:«Muovevo la punta verso il basso sul pedale per l’accensione e spingevo il tallone quando dovevo spegnerla, in maniera alternata». 

T: «Quindi muoveva la punta verso il basso del pedale... ». 

P: «Erano importanti i piedi per sentire i pedali, quest’azione è significativa per me perchè provavo piacere e benessere quando lavoravo». 

Si comincia a delineare il contesto dell’immagine soprattutto per quanto riguarda l’aspetto emotivo- fenomenologico. La paziente non è ancora in grado immaginare la prestazione normale, ma riesce a trovare una prestazione diversa, che corrisponde a un “mondo intermedio” tra l’alzarsi in piedi e la sua situazione attuale. Decido quindi di utilizzare come prestazione l’azione che ha richiamato in memoria in quanto per lei è più significativa, e lavorando sulle relazioni di somiglianza tra il movimento dei piedi alla macchina da cucire e l’immagine iniziale dell’alzarsi in piedi, modifico l’esercizio in modo tale che sia sottolineata l’importanza della partecipazione dei piedi. 


Propongo, quindi, un’attività più affine alla sua espressione: un esercizio di riconoscimento con il piede di posizione, quantità e confronto tra pesi posti su una tavoletta oscillante. Nel dialogo con la paziente le sottopongo la seguente domanda: 

T: «Potrebbe immaginare ancora una volta di lavorare alla macchina per cucire? Cosa hanno in comune l’alzarsi in piedi con il movimento dei pedali? Cosa sente di simile o di utile per alzarsi in piedi? ». 

La paziente ritrova le sensazioni del piede e della caviglia come nell’esercizio, le sensazioni del cambiamento del peso e della pressione sul tallone e sulla punta e aggiunge: 

P: «Il pedale va indietro quando ho il peso sul tallone e va avanti quando ho il peso sulla punta, quando ho il pedale fermo verso il basso è come quando sono nella posizione per alzarmi, mentre mi alzo il peso si sposta dalle punte sui talloni come quando sto per lasciare il pedale, poi il piede poggia a terra interamente». Ora la paziente vive il confronto e sa riconoscere le sensazioni provate allora.


Confronto tra pesi (anteriore e posteriore). Infine si richiede l’esecuzione assistita della prestazione per verificare se è stata ottenuta una modifica invitando la paziente a ricercare il modello di riferimento con il quale fare un confronto. 

La paziente dopo aver ripetuto varie volte l’azione dell’alzarsi in piedi ha ottenuto un cambiamento: è in grado di alzarsi con un solo appoggio laterale, presta attenzione alla posizione di partenza, e flette il tronco in avanti trasferendo il carico sull’avampiede; ma si continuerà a lavorare per ottenere una prestazione più corretta. 

Conclusioni
Con il Confronto Tra Azioni è stata scelta l’azione dell’alzarsi in piedi per colmare problematica della paziente relativa a questa prestazione, ma si è riscontrata la difficoltà da parte sua di costruire un’immagine motoria; inizialmente sono stati proposti una serie di esercizi ma poi, invitando la paziente a confrontare l’azione, ha rievocato una prestazione diversa da quella chiesta ma con delle affinità, quindi il confronto tra azioni è stato utile, consentendo di mutare la richiesta di esercizio. La modifica del lavoro del fisioterapista ha portato ad un cambiamento della paziente, infatti, il Confronto Tra Azioni ha permesso di trasferire quanto aveva appreso durante l’esercizio, in situazioni della vita quotidiana, nel suo mondo reale. 
Tutte queste nuove conoscenze devono costituire un impegno continuo di ricerca per noi fisioterapisti con l’obiettivo di rendere l’esercizio più significativo per il paziente, meno astratto, più concreto e legato alla quotidianità, con il vantaggio di incidere sull’apprendimento in maniera efficace.

Marianna Del Vecchio

Se la riabilitazione neurocognitiva secondo Perfetti funziona, perché non lo fanno tutti?

Questa è la domanda più sensata alla quale spesso mi capita di rispondere e che credo farei anche io se mi trovassi nella stessa situazione dei miei pazienti o studenti. 

