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CAUSE DI ICTUS

Prima di individuare le cause di ictus, dobbiamo precisare che gli ictus rappresentano in italia, la terza causa di morte dopo scompensi cardiaci e tumori, e da soli sono la prima causa di invalidità a lungo termine.
Il cervello come sappiamo è formato da una quantità innumerevole di neuroni che necessitano di ossigeno e nutrimento (glucosio) per sopravvivere, quando questo nutrimento, che avviene mediante il trasporto sanguigno viene a mancare, i neuroni iniziano a soffrire, degenerare e morire. Provocando disturbi delle funzioni motorie, sensoriali e cognitive proprie dell'emiplegia 

Avendo ora, seppur brevemente, trattato la dinamica dell'ictus, cercheremo ora di comprendere quali siano i fattori di rischio predisponenti, in altre parole: Chi rischia di avere un ictus? quali sono le cause di ictus?

All'interno delle cause di ictus, ci sono diversi fattori di rischio alcuni dei quali sono immutabili quali l'età il sesso, e genetica, sappiamo infatti che la possibilità di avere un ictus aumenta notevolmente con l'aumentare dell'età e che un buon numero di Ictus è determinato da malformazioni genetiche. Mentre altri fattori sono mutabili, significa che possono aiutarci a ridurre notevolmente il rischio di Ictus, alcuni di questi sono ampliamente documentati, mentre altri sono solo agli inizi dei propri studi, tuttavia nel complesso rappresentano un corretto stile di vita ed abitudini alimentari che dovremmo seguire per incidere sulle cause dell'ictus.

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PREVENIRE L' ICTUS

PREVENIRE L' ICTUS




Per poter prevenire l' ictus abbiamo

bisogno

di incidere sui fattori di rischio modificabili, in quanto abbiamo visto precedentemente, quando abbiamo parlato delle cause di ictus, che parte dei fattori di rischio non possono essere modificati, sui quali non possiamo puntare per prevenire l' ictus. I principali fattori di rischio modificabili che dobbiamo considerare per prevenire l' ictus, sono fondamentali ed ampiamente documentati, stiamo parlando di quelli legati alle patologie cardiocircolatorie. Pertanto se vogliamo mettere in atto tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione per prevenire l' ictus, dovremmo seguire tutti quegli accorgimenti che generalmente conosciamo riguardo alla conservazione del nostro sistema cardiocircolatorio .
Facciamo 3 esempi.



Astensione dal fumo di sigaretta (il rischio è proporzionale alla quantità di sigarette che vengono fumate!).

Evitare l'abuso di alcool (solo fino a tre bicchieri di vino alla settimana sembrerebbero avere proprietà protettive per il nostro cuore!).


Evitare il sedentarismo ( sembra ovvio come obesità, stress e cattive abitudini alimentari siano deleterie per la pressione 
sanguigna ed il nostro cuore !).


CONSEGUENZE POST ICTUS

Cosa succede dopo un ictus?


Quali sono le conseguenze post ictus? Alcuni, meno fortunati perché presentano delle complicanze o semplicemente perchè hanno lesioni più estese, non sopravvivono alle prime settimane. Altri invece, una volta superata la fase acuta, procedono verso un progressivo miglioramento.

Perchè? Cosa succede? 

Questo argomento verrà trattato in modo più approfondito nell'articolo dedicato alla Diaschisi. Tuttavia quello che accade nelle prime settimane in seguito all'ictus è la lesione irreversibile di alcuni gruppi cellulari dell'encefalo, la sofferenza ed il danneggiamento dei gruppi cellulari vicini alla lesione per effetto dell'edema perilesionale e l'inibizione dei gruppi cellulari che si trovano funzionalmente connessi alle zone di lesione. 

Il miglioramento deriva dal riassorbimento dell'edema e dalla relativa riattivazione delle aree connesse alla zona di lesione rese "mute". L'evolversi di questo fenomeno però come vedremo nell' articolo dedicato al fenomeno della diaschisi, è strettamente legato al tipo di esperienze e di riabilitazione al quale il soggetto verrà sottoposto. 

Ovviamente le possibilità di recupero variano anche in relazione all’estensione e gravità della lesione e alla particolarità delle zone colpite. Gli effetti dell’ictus variano molto nelle diverse persone: alcuni sperimentano solo disturbi lievi, che con il tempo divengono quasi trascurabili, altri, invece, portano gravi segni della malattia per mesi o per anni.

Le principali conseguenze post ictus

Emiplegia: ovvero la paresi di una metà del corpo, accompagnata da disturbi della sensibilità e deficit cognitivi. L'emiplegia si può già distinguere in emiplegia destra ed emiplegia sinistra che avranno a loro volta diverse caratteristiche distintive, come ad esempio il neglect e l'anosognosia per l'emiplegia sinistra ed Afasia e Aprassia per il paziente emiplegico destro.

Spasticità: Ovvero quel fenomeno di irrigidimento dei muscoli che determina spesso l'andatura "falciante" caratteristica del paziente emiplegico e la progressiva chiusura della mano e dell'arto superiore, tale fenomeno è da attribuirsi tanto alla lesione causata dall'ictus, quanto alla proposta di una scorretta riabilitazione che ha facilitato tale fenomeno.