Moglie di un mio paziente
"Se come dice lei, Dottore, la Riabilitazione Neurocognitiva (Metodo Perfetti) costituisce la proposta più adatta perché non l'hanno applicata da subito a mio marito?".

Studente al II° anno di fisioterapia: 
"Prof., perché se il Metodo Perfetti funziona di più allora non lo applicano tutti e dappertutto?".

Queste sono le domande più lecite che si possono rivolgere a un professionista che vi propone la Riabilitazione Neurocognitiva per il recupero post ictus. 

Proverò nella prossime righe a rendere più esplicita la mia opinione su alcune delle motivazioni che rendono il Metodo Perfetti ancora non completamente diffuso e condiviso.

Conoscenze medico scientifiche condivise

Sembra assurdo, ma nei confronti di un argomento così delicato e importante come la riabilitazione post ictus non esiste ancora un insieme di conoscenze allargato e condiviso da tutti gli operatori del settore. 
Non esistendo una teoria comune di riferimento si ha come risultato che lo stesso paziente trattato da due diversi specialisti può ricevere tipologie di trattamento assai diverse, spesso opposte e contraddittorie. Un diverso trattamento significa far vivere al paziente diverse esperienze riabilitative e questo comporta un diverso recupero.

Come è possibile che anche nella nostra epoca ci siano diverse conoscenze sullo stesso problema, in questo caso l'ictus e la sua riabilitazione? 

Interpretare il corpo il movimento ed il recupero

Il corpo viene interpretato in modo diverso in base alle conoscenze che si hanno e alle ipotesi nei confronti del suo funzionamento.
Vi faccio un esempio pratico: il corpo studiato da chi si occupa di Riabilitazione Neurocognitiva è diverso dal corpo studiato da chi si occupa di terapia tradizionale (rinforzo, stiramenti, mobilizzazioni), anche se si tratta di quello dello stesso identico paziente. Chi si occupa di Riabilitazione Neurocognitiva è abituato a considerare, oltre ai singoli elementi fisici come articolazioni, muscoli, ossa e neuroni, anche aspetti meno tangibili come le funzioni cerebrali, che rappresentano proprietà fondamentali del corpo pur non essendo facilmente misurabili come la forza o l'ampiezza di movimento di una articolazione. Chi invece è abituato ad operare sui soli aspetti fisici agisce in questa maniera perché la sua interpretazione del corpo si limita a questi elementi ed è per questo che il suo operato è circoscritto allo stretching muscolare, al massaggio, al rinforzo, alla mobilizzazione passiva delle articolazioni. 
In definitiva, in quest'ultimo caso la conoscenza del corpo è strettamente anatomica, simile a quella che possiede l'anatomo patologo, cioè colui che si occupa delle autopsie, in quanto entrambi si trovano a intervenire solo sugli aspetti fisici di un corpo privo di processi cognitivi e funzioni cerebrali. 
Stesso procedimento di interpretazione avviene anche nei confronti del movimento, visto da chi si occupa di Riabilitazione Neurocognitiva come il risultato dell'organizzazione complessa dei processi cognitivi e degli aspetti fisici del corpo, a differenza che nella fisioterapia tradizionale, in cui il movimento viene visto come il risultato di contrazioni muscolari efficaci, riflessi nervosi e posture ben organizzate. Per questo uno stesso identico paziente trattato da due diversi fisioterapisti è soggetto a due trattamenti che possono essere molto diversi tra loro e spesso contraddittori: dipende dal modo dell'operatore di interpretare il corpo, il movimento ed il recupero. 

La paura dell'ignoto 

Dal mito della caverna di Platone si può dedurre la spiegazione circa uno dei motivi per il quale la Riabilitazione Neurocognitiva non è diffusa come dovrebbe. 

Nella caverna si trovavano uomini incatenati con il volto rivolto verso una delle sue pareti, sulla quale i loro aguzzini  proiettavano con l'ausilio di un fuoco ombre di oggetti e statuine
Tale proiezione rappresentava per gli schiavi il mondo di sempre, non avendo mai conosciuto realtà diversa oltre a quella proiettata di fronte a loro. 
Un giorno uno degli schiavi riuscì a liberarsi dalle catene fuggendo così dalla caverna per dirigendosi verso l'esterno, dove fu travolto dall'estrema bellezza e luminosità di una nuova realtà: nonostante l'impatto con questa nuova luce fosse doloroso, la natura e il mondo libero là fuori gli apparvero in tutta la loro veridicità. 
Decise quindi di tornare indietro per aiutare e liberare i suoi compagni schiavi; quando però si trovò a raccontargli quello che aveva visto, ovvero che la realtà che conoscevano era una finzione, essi reagirono deridendolo e minacciandolo, rifiutando il suo aiuto e  preferendo di rimanere in quella condizione. 

Questo mito dimostra la difficoltà dell'uomo di abbandonare vecchie certezze per affidarsi a nuovo modo di pensare e ragionare seppur portatore di benefici. 
Anche nel caso della riabilitazione, quando parliamo di terapia basata sul rinforzo e sui riflessi, ci riferiamo e una pratica che si fonda su conoscenze risalenti a due secoli fa, mentre le conoscenze scientifiche che hanno permesso al Prof. Perfetti di organizzare la modalità di riabilitazione che oggi conosciamo come Riabilitazione Neurocognitiva sono tra le più recenti.

Il Paradosso delle ristrettezze di tempo ed economiche 

In termini molto più pratici, in definitiva il paziente si scontra non solo con le conoscenze ed abilità del singolo terapista, ma anche con l'ambiente e l'organizzazione sanitaria in cui sono inserite. 

Come sappiamo il sistema sanitario nazionale negli ultimi anni si trova in continuo affanno e sull'orlo del fallimento: per questo motivo molte prestazioni e sistemi di cura vengono razionati e ridotti all'osso, indebolendo, in nome del risparmio, la qualità del recupero del paziente emiplegico

Lo sfortunato colpito da ictus nella maggior parte dei casi si troverà ad avere a disposizione 45-60 giorni di ricovero in una struttura riabilitativa convenzionata o, se molto grave o anziano, dirottato in una struttura per lungo degenza dove la riabilitazione ed il recupero non sono i primi obiettivi. Chiaramente già di per sé avere a disposizione un ricovero limitato a due mesi è ben poca cosa se consideriamo che la frattura di un osso recupera dopo oltre un mese. Trattandosi di una lesione al cervello, si può facilmente intuire che i tempi saranno decisamente maggiori. Ma non è il tempo il parametro più importante, bensì il tipo e la qualità del possibile recupero offerti del trattamento proposto. Chiaramente in un lasso di tempo limitato come 2 mesi scarsi si ha solo la possibilità di tentare il tutto per tutto per mettere in piedi il paziente e offrirgli una parvenza di autonomia, senza considerare la qualità del cammino e del recupero del braccio. 
Quando ho parlato di paradosso intendevo dire che trattare un paziente emiplegico solo 2 mesi subito dopo l'ictus, e 2 mesi ogni anno, prescrivendogli tutori molto costosi, suggerendogli inoculazioni molto costose e inefficaci di botulino e costringendo i familiari a ridurre la loro produttività per accudire e sostenere il proprio caro che stenta a ricomporre la sua autonomia e il suo ruolo sociale è molto più costoso che lavorare bene fin da subito. 

Infatti risulterebbe più economico investire di più nelle fasi iniziali della riabilitazione su tempo, attenzione e qualità del recupero, introducendo nel piano terapeutico la Riabilitazione Neurocognitiva, coinvolgendo nel processo di recupero la famiglia alla quale insegnare la riabilitazione da continuare in casa. 

Anche se i costi di partenza di un lavoro ben fatto possono all'inizio apparentemente aumentare, questi permetterebbero al paziente di acquisire una maggiore possibilità di ritornare produttivo e di incidere meno in tutti gli anni a venire sulle casse della Sanità e dello Stato in generale.

Ragionare in questo modo significa vedere ad una distanza maggiore del proprio naso e porsi il problema dei costi della Sanità mettendo al centro di tutto il paziente ed il suo recupero, facendolo appunto in accordo con le leggi economiche che sembrano regolare tutti i campi della nostra esistenza.


BOTULINO SI O BOTULINO NO PER LA SPASTICITÀ?