EMIPLEGIA

L'emiplegia è uno dei temi centrali del sito e della riabilitazione neurologica. L'emiplegia è inoltre una delle principali conseguenze post ictus. 
Ma cosa significa realmente Emiplegia?
È un termine che deriva dal greco EMI : mezzo e colpo, percossa e sta a significare quindi la paralisi di una metà parte del corpo. Perché compare l'emiplegia? 
Qui viene da domandarci, ma perché in seguito ad un ictus si manifesta il fenomeno dell'emiplegia e quindi si paralizza metà parte del corpo?  
E perché l'emiplegia si manifesta nella metà opposta alla sede dell'ictus cerebrale? 
Le risposte a queste domande le possiamo trovare nell’organizzazione del Sistema Nervoso Centrale, infatti in molti sanno che il cervello è formato da due emisferi, ognuno dei quali "gestisce" in gran parte la metà del corpo opposta (contro laterale), per questo motivo una lesione dell’emisfero cerebrale destro, comporterà disturbi della metà del corpo sinistra (emiplegia sinistra) e viceversa una lesione dell’emisfero sinistro determinerà alterazioni a carico dell’emilato destro (emiplegia destra).
Continuando a leggere ci accorgeremo come emisfero destro e sinistro abbiano diverse caratteristiche e come ci siano grandi differenze anche tra emiplegia destra e sinistra.
Le emiplegie sono tutte uguali?
Va precisato che nessun paziente emiplegico è uguale ad un altro, come nella realtà nessun essere umano è uguale ad un altro e questo presupposto deve riflettersi anche nella riabilitazione del paziente emiplegico, che deve necessariamente essere individuale e personalizzata a seconda dei disturbi specifici causati dal danno cerebrale.
Come sai un ictus cerebrale, colpisce il cervello e nel cervello si esprimono le nostre capacità cognitive e mentali, le stesse che ci permettono il movimento, pertanto i disturbi specifici di ogni paziente emiplegico vanno ricercati nella alterazione dei processi cognitivi, che sarà diversa da emiplegico a emiplegico.
Quale Riabilitazione per il recupero dell'Emiplegia?

Anche se i disturbi più evidenti dell'emiplegia, sembrerebbero fisici e tangibili come il deficit muscolare e la spasticità, in realtà queste sono solo le conseguenze di un problema che si trova a monte e che va individuato nell'alterazione dei processi cognitivi come: l'attenzione, la memoria, la percezione, la pianificazione del movimento, etc.
Per questo per un corretto recupero dell'emiplegia, la riabilitazione deve coinvolgere con gli esercizi anche i processi cognitivi danneggiati dall'ictus e non ridursi al solo rinforzo muscolare, alla mobilizzazione del paziente emiplegico o all'allungamento dei muscoli.

Attualmente la risposta riabilitativa più adeguata per il recupero dell'emiplegia è la riabilitazione Neurocognitiva, conosciuta anche come Metodo Perfetti, perché in grado di considerare oltre agli aspetti fisici come debolezza muscolare e spasticità, anche quelli più nascosti come i deficit cognitivi e permettere un recupero basato sulla qualità del movimento.
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PAZIENTE EMIPLEGICO

PAZIENTE EMIPLEGICO


Abbiamo appena dato la definizione di emiplegia, quello che faremo nei prossimi articoli sarà analizzare nel dettaglio quali siano le caratteristiche principali ed i disturbi comunemente associati ai diversi tipi di paralisi post ictus, paziente emiplegico destro e paziente emiplegico sinistro e come comportarsi per la riabilitazione
Come vedremo infatti i disturbi non saranno solo motori, relativi alla sola paralisi dei muscoli, ma anche sensitivi e cognitivi, quali alterazioni del ragionamento, della memoria, dell’attenzione e del linguaggio (afasia). 
Vorrei però che risulti chiaro fin da adesso e nel corso della lettura dei vari articoli, che le descrizioni che seguiranno, avranno valore prettamente generico e didattico in quanto, la complessità del nostro organismo, del Sistema Nervoso Centrale, la varietà delle lesioni possibili e l’individualità di ciascun essere umano non permettono di essere ulteriormente specifici.
La specificità di ogni emiplegia ed il profilo di ciascun paziente emiplegico deriva da una attenta e accurata osservazione clinica, ed il trattamento fisioterapico che ne consegue sarà modellato e plasmato a misura di ciascun paziente emiplegico. 
In definitiva nessun ictus è uguale ad un altro, nessun paziente emiplegico è uguale ad un altro, nonostante ci possano essere delle caratteristiche in comune, ma soprattutto il trattamento previsto per ogni paziente emiplegico deve essere specifico, individuale e personalizzato. Queste premesse ci permettono di affrontare gli argomenti legati alla domanda: 
Cosa avviene dopo un Ictus
Quanto può recuperare il paziente emiplegico? 
Cosa è la Riabilitazione Metodo Perfetti? 
Come evolve l'emiplegia? 




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EMISFERO DESTRO E SINISTRO

EMISFERO DESTRO E SINISTRO



Oggi giorno tutti parlano delle diverse caratteristiche dei nostri due emisferi cerebrali, emisfero destro e sinistro, dalle riviste più disimpegnate a quelle scientifiche.


Come vedremo in seguito, gli studi che fanno riferimento alla ricerca di alcune specializzazioni dei due emisferi hanno origine già nel diciannovesimo secolo.


Fu Paul Pierre Broca che in seguito ad una autopsia di un suo paziente che presentava difficoltà di linguaggio, si accorse che vi fosse una lesione a carico dell'emisfero sinistro del cervello, ulteriori studi lo portarono a confermare la correlazione tra disturbi di linguaggio e determinate aree dell'emisfero cerebrale sinistro, tuttora si parla infatti di afasia di Broca, ma di questi aspetti ne parleremo in seguito negli articoli dedicati alle Afasie.


Questa osservazione lasciò spazio ad ulteriori studiosi intenti ad individuare ulteriori dominanze emisferiche, e quello che accadde per il linguaggio avvenne anche per l'organizzazione motoria (che come puoi intuire, condividono molti processi cognitivi). 


E' questo il caso dell'Aprassia, comunemente associata alla difficoltà nel compiere gesti della vita quotidiana, ma dietro alla quale si nascondono una moltitudine di alterazioni cognitive che permettono l'organizzazione del movimento. 


Sappiamo comunemente che l'Aprassia è più facilmente riscontrabile nei pazienti con lesione all'emisfero sinistro quindi emiplegici destri, ma porla in questo modo non è propriamente corretto, in quanto abbiamo appena detto che l'aprassia rappresenta un quadro clinico complesso e risultante di una alterazione a diversi livelli dei processi cognitivi, non si tratta quindi una patologia associata all' ictus che: o l'hai "presa" o non l'hai "presa", ci possono essere note aprassiche più o meno presenti o sfumature più o meno evidenti. 


Vedremo inoltre come un rigido locazionismo delle funzioni o delle sindromi cliniche non sia totalmente appropriato vista la complessità mostrata da ogni funzione dell'organismo all'interno della quale molte strutture partecipano sincronicamente. 
Parleremo nel dettaglio in seguito dell'Aprassia e del paziente emiplegico destro e quindi delle lesioni dell'emisfero sinistro. 