L'argomento "botulino" è di fondamentale importanza quando si parla di ictus e riabilitazione post-ictus. 
In questi ultimi anni siamo stati abituati a sentir parlare di botulino in riferimento alla medicina estetica, imparando a riconoscere anche tra i divi della televisione chi ne faccia uso o meno, la cui caratteristica comune è la fissità del volto e la difficoltà di riprodurre determinate espressioni e mimiche. Questo avviene perché, per spianare le rughe, vengono paralizzati alcuni gruppi muscolari attraverso la tossina del botulino. 

Perché si ricorre al botulino in caso di ictus? 

Dovete sapere che in seguito ad un ictus il nostro organismo mette in atto diversi meccanismi riorganizzativi per permetterci di superare l'evento patologicoProprietà, questa, che ci conferma la perfezione della natura, che non fa mai nulla per caso. 
Nello specifico dell'ictus cerebrale, spesso, ci troviamo di fronte a gravi disturbi del movimento, che iniziano con la paralisi di una metà del corpo e spesso procedono con un progressivo irrigidimento di alcuni gruppi muscolari. Quest'ultimo fenomeno prende il nome di spasticità muscolare
La spasticità e l'evidente ostacolo al movimento determinato da questa severa rigidità muscolare hanno portato alla necessità di cercare interventi curativi in grado di permettere al paziente emiplegico nuove possibilità motorie. Proprio in seguito a questa necessità il personale sanitario, le strutture ospedaliere e quelle riabilitative mettono pazienti e familiari di fronte alla possibilità di ricorrere al botulino
Nelle righe che seguiranno proporrò il mio punto di vista sul botulino, basato sulle esperienze concrete di tutti i pazienti che ho trattato in questi anni e sulla ragionevolezza delle motivazioni che si celano dietro la scelta di farne uso o meno. 

La spasticità è inevitabile dopo l'ictus?

La spasticità muscolare non è un effetto inevitabile dell'ictus cerebrale bensì una predisposizione che viene però resa evidente e grave da esperienze riabilitative inadeguate

Generalmente infatti subito dopo l'ictus si ha una condizione muscolare decisamente diversa da quella dell'ipertono muscolare, che consiste in una fase definita flaccida. Per il fenomeno della diaschisi, in questa prima fase successiva al danno cerebrale il nostro organismo mette a riposo molte più strutture nervose di quante non siano state danneggiate, come per difendersi dall'ingresso di informazioni che in quel momento non sarebbe in grado di gestire. È per questo che subito dopo un ictus il paziente emiplegico si trova spesso a letto con severe difficoltà di movimento. Solo successivamente si ha la comparsa di piccoli movimenti e di rigidità muscolare e ciò avviene perché l'organismo inizia a "risvegliare" quei circuiti che aveva spento all'inizio. I primi circuiti che vengono de-inibiti sono quelli più semplici, per poi passare ai circuiti via via più complessi. In termini di movimenti, i circuiti più semplici corrispondono ai riflessi muscolari. Per questo i primi movimenti sono generalmente accompagnati dai riflessi o fanno parte di "schemi sinergici". Per intenderci, un esempio di schema sinergico è quello che vedete nel braccio e nella mano quando il paziente emiplegico si sta sforzando in un movimento: le dita e la mano si chiudono, il polso si flette, il gomito si piega e la spalla avvicina il braccio al busto. Questi movimenti, però, se stimolati e rinforzati rischiano di non lasciare accedere ai movimenti più elaborati composti da circuiti meno semplici e più articolati; inoltre si strutturano, lasciando poche possibilità al paziente di modificare questa posizione dell'arto caratteristica definita anche in triplice flessione, soprattutto dopo alcuni mesi di riabilitazione parziale rivolta proprio solo ai muscoli ed alle articolazioni senza considerare la lesione cerebrale, ovvero il reale problema dell'ictus

Per questo motivo possiamo dire che la spasticità e la condizione di rigidità del paziente emiplegico non sono una conseguenza necessaria causata dall'ictus, ma sono indotte da una riabilitazione quantitativa e grossolana

Primo controsenso

Personalmente credo si tratti di un controsenso operare sin dai primi giorni successivi all'ictus attraverso scelte che producono e rendono sempre più severa la spasticità del paziente e poi proporre di paralizzare i muscoli irrigiditi attraverso il botulino. Il buon senso porterebbe a pensare di agire fin dall'inizio nel rispetto dei processi di recupero del nostro organismo, gestendo i tempi in accordo con le possibilità del paziente, per esempio non puntando immediatamente sull'autonomia del cammino se ancora non sono stati recuperati alcuni pre-requisiti fondamentali da parte sua. 