Nel corso della lettura prenderemo in considerazione anche gli aspetti caratteristici delle lesioni dell'emisfero destro, e quindi dell' emiplegico sinistro, che rappresentano un campo decisamente importante per la riabilitazione neurocognitiva e la comprensione del "funzionamento" del nostro ragionamento. 


Faremo un viaggio tra le alterazioni neuropsicologiche più importanti legate alle lesioni dell'emisfero destro come Anosognosia, Eminattenzione, Prosopoagnosia.


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-- DIASCHISI

Il fenomeno della diaschisi, rappresenta un argomento fondamentale per poter comprendere l'evoluzione di un ictus
In seguito ad una lesione cerebrale, alcune zone del cervello vengono danneggiate direttamente dalla lesione, altre cessano di funzionare correttamente, perché coinvolte dall’edema che occupa lo spazio intorno alla lesione, mentre altre strutture, che non sono anatomicamente connesse con le zone direttamente danneggiate, vengono inibite a distanza. 

Proviamo a comprendere il motivo di questo strano fenomeno di inibizione denominato diaschisi.

Per quale motivo la natura ha la necessità di mettere a riposo il sistema?

Si tratta di una strategia biologica di difesa, che tende ad evitare un sovraccarico delle strutture interessate dalla lesione, pertanto le aree e le strutture che non sono anatomicamente connesse con quelle lese, ma che sono ivi funzionalmente connesse, ovvero con le quali partecipano in sinergia all’interno di alcune funzioni tramite il continuo scambio di informazioni, vengono inibite.

L'inibizione avviene in quanto alcune aree del cervello non ricevono più informazioni dalle aree lese ormai rimaste "mute" a causa della lesione, e probabilmente per proteggere le stesse zone lese da un sovraccarico informativo difficilmente gestibile.


All'interno della diaschisi, si ha quindi una fase acuta di “shock”, dove l’inibizione è molto ampia e coinvolge molte zone del cervello e dei circuiti nervosi. 

È per questo motivo che in seguito ad un ictus la fase acuta è caratterizzata da una paralisi flaccida, denominata in questo modo proprio per la quasi totale impossibilità del paziente di poter muovere una metà parte del corpo, quella opposta alla lesione.

Questo fenomeno prende il nome di Diaschisi, etimologicamente dal greco DIA’(a traverso) e SCHIZO( divisione), “divisione attraverso” , “divisione tra”, come abbiamo visto, la diaschisi infatti, rappresenta un processo di disconnessione e di inibizione anche a distanza tra diverse strutture cerebrali. 


Non è infatti coinvolta la sola corteccia cerebrale, ma anche molte altre strutture tra cui il talamo ed il cervelletto, le cui funzioni come vedremo in seguito saranno fondamentali per l’organizzazione motoria.

Quanto dura la diaschisi?

Generalmente il neurologo risponde a questa domanda quantificando la durata del fenomeno di diaschisi in 3-4 settimane, in realtà però la diaschisi Ã¨ un fenomeno che può durare anche tutta la vita!
Come del resto anche il recupero.

Cerchiamo di capirne il motivo...

La diaschisi è un fenomeno inibitorio e un fenomeno sinaptico. 
Il che significa che l’inibizione avviene nelle zone di congiunzione nervosa, una sorta di casello autostradale che congiunge diversi rami di traffico, ed è come se tutti i caselli autostradali scioperassero nello stesso momento, l’intera rete autostradale andrebbe in tilt. 

Lo “sciopero” delle sinapsi rappresenta una situazione di ipoeccitabilità, ovvero una situazione in cui i processi di trasporto e mediazione delle informazioni che avviene a questo livello sono decisamente limitati.

Per quale motivo allora si parla di sole 3-4 settimane?

Effettivamente in genere, dopo questa finestra di tempo, alcuni circuiti neuronali, quelli formati da poche sinapsi si deinibiscono, ovvero, “i caselli iniziano a riprendere la loro attività”, è per quello che il neurologo passando in reparto e stimolando con il martelletto il riflessi tendinei, tipo quello classico del ginocchio, ottiene la risposta riflessa di movimento che prima era assente. 
Ma questo non significa che la diaschisi sia completamente regredita, significa che la diaschisi STA regredendo, e lo sta facendo a partire dai circuiti più elementari, ovvero quelli riflessi.



L’organismo STA tendendo alla riorganizzazione in seguito alla lesione!

Questo è il momento più delicato della diaschisi e del recupero, perché questo processo di deinibizione della diaschisi, va guidato correttamente attraverso un determinato percorso riabilitativo. La scelta della esperienza riabilitativa determinerà in grande percentuale il recupero futuro.


Proviamo a comprendere cosa succede…


Il primo concetto fondamentale per comprendere la diaschisi è che si tratta di un fenomeno sinaptico. 

Altro concetto fondamentale è che la diaschisi regredisce prima dai circuiti con poche sinapsi (paucisinaptici) “le reti autostradali con meno caselli”. 

Questi sono i circuiti che fanno capo ai movimenti più elementari, infatti il riflesso del ginocchio e gli altri sono movimenti poveri che avvengono al di fuori del controllo cosciente ed hanno delle possibilità limitate e stereotipate.

Di fondamentale importanza per comprendere il tipo e la modalità di trattamento adeguato per un ottimale superamento della diaschisi, è che le sinapsi vengono deinibite solo attraverso stimoli semplici, ovvero riprendendo la nostra metafora; "i caselli in sciopero riprendono la loro attività regolare solo attraverso una mediazione pacata e ragionevole". 


Abbiamo detto che l’organismo si sta riorganizzando e questo sta avvenendo a livello sinaptico, c’è stato un periodo di inibizione, per evitare il sovraccarico informativo, non a caso infatti le principali strutture cerebrali inibite sono rappresentate da talamo e cervelletto, due “organi” fondamentali per acquisizione, costruzione, analisi, elaborazione e smistaggio delle informazioni. 

Successivamente a questo periodo di inibizione però l’organismo si trova nella necessità di fornire il terreno più fertile per la riorganizzazione e la plasticità del Sistema Nervoso Centrale, quindi successivamente si avrà una situazione di ipereccitabilità sinaptica, “i caselli dopo lo sciopero iniziano a fare i doppi turni”, ma questa ipereccitabilità è una arma a doppio taglio, cercherò di spiegarmi meglio perché è uno dei concetti sui quali si dovrà fondare il percorso riabilitativo.