Altri controsensi

La lista dei controsensi quando ci troviamo ad affrontare il tema del botulino è assai lunga. Un altro esempio di controsenso è dato dal fatto che il recupero dell'autonomia del paziente emiplegico passa attraverso il recupero del movimento e la tossina botulinica agisce mediante la paralisi dei muscoli
È risaputo che l'effetto del botulino, qualora si presenti, è momentaneo; a volte infatti dopo due o tre mesi viene richiesto un nuovo trattamento. Questo succede perché la paralisi del muscolo ad opera del botulino avviene attraverso la distruzione delle giunzioni tra nervo e muscolo; una volta distrutti i collegamenti tra nervo e muscolo, le fibre muscolari denervate chiaramente appaiono rilasciate e non tese. 
Il nuovo irrigidimento del muscolo dopo pochi mesi è dovuto alle magnifiche capacità riparatrici del nostro sistema che, accortosi della privazione delle giunzioni neuro-muscolari, ne riproduce di nuove, purtroppo stavolta dislocate sulla base delle possibilità attuali del movimento e quindi di solito scarse e disorganizzate.

Botulino: cui prodest?

Questo articolo è basato esclusivamente sull'esperienza clinica accumulata in questi anni, durante i quali ho potuto raccogliere le esperienze di centinaia di pazienti colpiti da ictus che si sono sottoposti al trattamento con tossina botulinica. 
Fino ad oggi non c'è stato un singolo paziente che mi abbia riferito di aver tratto giovamento dal botulino o che si sia avverato lo scopo per il quale ci si era sottoposto, quello cioè di allentare le tensioni di alcuni gruppi di muscoli spastici per permetterne il recupero del movimento di altri. 
Inoltre in presenza di tutti questi casi ho sempre avuto più difficoltà nel gestire il recupero delle zone sottoposte al botulino, tanto che ogni volta che incontro per la prima volta un paziente emiplegico gli chiedo se abbia assunto il botulino in passato e quando la risposta è affermativa questo rappresenta per me un elemento negativo per la previsione di recupero della zona trattata

La domanda che mi viene da fare è cui prodest? Si tratta di una espressione latina che significa: a chi giova

Se un semplice riabilitatore come me si rende conto dell'inefficacia del botulino e spesso anche dei suoi effetti negativi, dovrebbero fare altrettanto anche gli specialisti che si trovano a dover applicarlo ai pazienti ogni tre o quattro mesi fino a quando non si notano nemmeno più gli effetti temporanei. 
Se un farmaco che ha un costo di alcune centinaia di euro e che rappresenta inoltre una spesa inutile per il sistema sanitario nazionale anche in termini di mancato recupero non giova al paziente, anche se la risposta è ovvia mi chiedo comunque: cui prodest?

Stimolazione Magnetica Transcranica TMS: Fuochino...

Il panorama riabilitativo che un paziente emiplegico e la sua famiglia si trova di fronte in seguito all'ictus, lo abbiamo detto più volte, è davvero complicato e contraddittorio. 
La ragionevolezza ed il buon senso porterebbero ad orientare verso il cervello e le sue funzioni le attenzioni della riabilitazione, visto che l'emiparesi e tutto quello che ne consegue sono il risultato di un danno cerebrale. La realtà invece sembra non seguire le regole della ragionevolezza e siamo ormai abituati a vedere una riabilitazione post-ictus fatta di mobilizzazioni attive e passive, di rinforzo al cammino, di stretching, di stimolazioni riflesse (Bobath, Kabat), di standing e di botulino. Tutte attività, quelle appena elencate, che sembrano non considerare tutto quello che c'è al di sopra delle articolazioni, dei muscoli e dei riflessi cioè le aree cerebrali danneggiate dalla lesione e con esse i processi cognitivi che permettono il movimento: Acqua! È come quando da bambini si nascondeva qualcosa nella stanza e si chiedeva ad un amico di trovarla; man mano che si allontanava dall'oggetto lo guidavamo dicendo : "acqua... acqua..." mentre "fuochino" e "fuoco" gli indicavano se stesse percorrendo la giusta direzione. 
Chiaramente ogni attività rivolta ai muscoli, che sono solo l'aspetto visibile del movimento, risulta fallimentare perché si allontana dal reale problema degli esiti da ictus e possiamo guidare chi li propone con il nostro: "acqua, acqua...

Ma per la Stimolazione Magnetica Transcraniale le cose stanno diversamente e possiamo finalmente dire "fuochino": infatti, nonostante siamo ancora molto lontani dall'aver centrato il problema in pieno, perlomeno questo trattamento racchiude in se alcuni presupposti che ci fanno pensare che, oltre a chi si occupa di Riabilitazione Neurocognitiva, anche qualcun'altro si sta avvicinando alla strada corretta. Fuochino! Vediamo quali sono i presupposti della Stimolazione Magnetica Transcraniale che la distinguono rispetto alle proposte tradizionali di riabilitazione del dopo ictus. 

È rivolta al cervello 

Questo è il primo aspetto che fa della Stimolazione Transcranica Magnetica (TMS) una proposta che si distingue dal panorama tradizionale della cura degli esiti da ictus, è infatti una conquista importante quella di indirizzare al cervello le cure e le attenzioni dei terapeuti
Abbiamo appena detto infatti che generalmente il cervello non viene considerato nella riabilitazione dell'ictus e per questo l'ingresso di questa proposta nel panorama riabilitativo non può che farmi piacere. 

Attivazione cellulare

In termini molto generici la Stimolazione Magnetica Transcranica consiste nella stimolazione delle cellule cerebrali attraverso il passaggio di energia elettrica generata da un campo magnetico. Non solo la Stimolazione Transcraniale Magnetica (TMS) è rivolta al cervello, ma la sua ambizione è quella di riattivare le cellule celebrali. Anche questo rappresenta comunque un passaggio in avanti rispetto a tutte le proposte che in questi anni siamo stati abituati a sentire, proposte di tipo meccanico che non coinvolgevano minimamente le funzioni cerebrali. 

Cosa manca ancora per "mettere a fuoco" il problema? 

Il recupero in seguito ad un ictus passa attraverso la riattivazione dei processi cognitivi alterati dalla lesione, che si può ottenere offrendo al paziente esperienze riabilitative che stimolino l'apprendimento di nuove capacità motorie. Questo processo di apprendimento ha degli effetti sulla biologia del cervello, in termini di attivazione cellulare e di nuove sinapsi. Anche se la Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) mira allo stesso esito della Riabilitazione Neurocognitiva, cioè incidere sulla biologia del cervello, lo fa attraverso un procedimento fisico, senza il coinvolgimento cosciente del paziente e senza sfruttare le sue abilità di apprendimento. 

"Puntare al recupero del cammino e della funzione di presa e manipolazione attraverso al TMS equivale a puntare ad insegnare ad un soggetto sano a suonare il pianoforte stimolandogli semplicemente il cervello o le aree cerebrali che si presuma permettano all'uomo tale abilità." 

Conclusioni

Questa breve e generica analisi personale sulla Stimolazione Magnetica Transcranica ha lo scopo di analizzare la possibile evoluzione nel campo della riabilitazione post ictus. 
Da una parte con estremo piacere noto un certo salto in avanti se consideriamo quelle che sono le proposte riabilitative che in genere si susseguono attorno al problema dell'ictus: botulino, ortesi, stretching, riabilitazione robotica e altro. Purtroppo però alla fine anche la TMS si è trasformata nell'ennesima proposta aggiuntiva che viene applicata in associazione alle altre già menzionate, rendendo il panorama della riabilitazione post ictus ancora più confuso e con esso tutti i pazienti e familiari che si trovano di fronte all'ennesima proposta carica di innovazione tecnologica che suscita una nuova speranza. 
Purtroppo ancora una volta proviamo a sorvolare il problema, a scavalcarlo e a trovare scorciatoie per il recupero post ictus, ma la realtà del recupero è fatta di un lavoro impegnativo di Riabilitazione Neurocognitiva che contempla il reale problema dell'ictus ovvero l'alterazione delle funzioni cerebrali che permettono il movimento.