Perché?


Come abbiamo detto i primi ad deinibirsi sono i circuiti più semplici, quelli elementari, quelli riflessi, a questa situazione si aggiunge un terreno fertile di ipereccitabilità molto delicata da gestire, infatti se non si è attenti a gestire la situazione, offrendo al paziente delle situazioni “informative” semplici ed adeguate, si rischia di rinforzare l’utilizzo dei soli circuiti elementari deinibiti, negando la possibilità di acquisire ed apprendere livelli di motilità più evoluti, che fanno capo a circuiti nervosi più complessi, "reti autostradali più articolate". 

Quali saranno allora le esperienze adeguate per un adeguato superamento della diaschisi? 

Dobbiamo considerare che il problema in seguito ad un ictus non è solo motorio, il deficit motorio rappresenta solo il fenomeno visibile delle alterazioni biologiche e cognitive che il sistema nervoso centrale ha subito, infatti la stessa contrazione muscolare, rappresenta un aspetto importante del movimento, ma non l’unico ! 

L’organizzazione del movimento è un processo complesso alla base del quale vi è un l’attivazione dei processi mentali e cognitivi come l’attenzione, la percezione, la memoria ed altri. 

Anche i non addetti ai lavori si rendono conto che in molti casi sia gravi che sfumati, in seguito a lesione cerebrale ci sono delle alterazioni di questi aspetti cognitivi appena citati. 

Sembra quindi ragionevole in seguito ad incidente cerebrale, coinvolgere nel trattamento riabilitativo, quelle funzioni cognitive alterate direttamente dalla lesione che indirettamente determinano le alterazioni motorie visibili. 

All'interno delle varie metodiche riabilitative proposte per il paziente emiplegico e per le lesioni cerebrali in genere, l'unico approccio che prende in considerazione queste fondamentali premesse riabilitative è rappresentato dalla Riabilitazione Neurocognitiva, quella che comunemente viene definita come "Metodo Perfetti". 

Concludo questo argomento delicato della diaschisi che in parte continuerà quando parleremo di spasticità, dicendo che purtroppo spesso i tempi dettati dalle strutture ospedaliere e riabilitative non coincidono con i tempi di convalescenza del malato e purtroppo per rientrare nei tempi della convenzione statale, che spesso si aggira intorno ai sessanta giorni, le scelte terapeutiche vengono dirette sul compromesso fondamentale: “mettiamo in piedi il malato e facciamolo deambulare!” 

In realtà spesso attraverso questo tipo di atteggiamento il paziente riuscirà molto probabilmente a deambulare, ma attraverso quella motilità elementare di cui parlavamo prima, spesso l’arto superiore rimane flesso, rigido e paretico, stessa cosa per l’arto inferiore rigido ed utilizzato come un “ pilone” elevando l’anca per far avanzare il piede che spesso appoggerà sul suolo, non con il tallone, ma con la parte laterale ed anteriore del piede: Andatura falciante.
Purtroppo la causa di una motilità elementare come quella appena descritta, non è determinata solo dagli schemi elementari, ma anche da altri elementi cognitivi e biologici che danno forma a quella che viene definita Spasticità, ovvero un fenomeno che rischia di instaurarsi se all'interno del fenomeno di diaschisi la persona viene sottoposta a stimoli e carichi eccessivi


Riassumendo quanto detto e cercando tradurlo in atti riabilitativi, possiamo concludere dicendo che il trattamento riabilitativo deve coinvolgere i processi cognitivi, dovrà rispettare i tempi e le possibilità del malato , cercando di non strutturare la motilità elementare.

Per approfondire il tema ti invito a leggere anche l'articolo : diaschisi ed implicazioni riabilitative, per comprendere come queste conoscenze sulla fisiopatologia possano riversarsi in atti terapeutici.

Leggi l'articolo gratuito "10 cose che devi sapere sull'ictus, inserisci nome ed email nel box qui sotto.

-- AFASIA E PIRANDELLO

La "toccatina" è il titolo di una novella di Luigi Pirandello, all'interno della quale l'autore descrive con ingegno ed acume osservativo una sindrome afasica di un soggetto bilingue in seguito ad un Ictus (appunto una "toccatina"). 
Il protagonista del racconto, Cristoforo Golische, divenuto improvvisamente afasico e colpito da emiplegia, dimentica l'italiano del suo uso quotidiano, ma conserva la capacità di esprimersi nella lingua materna, quel tedesco a lui tanto desueto da essere potuto sembrare quasi dimenticato (afasia del poliglotta).

Sono passati più di 100 anni dalla stesura di questa novella, ma noto con estremo sconforto che i metodi riabilitativi descritti dal Maestro non si discostano molto da quelli utilizzati attualmente per il recupero post ictus. Di certo oggi possiamo vantare uno sviluppo tecnologico e strumentale avanzato, ma il concetto di base rimane lo stesso: rinforzare gli arti e "muoverli sul tornio". Tuttavia se questo poteva essere accettabile un secolo fa, le conoscenze che si hanno oggi del cervello, del recupero e del movimento rendono il contesto della riabilitazione post-ictus piuttosto grottesco.


La toccatina

I )


Col cappellaccio bianco buttato sulla nuca, le cui tese parevano una spera attorno al faccione rosso come una palla di formaggio d’Olanda, Cristoforo Golisch s’arrestò in mezzo alla via con le gambe aperte un po’ curve per il peso del corpo gigantesco; alzò le braccia; gridò:
- Beniamino!
Alto quasi quanto lui, ma secco e tentennante come una canna, gli veniva incontro pian piano, con gli occhi stranamente attoniti nella squallida faccia, un uomo sui cinquant’anni, appoggiato a un bastone dalla grossa ghiera di gomma. Strascicava a stento la gamba sinistra.
- Beniamino! - ripeté il Golisch; e questa volta la voce espresse, oltre la sorpresa, il dolore di ritrovare in quello stato, dopo tanti anni, l’amico.
Beniamino Lenzi batté piú volte le pàlpebre: gli occhi gli rimasero attoniti; vi passò solamente come un velo di pianto, senza però che i lineamenti del volto si scomponessero minimamente. Sotto i baffi già grigi le labbra, un po’ storte, si spiccicarono e lavorarono un pezzo con la lingua annodata a pronunziare qualche parola:
- O... oa... oa sto meo... cammìo...
- Ah. bravo... - fece il Golisch, agghiacciato dall’impressione di non aver piú dinanzi un uomo. Beniamino Lenzi, qual egli lo aveva conosciuto: ma quasi un ragazzo ormai, un povero ragazzo che si dovesse pietosamente ingannare.
E gli si mise accanto e si sforzò di camminare col passo di lui. (Ah, quel piede che non si spiccicava piú da terra e strisciava, quasi non potesse sottrarsi a una forza che lo tirava da sotto!)
Cercando di dissimulare alla meglio la pena, la costernazione strana che a mano a mano lo vinceva nel vedersi accanto quell’uomo toccato dalla morte, quasi morto per metà e cangiato, cominciò a domandargli dove fosse stato tutto quel tempo da che s’era allontanato da Roma; che avesse fatto; quando fosse ritornato.
Beniamino Lenzi gli rispose con parole smozzicate quasi inintelligibili, che lasciarono il Golisch nel dubbio che le sue domande non fossero state comprese. Solo le pàlpebre, abbassandosi frequentemente su gli occhi, esprimevano lo stento e la pena, e pareva che volessero far perdere allo sguardo quel teso, duro, strano attonimento. Ma non ci riuscivano.
La morte, passando e toccando, aveva fissato così la maschera di quell’uomo. Egli doveva aspettare con quel volto, con quegli occhi, con quell’aria di spaurita sospensione, ch’ella ripassasse e lo ritoccasse un tantino piú forte per renderlo immobile del tutto e per sempre.
- Che spasso! - fischiò tra i denti Cristoforo Golisch.
E lanciò di qua e di là occhiatacce alla gente che si voltava e si fermava mirar col volto atteggiato di compassione quel pover’uomo accidentato.
Una sorda rabbia prese a bollirgli dentro.
Come camminava svelta la gente per via! svelta di collo, svelta di braccia, svelta di gambe... E lui stesso! Era padrone, lui, di tutti i suoi movimenti; e si sentiva così forte... Strinse un pugno. Perdio! Senti come sarebbe stato poderoso a calarlo bene scolpito su la schiena di qualcuno. Ma perché? Non sapeva...
Lo irritava la gente, lo irritavano in special modo i giovani che si voltavano a guardare il Lenzi. Cavò dalla tasca un grosso fazzoletto di cotone turchino e si asciugò il sudore che gli grondava dal faccione affocato.
- Beniamino. dove vai adesso?
Il Lenzi s’era fermato, aveva appoggiato la mano illesa a un lampione e pareva lo carezzasse guardandolo amorosamente. Biascicò:
- Da dottoe... Esecìio de piee.
E si provò a ad alzare il piede colpito.
- Esercizio? - disse il Golisch. - Ti eserciti il piede?
- Piee, - ripetè il Lenzi.
- Bravo! - esclamò di nuovo il Golisch.
Gli venne la tentazione d’afferrargli quel piede, stirarglielo, prendere per le braccia l’amico e dargli un tremendo scrollone, per scomporlo da quell’orribile immobilità.
Non sapeva, non poteva vederselo davanti, ridotto in quello stato. Eccolo qua, il compagno delle antiche scapataggini, nei begli anni della gioventú e poi nelle ore d’ozio, ogni sera, scapoli com’erano rimasti entrambi. Un bel giorno una nuova via s’era aperta innanzi all’amico, il quale s’era incamminato per essa, svelto anche lui, allora, - oh tanto! - svelto e animoso. Sissignori! Lotte, fatiche, speranze; e poi, tutt’a un tratto: eccolo qua, com’era ritornato... Ah, che buffonata! che buffonata!
Avrebbe voluto parlargli di tante cose, e non sapeva. Le domande gli s’affollavano alle labbra e gli morivano assiderate.
- Ti ricordi, - avrebbe voluto dirgli, - delle nostre famose scommesse alla Fiaschetteria Toscana? E di Nadina, ti ricordi? L’ho ancora con me, sai! Tu me l’hai appioppata, birbaccione, quando partisti da Roma. Cara figliuola, quanto bene ti voleva... Ti pensa ancora, sai? mi parla ancora di te, qualche volta. Andrò a trovarla questa sera stessa e le dirò come t’ho riveduto, poveretto... È proprio inutile ch’io ti domandi: tu non ricordi piú nulla: tu forse non mi riconosci più, o mi riconosci appena.
Mentre il Golisch pensava così, con gli occhi gonfi di lagrime, Beniamino Lenzi seguitava a guardare amorosamente il lampione e pian piano con le dita gli levava la polvere.
Quel lampione segnava per lui una delle tre tappe della passeggiata giornaliera. Strascinandosi per via non vedeva nessuno non pensava a niente; mentre la vita gli turbinava intorno, agitata da tante passioni, premuta da tante cure, egli tendeva con tutte le terze che gli erano rimaste a quel lampione, prima; poi, piú giú, alla vetrina d’un bazar, che segnava la seconda tappa; e qui si tratteneva piú a lungo a contemplare con gioja infantile una scimmietta di porcellana sospesa a un’altalena dai cordoncini di seta rossa. La terza sosta era alla ringhiera del giardinetto in fondo alla via, donde poi si recava alla casa del medico.
Nel cortile di quella casa, tra i vasi di fiori e i cassoni d’aranci, di lauro e di bambú, eran disposti parecchi attrezzi di ginnastica, tra i quali alcune pertiche elastiche, fermate orizzontalmente in cima a certi pali tozzi e solidi; pertiche da tornitore, dalla cui estremità pendeva una corda, la quale, dato un giro attorno a un rocchetto, scendeva ad annodarsi a una leva di legno, fermata per un capo al suolo da una forcella.
Beniamino Lenzi poneva il piede colpito su questa leva e spingeva; la pertica in alto molleggiava e brandiva, e il rocchetto, sostenuto orizzontalmente da due toppi, girava per via della corda.
Ogni giorno, mezz’ora di questo esercizio. E in capo a pochi mesi, sarebbe guarito. Oh, non c’era alcun dubbio! Guarito del tutto...
Dopo aver assistito per un pezzetto a questo grazioso spettacolo, Cristoforo Golisch uscì dal cortile a gran passi, sbuffando come un cavallo, dimenando le braccia, furibondo.
Pareva che la morte avesse fatto a lui e non al povero Lenzi lo scherzo di quella toccatina lì, al cervello.
N’era rivoltato.
Con gli occhi torvi, i denti serrati, parlava tra sé e gesticolava per via, come un matto.
- Ah, si? - diceva. - Ti tocco e ti lascio? No, ah, no perdio! Io non mi riduco in quello stato! Ti faccio tornare per forza, io! Mi passeggi accanto e ti diverti a vedere come mi hai conciato? a vedermi strascinare un piede? a sentirmi biascicare? Mi rubi mezzo alfabeto, mi fai dire oa e cao, e ridi? No, caa! Vieni qua! Mi tio una pistoettata, com’è veo Dio. Questo spasso io non te lo do! Mi sparo, m’ammazzo com’è vero Dio! Questo spasso non te lo do.
Tutta la sera e poi il giorno appresso e per parecchi giorni di fila non pensò ad altro, non parlò d’altro, a casa, per via, al caffè, alla fiaschetteria, quasi se ne fosse fatta una fissazione. Domandava a tutti:
- Avete veduto Beniamino Lenzi?
E se qualcuno gli rispondeva di no:
- Colpito! Morto per metà! Rimbambito... Come non s’ammazza? Se io fossi medico, lo ammazzerei! Per carità di prossimo... Gli fanno girare il tornio, invece... Sicuro! Il tornio... Il medico gli fa girare il tornio nel cortile... e lui crede che guarirà! Beniamino Lenzi, capite? Beniamino Lenzi che s’è battuto tre volte in duello, dopo aver fatto con me la campagna del ’66, ragazzotto... Perdio, e quando mai l’abbiamo calcolata noi, questa pellaccia? La vita ha prezzo per quello che ti dà... Dico bene? Non ci penserei neanche due volte...
Gli amici, alla fiaschetteria, alla fine non ne poterono piú.
- M’ammazzo... m’ammazzo... E ammazzati una buona volta e falla finita!
Cristoforo Golisch si scosse, protese le mani:
- No; io dico, se mai...