Recupero Post Ictus del movimento della percezione e del sé corporeo



Questa è la storia del recupero post ictus di un mio paziente, Michele, la ritengo molto significativa per spiegare alcuni aspetti importanti sulla Riabilitazione neurocognitiva e la plasticità del cervello dopo un ictus

Michele è stato uno dei primi pazienti della mia carriera che ho avuto la fortuna di trattare e che ha rappresentato una delle esperienze più significative della mia professione

Michele che all’età di 13 anni aveva avuto un ictus devastante che ha coinvolto gran parte del cervello e del cervelletto, all’arrivo in clinica si presentava come uno di quei pazienti che vengono definiti in genere “non collaboranti” e che spesso non vengono trattati a causa della loro gravità.

L’impatto nel vederlo è stato forte, stava riverso sulla carrozzina con il capo chino e quasi sempre assopito. 
Erano passati già due anni dall’ictus ed ancora si trovava in quelle condizioni. 
Lavorare con Michele, un ragazzo così giovane e così grave è stata una esperienza davvero coinvolgente dal punto di vista emotivo, ma il recupero che ha dimostrato è stato straordinario

Per raccontarti il percorso di Michele utilizzerò alcuni suoi autoritratti che sono lo specchio della sua percezione di sè e da questi abbiamo la possibilità di vedere come il suo cervello si sia modificato attraverso gli esercizi di riabilitazione neurocognitiva che mese dopo mese modellavano la sua percezione il suo movimento ed i suoi processi cognitivi

Ci sono volute alcune settimane prima di poter ottenere una partecipazione significativa, ma giorno dopo giorno Michele sembrava sempre più presente e sveglio ed era una sorpresa scoprire gradualmente la sua personalità

Iniziai a chiedergli un disegno di sè, di come si vedeva e come si sentiva e questa è stata la sua prima “opera d’arte”. 
Questo non è solo un disegno di un ragazzo con problemi motori, ma è un disegno che ci permette di accedere ad alcuni tratti del suo corpo vissuto e ci dimostra molte delle sue difficoltà di percepire il corpo



Non è certamente un caso che abbia disegnato il suo corpo a “pezzi” come se il suo corpo percepito fosse disgregato, che i suoi piedi avessero un evidente perdita di rapporto con il suolo ed un braccio sinistro così diverso dal destro. 

Ne parlerò in un altro articolo, ma ti anticipo che un’altro dei pilastri della riabilitazione neurocognitiva, interpreta il corpo come una vera e propria superficie recettoriale

Cosa significa il corpo come superficie recettoriale per il metodo Perfetti? 

Significa che nel nostro cervello vengono proiettate tutte le informazioni provenienti dalle nostre superfici recettoriali come ad esempio le informazioni visive dalla retina che trovano la loro rappresentazione nella corteccia cerebrale dei lobi occipitali, le informazioni olfattive ed uditive che trovano la loro rappresentazione nei lobi temporali. 

Ebbene anche il corpo è rappresentato nel cervello, nei lobi parietali e l’integrità di tali rappresentazioni permette l’organizzazione del movimento.

E' per questo che dopo un ictus abbiamo paralisi e difficoltà di movimento, non di certo per un problema dei muscoli! 

I disegni di Michele ci aiutano a capire come gli esercizi di riabilitazione neurocognitiva gli hanno permesso di riorganizzare le sue rappresentazioni cerebrali del suo corpo. 
Dopo questo disegno ho continuato a chiedergli un autoritratto al mese per voler valutare eventuali modifiche durante il corso della riabilitazione. 

Ho preparato un video dove è possibile vedere il susseguirsi dei disegni in concomitanza con i miglioramenti che dimostrava Michele: nel cammino nei movimenti dei suoi arti superiori, della sua percezione e soprattutto della sue capacità cognitive. 



Gli elementi fondamentali per il recupero di Michele, sono stati diversi, ma vanno sottolineati perchè purtroppo allo stato attuale sono degli ingredienti che spesso non vengono utilizzati per il recupero post ictus.

Utilizzo della Riabilitazione Neurocognitiva: ormai spero che sia ovvio che dopo un ictus cerebrale o comunque un danno che colpisca il cervello, la riabilitazione deve coinvolgere i processi cognitivi e le funzioni cerebrali anzichè i muscoli. 