II)

Circa un mese dopo, mentre desinava con la sorella vedova e il nipote, Cristoforo Golisch improvvisamente stravolse gli occhi, storse la bocca quasi per uno sbadiglio mancato; e il capo gli cadde sul petto e la faccia sul piatto.
Una toccatina, lieve lieve, anche a lui.
Perdette lì per lì la parola e mezzo lato del corpo: il destro.
Cristoforo Golisch era nato in Italia, da genitori tedeschi; non era mai stato in Germania, e parlava romanesco come un romano di Roma. Da un pezzo gli amici gli avevano italianizzato anche il cognome, chiamandolo Golicci, e gl’intimi anche Golaccia, in considerazione del ventre e del formidabile appetito. Solo con la sorella egli soleva di tanto in tanto scambiare qualche parola in tedesco, perché gli altri non intendessero.
Ebbene, riacquistato a stento, in capo a poche ore, l’uso della parola, Cristoforo Golisch offrì al medico un curioso fenomeno da studiare; non sapeva piú parlare in italiano: parlava tedesco.
Aprendo gli occhi insanguati, pieni di paura, contraendo quasi in un mezzo sorriso la sola guancia sinistra e aprendo alquanto la bocca da questo lato, dopo essersi piú volte provato a snodar la lingua inceppata, alzò la mano illesa verso il capo e balbettò, rivolto al medico:
- Ih...ihr... wie ein Faustschlag...
Il medico non comprese, e bisognò che la sorella, mezzo istupidita dall’improvvisa sciagura, gli facesse da interprete.
Era divenuto tedesco a un tratto, Cristoforo Golisch: cioè, un altro; perché tedesco veramente, lui, non era mai stato. Soffiata via, come niente, dal suo cervello ogni memoria della lingua italiana, anzi tutta quanta l’italianità sua.
Il medico si provò a dare una spiegazione scientifica del fenomeno: dichiarò il male: emiplegia; prescrisse la cura. Ma la sorella, spaventata, lo chiamò in disparte e gli riferì i propositi violenti manifestati dal fratello pochi giorni innanzi avendo veduto un amico colpito da quello stesso male.
- Ah, signor dottore, da un mese non parlava piú d’altro quasi se la fosse sentita pendere sul capo la condanna! S’ammazzerà... Tiene la rivoltella lì, nel cassetto del comodino... Ho tanta paura...
Il medico sorrise pietosamente.
- Non ne abbia! non ne abbia, signora mia! Gli daremo a intendere che è stato un semplice disturbo digestivo e vedrà che...
- Ma che, dottore!
- Le assicuro che lo crederà. Del resto, il colpo, per fortuna, non è stato molto grave. Ho fiducia che tra pochi giorni riacquisterà l’uso degli arti offesi, se non bene del tutto, almeno da potersene servire pian piano... e, col tempo, chi sa! Certo è stato per lui un terribile avviso. Bisognerà cangiar vita e tenersi a un regime scrupolosissimo per allontanare quanto piú sarà possibile un nuovo assalto del male.
La sorella abbassò le pàlpebre per chiudere e nascondere negli occhi le lagrime. Non fidandosi però dell’assicurazione del medico, appena questo andò via, concertò col figliuolo e con la serva il modo di portar via dal cassetto del comodino la rivoltella: lei e la serva si sarebbero accostate alla sponda del letto con la scusa di rialzare un tantino le materasse, e nel frattempo - ma, attento per carità! - il ragazzo avrebbe aperto il cassetto senza far rumore e... - attento! - via, l’arma.
Così fecero. E di questa sua precauzione la sorella si lodò molto, non parendole naturale, di lì a poco, la facilità con cui il fratello accolse la spiegazione del male, suggerita dal medico: disturbo digestivo.
- Ja... ja... es ist doch...
Da quattro giorni se lo sentiva ingombro lo stomaco.
- Unver... Unverdaulichkeit... ja... ja...
Ma possibile, - pensava la sorella, - ch’egli non avverta la paralisi di mezzo lato del corpo? possibile ch’egli, già prevenuto dal caso recente del Lenzi, creda che una semplice indigestione possa avere un tale effetto?
Fin dalla prima veglia cominciò a suggerirgli amorosamente, come a un bambino, le parole della lingua dimenticata: gli domandò perché non parlasse piú italiano.
Egli la guardò imbalordito. Non s’era accorto peranche di parlare in tedesco: tutt’a un tratto gli era venuto di parlar così né credeva che potesse parlare altrimenti. Si provò tuttavia a ripetere le parole italiane, facendo eco alla sorella Ma le pronunziava ora con voce cangiata e con accento straniero, proprio come un tedesco che si sforzasse di parlare italiano. Chiamava Giovannino il nipote, Ciofaio. E il nipote - scimunito! - ne rideva, come se lo zio lo chiamasse così per ischerzo.
Tre giorni dopo, quando alla Fiaschetteria Toscana si seppe del malore improvviso del Golisch, gli amici accorsi a visitarlo poterono avere un saggio pietoso di quella sua nuova lingua. Ma egli non aveva punto coscienza della curiosissima impressione che faceva, parlando a quel modo.
Pareva un naufrago che si arrabattasse disperatamente per tenersi a galla, dopo essere stato tuffato e sommerso per un attimo eterno nella vita oscura, a lui ignota, della sua gente. E da quel tuffo, ecco, era balzato fuori un altro; ridivenuto bambino, a quarant’otto anni, e straniero.
E contentissimo era. Sì, perché proprio in quel giorno aveva cominciato a poter muovere appena appena il braccio e la mano. La gamba no, ancora. Ma sentiva che forse il giorno dopo, con uno sforzo, sarebbe riuscito a muovere anche quella. Ci si provava anche adesso, ci si provava... e, no eh? non scorgevano alcun movimento gli amici?
- Tomai... tomai...
- Ma sì, domani, sicuro!
A uno a uno gli amici, prima d’andar via - quantunque lo spettacolo offerto dal Golisch non désse piú luogo ad alcun timore - stimarono prudente raccomandare alla sorella la sorveglianza.
Da un momento all’altro, non si sa mai... Può darsi che la coscienza gli si ridesti, e...
Ciascuno pensava ora, come già aveva pensato il Golisch da sano: che l’unica, cioè, era di finirsi con una pistolettata per non restar così malvivo e sotto la minaccia terribile, inovviabile d’un nuovo colpo da un momento all’altro.
Ma loro sì, adesso, lo pensavano: non piú il Golisch però. L’allegrezza del Golisch, invece, quando - una ventina di giorni dopo - sorretto dalla sorella e dal nipote, poté muovere i primi passi per la camera!
Gli occhi, è vero, no, senza uno specchio non se li poteva vedere: attoniti, smarriti, come quelli di Beniamino Lenzi; ma della gamba sì, perbacco, avrebbe potuto accorgersi bene che la strascicava a stento... Eppure, che allegrezza!
Si sentiva rinato. Aveva di nuovo tutte le meraviglie d’un bambino, e anche le lagrime facili, come le hanno i bambini, per ogni nonnulla. Da tutti gli oggetti della camera sentiva venirsi un conforto dolcissimo, familiare, non mai provato prima; e il pensiero ch’egli ora poteva andare co’ suoi piedi fino a quegli oggetti, a carezzarli con le mani, lo inteneriva di gioja fino a piangerne. Guardava dall’uscio gli oggetti delle altre stanze e si struggeva dal desiderio di recarsi a carezzare anche quelli. Sì, via... pian piano, pian piano, sorretto di qua e di là... Poi volle fare a meno del braccio del nipote, e girò appoggiato alla sorella soltanto e col bastone nell’altra mano; poi, non piú sorretto da alcuno, col bastone soltanto; e finalmente volle dare una gran prova di forza:
- Oh... oh... guaddae, guaddae, sea battoe...
E davvero, tenendo il bastone levato, mosse due o tre passi Ma dovettero accorrere con una seggiola per farlo subito sedere.
Gli era quasi scolata d’addosso tutta la carne, e pareva l’ombra di se stesso; pur non di meno, neanche il minimo dubbio in lui che il suo non fosse stato un disturbo digestivo; e sedendo ora di nuovo a tavola con la sorella e il nipote condannato a bere latte invece di vino, ripeteva per la millesima volta che s’era presa una bella paura:
- Una bea paua...
Se non che, la prima volta che poté uscir di casa, accompagnato dalla sorella, in gran segreto manifestò a questa il desiderio d’esser condotto alla casa del medico che curava Beniamino Lenzi. Nel cortile di quella casa voleva esercitarsi il piede al tornio anche lui.
La sorella lo guardò, sbigottita. Dunque egli sapeva?
- Di’, vuoi andarci oggi stesso?
- Sì... sì...
Nel cortile trovarono Beniamino Lenzi, già al tornio, puntuale.
- Beiamìo! - chiamò il Golisch.
Beniamino Lenzi non mostrò affatto stupore nel riveder lì l’amico, conciato come lui: spiccicò le labbra sotto i baffi, contraendo la guancia destra; biascicò:
- Tu pue?
E seguitò a spingere la leva. Due pertiche ora molleggiavano e brandivano, facendo girare i rocchetti con la corda.
Il giorno dopo Cristoforo Golisch, non volendo esser da meno del Lenzi che si recava al tornio da solo, rifiutò recisamente la scorta della sorella. Questa, dapprima, ordinò al figliuolo di seguire lo zio a una certa distanza, senza farsi scorgere; poi, rassicurata, lo lasciò davvero andar solo.
E ogni giorno, adesso, alla stess’ora, i due colpiti si ritrovano per via e proseguono insieme facendo le stesse tappe; al lampione, prima; poi, piú giú, alla vetrina del bazar, a contemplare la scimmietta di porcellana sospesa all’altalena; in fine, alla ringhiera del giardinetto.
Oggi, intanto, a Cristoforo Golisch è saltata in mente un’idea curiosa; ed ecco, la confida al Lenzi. Tutti e due, appoggiati al fido lampione, si guardano negli occhi e si provano a sorridere, contraendo l’uno la guancia destra, l’altro la sinistra. Confabulano un pezzo, con quelle loro lingue torpide; poi il Golisch fa segno col bastone a un vetturino d’accostarsi. Ajutati da questo, prima l’uno e poi l’altro, montano in vettura, e via, alla casa di Nadina in Piazza di Spagna.
Nel vedersi innanzi quei due fantasmi ansimanti. che non si reggono in piedi dopo l’enorme sforzo della salita. La povera Nadina resta sgomenta, a bocca aperta. Non sa se debba piangere o ridere. S’affretta a sostenerli, li trascina nel salotto, li pone a sedere accanto e si mette a sgridarli aspramente della pazzia commessa, come due ragazzini discoli, sfuggiti alla sorveglianza dell’ajo
Beniamino Lenzi fa il greppo, e giú a piangere.
Il Golisch, invece, con molta serietà, accigliato, le vuole spiegare che si è inteso di farle una bella sorpresa.
- Una bea soppea...
(Bellino! Come parla adesso, il tedescaccio!)
- Ma sì, ma sì, grazie... - dice subito Nadina. - Bravi! Siete stati bravi davvero tutt’e due... e m’avete fatto un gran piacere... Io dicevo per voi, venire fin qua, salire tutta questa scala... Sú, sú, Beniamino! Non piangere, caro... Che cos’è? Coraggio, coraggio!
E prende a carezzarlo su le guance, con le belle mani lattee e paffutelle, inanellate.
- Che cos’è? che costa? Guardami!... Tu non volevi venire, è vero? Ti ha condotto lui, questo discolaccio! Ma non farò nemmeno una carezza a lui... Tu sei il mio buon Beniamino, il mio gran giovanottone sei... Caro! caro!... Suvvia, asciughiamo codeste lagrimucce... Così... così... Guarda qua questa bella turchese: chi me l’ha regalata? chi l’ha regalata a Nadina sua? Ma questo mio bel vecchiaccio me l’ha regalata... Toh, caro!
E gli posa un bacio su la fronte. Poi si alza di scatto e rapidamente con le dita si porta via le lagrime dagli occhi.
- Che posso offrirvi?
Cristoforo Golisch, rimasto mortificato e ingrugnato, non vuole accettar nulla; Beniamino Lenzi accetta un biscottino e lo mangia accostando la bocca alla mano di Nadina che lo tiene tra le dita e finge di non volerglielo dare, scattando con brevi risatine:
- No... no... no...
Bellini tutt’e due, adesso, come ridono, come ridono a quello scherzo...