Tempi e modalità di trattamento: a quel tempo mi trovavo a lavorare nella clinica del Prof. Perfetti, una realtà incredibile dove ho avuto la possibilità di trattare Michele per molti mesi, senza pressioni sui tempi e in un ambiente di grande fermento scientifico. 

Riabilitazione in Famiglia: la madre di Michele, una delle donne più straordinarie che abbia mai conosciuto, mi aiutato incredibilmente imparando molti esercizi che lei stessa eseguiva con Michele. Il suo supporto nel lavoro è stato determinante per i risultati che Michele ha ottenuto durante il suo percorso di recupero post ictus.

Questo è l'ultimo disegno che ha fatto Michele, nel video c'è il ragionamento riguardo le evidenti modifiche rispetto al primo.








Gruppo Ictus ed Emiplegia

C’è un gruppo su internet che ormai si può definire una vera e propria famiglia.
Trova la sua dimora sotto il grande tetto di Facebook e ad oggi conta circa 2200 membri.
E' nato per caso qualche anno fa ormai, quando mi resi conto che i miei pazienti e i lettori del mio blog avevano sempre l’impressione di essere soli di fronte il dramma dell’ictus cerebrale e mi ponevano quesiti che spesso erano di ordine pratico ai quali per rispondere dovevo io stesso chiedere agli altri pazienti le loro esperienze.
Domande relative all’iter da seguire per le visite di invalidità, o come procedere per ottenere la patente dopo un ictus, l’accompagno o gli acquisti con iva agevolata.
Un giorno nel mio studio con Claudio che all’epoca era un mio paziente, ma ora un amico, parlavamo proprio di questo problema, Facebook era agli inizi qui in Italia così decidemmo di creare insieme un “gruppo ictus ed Emiplegia per condividere esperienze ed informazioni” che fosse aperto agli sfortunati colpiti da ictus ed alle loro famiglie. La risposta è stata ed è tutt’oggi straordinaria, è diventato un punto di incontro sereno, io e Claudio lo chiamiamo il “paesino di provincia” proprio per il grande rispetto e senso di condivisione che c’è tra gli abitanti del gruppo.

Ogni nuovo iscritto che entra in punta di piedi viene accolto a braccia aperte con il “benvenuto” e puntualmente si apre l’immancabile dibattito se sia elegante o meno dare il benvenuto in gruppo di questo tipo visto che è caratterizzato dall'ictus, un evento drammatico, ma alla fine si conviene sempre che comunque si tratta di un ambiente di amici che nella sfortuna condividono le loro esperienze e si danno forza a vicenda ed alla fine “vada per il benvenuto!”.




Chi racconta la sua storia per la prima volta viene sempre accolto dall’esperienza di chi ha vissuto vicende analoghe traendone conforto e spunti utili. Come in ogni “paesino di provincia” ogni abitante ha la sua caratteristica, c’è Rita che riempie le giornate con il suo immancabile umorismo e ci tiene aggiornati tra i suoi alti e bassi, il “sindaco” Claudio che nonostante ne abbia passate davvero brutte non manca mai di tenere alto il morale e giustamente denuncia tutte quelle situazioni in cui i diritti dei diversamente abili vengono meno. C’è Antonio con i suoi post irriverenti e Federica che ormai ne sa più lei dell’ictus che dieci luminari messi in fila, poi c’è Maurizio che apparentemente sembra pessimista, ma in realtà ci dimostra il suo coraggio nel lottare ogni giorno per riconquistare la sua vita, c’è Anita con il suo buonsenso ed Onizziz con la sua ironia, c’è Elena che combatte e si impegna nel sociale e Mariantonietta che si prepara per quando la madre starà meglio, c’è Sandro che prima o poi quella benedetta patente la prenderà ci sono Claudia, Sara per suo padre, Cristina, Alberto, Vita, Renato e tutti gli altri che mi scuseranno se non li cito tutti, ma sanno di far parte integrante di questa grande famiglia che si sostiene ogni giorno e che non dimentico mai di sottolineare il loro eroismo nell’affrontare questa prova che la vita ha deciso di dargli.












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