-- IL "FAI DA TE" DELL' E.T.C.

IL "FAI DA TE" DELL' ESERCIZIO TERAPEUTICO CONOSCITIVO


Il piano inclinabile per il recupero del cammino: "La Tavoletta"


Questa tavoletta l'hanno costruita R. e A., che stanno imparando gli esercizi da riprodurre in casa per il recupero da ictus, con dei buoni risultati, anche perchè hanno una buona costanza e creatività.

Il tipo di riabilitazione è l'esercizio terapeutico conoscitivo.
 
A. mi diceva che sarei stato "invidioso" della loro tavoletta perchè era davvero fatta bene.

A loro vanno i miei complimenti, davvero ben fatta.



Guarda il disegno con le istruzioni per costruire in casa la "tavoletta"







La tavoletta è un sussidio che ci permette "ricostruire" il senso di posizione dei piedi e delle gambe, per il recupero del cammino.
Infatti immagina di dover camminare e muovere una gamba, ma non sai dove si trova.
Chiediti da dove a dove la muovi?

La capacità di percepire questi aspetti e prestarne l'adeguata attenzione, in seguito ad un ictus viene messa a dura prova. Fondamentale per il recupero del cammino, è il recupero della percezione, dell'attenzione e degli altri processi cognitivi che permettono l'organizzazione del movimento.

Purtroppo questi aspetti non sempre vengono presi in considerazione, privilegiando una terapia muscolare che nulla a che fare con la natura del problema causata da un ictus.

Devo ricordarti che la "tavoletta" non è l'esercizio, ma è il sussidio! L'esercizio se ben pensato può essere fatto anche con i piedi a terra. a volte infatti anche io utilizzo un nastro adesivo in terra con su disegnata la gradazione, il nastro più comodo da usare. è quello di carta, da "pittore" o "carrozziere" per intenderci.


Questo invece è il Bilancino costruito da G. una mia paziente alla quale non manca il senso pratico e creativo. Questo sussidio serve all'interno degli esercizi dedicati al recupero dei meccanismi della mano che richiedono la presa ed il soppesamento degli oggetti.





Scarica il Pdf con le istruzioni per costruire in casa il bilancino






Anche le superfici tattili costruite da V. e D. sono davvero ben fatte e dalle quali ho ricavato delle idee interessanti.





Qui invece C. ha ricreato di sana pianta gran parte del Kit dei sussidi di base per la riabilitazione neurocognitiva, anche questi appaiono ben fatti e funzionali, ma soprattutto ci danno la conferma che per eseguire un buon lavoro di riabilitazione neurocognitiva non serve spendere molti soldi per l'acquisto dei sussidi, ma il più delle volte si possono costruire in casa.






Scarica il PDF con le istruzioni per costruire in casa il piano inclinabile per il recupero della presa e della mano




Anche queste "Collinette" fatte in casa dal padre di D. meritano un posto nella sezione del fai da te. Questi sussidi sono particolarmente utili per il recupero della presa, coinvolgendo il paziente in esperienza tattili e di movimento.

In questa foto invece, il mio paziente Sig. A e sua moglie P. hanno realizzato in casa un supporto per le superfici tattili in modo da poter proporre il riconoscimento combinato di 2 superfici contemporaneamente tra pollice e e le altre dita. Hanno trovato una soluzione piuttosto ingegnosa. 


Questo sussidio invece rappresenta il "ponte", per gli esercizi di prono-supinazione dell'avambraccio, ringrazio V. per aver condiviso il suo ingegno, la trovo una soluzione molto intelligente e creativa, l'utilizzo di questa cassetta per la frutta, risolve il problema del mantenere in piedi il sussidio.

LINGUAGGIO
Spesso ci troviamo a dover rintracciare sul web delle immagini per costruire alcune esperienze comunicative negli esercizi di logopedia. Su questo sito troviamo una raccolta di numerosi immagini.



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